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Ruspoli, il principe ribelle e contadino
Nel giorno in cui nasceva il primo governo ādi destraā in Italia, moriva lāantenato della destra sociale, anzi rivoluzionaria, populista e aristocratica, don Lillio Ruspoli, principe di Cerveteri. Francesco Sforza Ruspoli non era vecchio ma di piĆ¹, era antico. E non tanto perchĆ© aveva 95 anni; era coetaneo, anzi un poā piĆ¹ vecchio della Regina Elisabetta, con cui aveva ballato quando erano ragazzi. Ma perchĆ© antica, anzi millenaria era la sua famiglia e antico il suo modo di essere, di vivere e di pensare, anche se poi lo applicava al tempo nostro. Don Lillio esibiva con noncuranza aristocratica un curriculum secolare, di quella romanitĆ vetusta e papalina che aveva dimestichezza con regni e giubilei, sovrani e contadini, santi, pontefici e vitazzuoli. Ma il suo vero curriculum era un altro: principe ribelle, missino e terrafondaio, cioĆØ combattente agrario, don Chisciotte aristocratico, peronista in lotta contro i poteri forti, i pescecani della finanza, le banche e i capitalisti, gli affaristi politici, gli usurai e gli affamatori dei popoli. Aveva un talento naturale per le cause perse, ha sempre scelto la parte sbagliata, con un fiuto che solo i veri nobili possiedono, destinato perĆ² a perdere con onore; ha coltivato, con principesca voluttĆ , la nobiltĆ della sconfitta. Fu quello il suo vero stemma araldico. Si unƬ ad altri pazzi, come il professor Giacinto Auriti che batteva moneta a Guardiagrele e lottava per la sovranitĆ popolare della moneta. Fece suo motto un titolo che posi a un mio articolo in difesa dellāaristocrazia: meglio nobili che ignobili.
Non si ĆØ mai dato per vinto, ha sempre organizzato iniziative, convegni a casa sua o nel suo castello, liste e cortei, ha fondato movimenti, centri agrari, ha marciato coi forconi, le ruspe e i trattori per la Causa Rustica. A novantāanni si candidĆ² sindaco nella sua Cerveteri, tentando di passare da Signore del Borgo a semplice Primo cittadino e capeggiĆ² una lista dal nome splendido, lirico, pucciniano: Nessun dorma. Perse come sempre, con la sua lista insonne, ma sempre con onore.
Come avrete capito, gli volevo bene, lo conoscevo da una vita, con la sua consorte Pia Giancaro, attrice (lāabbiamo rivista sulle scene nel recente Dante di Pupi Avati). Lui era sempre presente nei miei convegni romani ed io non mancavo nei suoi eventi e lāho sempre giustificato in quasi tutte le sue imprese temerarie. Ho saputo subito della sua morte da un comune amico, Gelasio Gaetani Lovatelli, un altro aristocratico di quella tempra. Confesso di avere un debole per la storia antica, per le vite blasonate, anche coi loro errori e le loro pazzie, o forse proprio per queste; per la sua fede cristallina anche se a volte esagerata, per il suo amore della terra e della tradizione, per la bellezza senile della sua figura, la dignitĆ del suo incedere senza prosopopea; il suo fascino retrĆ². Ci accomunava la propensione nostalgica per i Signori e per gli Eroi in unāepoca volgare.
In casa Ruspoli vi furono sante e condottieri, eroi di guerra ad El Alamein e poeti del casato. NobiltĆ nera, vissuta allāombra di Santa Romanesca Chiesa, come amava dire il cardinale Ottaviani. Don Alessandro Ruspoli, con la benda nera allāocchio, era un nostro contemporaneo, visse in pieno Novecento, Repubblica inclusa. Ma a vederlo sembrava evaso dal Quattrocento o disceso da una tela antica, vestito nellāantica uniforme, antenato di se stesso. E il suo vestire coincideva con il suo pensare. I reali Savoia, al suo cospetto, sembrano dei parvenu: ricordo una foto che li ritrae con lui, Gran Maestro del Sacro Ospizio Apostolico. Della nobiltĆ romana a don Giovanni non gli mancava nulla, dalla caccia alla passione per le donne, dallāamicizia col diavolo dāAnnunzio a quella con lāAcquasanta papalina, e parlava con quel dialetto romanesco ingentilito dal Casato. Il mitico don Giovanni raccomandava al suo autista sanciopanza di andar piano Ā«perchĆ© grazziaddio, ho molto tempo da perdereĀ». Don Giovanni senza fretta. Lillio invece aveva una forte somiglianza con Re Umberto e per la proprietĆ transitiva, con Giorgio Napolitano, che non piaceva a Togliatti proprio perchĆ© somigliava troppo al Re di maggio.
Il fratello di Lillio era il celebre Dado Ruspoli, il viveur della Dolce vita che ispirĆ² anche Flaiano, Fellini e la parodia di TotĆ², Imperatore di Capri. Attraverso i Ruspoli emergeva sorniona la Roma antica e godereccia, nobiliare e casereccia, mondana e devota. Rivedi la naturale dimestichezza con lāeterno, il sacro che coabita con il sarcasmo; rivedi āla pinguedine grandiosa e le arcaiche flatulenzeā della vecchia Roma, di cui scriveva Giorgio Manganelli. Rivedi la familiaritĆ della vita quotidiana dei romani con la Chiesa, la Storia e con le grandi opere dāarte sacra, quellāodore domestico di santitĆ alla vaccinara che ricorda gli angoli di Roma papalina ove trovavi lāedicola di una Madonna o la luce di una mignotta; e a volte le due cose a fiancoā¦ Roma che non giudica ma assolve, o si limita a sorridere e a lasciare che il tempo curi le ferite. Roma dove pure la corruzione era a conduzione famigliare e non cāera la grande criminalitĆ del nord o del sud, anche se una certa facilitĆ al coltello imperversava nei secoli passati e non solo nelle bettole della Roma popolana ma anche tra i nobili, Ruspoli inclusi. Ma di quella nobiltĆ va salvata la famigliaritĆ con il popolo, la magnificenza e insieme lāuso comune del dialetto, la confidenza con i propri stallieri, contadini e inservienti. Lillio Sforza Ruspoli seppe cavalcare con leggerezza il suo tempo, seppe vivere con distacco e passione, stravaganza e dignitĆ le sue contraddizioni, tuttāaltro che da superstite; e restĆ² uomo dāopposizione per tutta la vita. SognĆ² la Rivoluzione e insieme la Restaurazione, e seppe farsi beffe della moda e delle modernitĆ . Meglio Principi che Arrampicatori.
La VeritĆ ā 27 ottobre 2022