𝗥𝗶𝗲𝗰𝗰𝗼𝗹𝗶 𝗖𝗮𝗶𝗻𝗼 𝗗’𝗔𝗹𝗲𝗺𝗮 𝗲 𝗔𝗯𝗲𝗹𝗲 𝗩𝗲𝗹𝘁𝗿𝗼𝗻𝗶
Rieccoli. Caino e Abele, Romolo e Remo, i fratelli coltelli della sinistra. A cent’anni esatti dalla nascita in Italia del Partito comunista riemergono dal passato due figure chiave della sinistra: Massimo D’Alema e Walter Veltroni.
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Rieccoli Caino D’Alema e Abele Veltroni
Rieccoli. Caino e Abele, Romolo e Remo, i fratelli coltelli della sinistra. A cent’anni esatti dalla nascita in Italia del Partito comunista riemergono dal passato due figure chiave della sinistra: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Di D’Alema si narra che sotto la sua attività vinicola, sia ancora aleggiante sul governo in carica, con tre ministri di sua fiducia (Gualtieri, Speranza e Amendola), un suo uomo come super-commissario al Malessere generale (Arcuri), e lui stesso nel ruolo di consigliere occulto di Giuseppe Conte.
Veltroni è invece il fidanzatino perenne d’Italia, sempre più presente sulla scena; vaga come un’ombra o una mosca cocchiera tra il cinema, la tv, la stampa, i libri, i gialli, i premi letterari, i necrologi di artisti e cantanti, i documentari sull’infanzia e si aggira intorno al Quirinale. Si è parlato di lui perfino come direttore del Corriere della sera, al posto del suo ex redattore all’Unità, Luciano Fontana.
Gira e rigira, il Pd non ha più trovato un leader dopo di loro nell’arco degli ultimi trent’anni (Bersani fu la variante emiliana di D’Alema); l’unico capo, Renzi, fu espulso o autoespulso come un corpo estraneo. Napolitano è stato un notabile per uso esterno; poi l’inconsistenza di Zingaretti, la pochezza del partitino sanitario di Liberi e uguali e l’estrazione democristiana di Franceschini, ripropongono, alla fine della fiera, i giovani dioscuri del vecchio Pci come unici punti di riferimento. Castore D’Alema e Polluce Veltroni.
Oggi come ieri sono due figure agli antipodi: Veltroni tiene a far capire che era iscritto al Partito Democratico sin da quando militava nel Pci. E D’Alema, invece, si mostra nostalgico del Pci dopo trent’anni di Partito Democratico. Nell’immaginario della sinistra, Veltroni e D’Alema sono come i Garrone e i Franti del libro Cuore in versione sinistra. Per dirla nel linguaggio pugilistico ritoccato, peso Walter contro peso Massimo.
Sui due, e in generale sulla sinistra italiana, ho una mia antica teoria, in apparenza giocosa ma ha qualche serio fondamento. C’è una sinistra rappresentata da Veltroni che non è mai diventata adulta e una sinistra rappresentata da D’Alema che non è mai stata bambina. Provo a spiegarmi. L’immaginario politico, televisivo e culturale di Veltroni è fermo alla sua infanzia: le figurine Panini, la Nutella, il cinema, la Rai di papà e la tv dei ragazzi, Lassie e Rintintin, i cani buoni, e sullo sfondo il mondo buono dei grandi, il comunista buono Krusciov, il Papa buono Giovanni XXIII, l’americano buono Kennedy, il nero buono Martin Luther King. Tutto risale alla prima metà degli anni Sessanta, all’infanzia del piccolo Walter ed è rimasto il paradigma delle sue scelte da adulto; la base del cosiddetto buonismo. E sulla sua scia da grande il libro su Alfredino caduto nel pozzo, i filmati sui bambini, gli Amarcord. Oltre il caso Veltroni c’è una sinistra non è mai diventata adulta. Fuori dal Pci ha fatto il ’68 in uno stato d’infanzia permanente, giocosa e irresponsabile, immaginosa e capricciosa; lì ha arrestato la sua pubertà. Le son cresciuti i peli, non la maturità. Si è ritrovata nei girotondi, in Nanni Moretti, in Peter Pan nel paese degli orchi: ondeggiante tra estremismo e individualismo, poi si convertì allo spirito liberal e all’ulivismo. Una sinistra che riconosce il suo ceto dirigente nel mondo dello spettacolo e della ricreazione, guarnito di intellettuali e anime belle.
Dall’altra parte, D’Alema è il simbolo di un altro tipo umano. Nato nel Partito, da genitori di partito, cresciuto con gite nelle Stalingrado italiane, campeggi in divisa da lupetto coi coetanei bulgari e siberiani nell’Urss, adolescenza alle Botteghe Oscure. Gli altri avevano i poster di Elvis e dei Beatles, lui quelli di Togliatti, Lenin e tutt’oggi, per civetteria, il famoso busto di Stalin. Gli altri piansero la morte del Torino calcio, lui quella di Baffone, da cui ereditò il baffino. Gli altri tifavano per Rivera, lui per Yascin, il portiere dell’Urss. O per Gagarin nello spazio, anziché gli americani sulla luna. D’Alema non è mai stato bambino, doveva avere i baffi e la spocchia del Migliore sin da capoclasse nel soviet delle elementari. Gli altri bambini andavano in vacanza a Riccione, a fare i castelli di sabbia sulla spiaggia. Lui andava a fare le vacanze di partito, in divisa, nell’Urss, a giocare magari con i carrarmati in miniatura.
La perdita dell’infanzia ha effetti incalcolabili sulla vita adulta. Come la mancanza del passaggio all’età adulta.
Giudicateli come volete, ma i due giganteggiano rispetto alla sinistra presente. Al di là di Veltroni e D’Alema, la sinistra è ancora divisa tra l’infantilismo, criticato a suo tempo da Lenin, sia pure nella versione dell’estremismo, non certo dell’ecumenismo veltroniano; e il cinismo, ereditato dai tempi di Stalin e Togliatti. Da una parte l’utopia del mondo migliore dove tutti sono buoni e trionfa il moralismo; neri, bianchi e trans si danno la mano, viva l’accoglienza, il papa e l’Africa, l’uso di bambini e adolescenti come testimonial di campagne tipo Greta, l’ammiccare all’estremismo infantile dei grillini. È la faccia glucosata della sinistra. L’altra faccia amara è l’astuto politicismo, il sarcasmo nel liquidare gli avversari e a volte anche i compagni puerili, il cattivismo da Spezzaferro e l’impronta tardo-sovietica del vecchio Pci. Alla fine per vincere la sinistra ha sempre dovuto ricorrere al papa straniero o al precettore esterno, come fu Romano Prodi, l’euromortadella. Di cui Veltroni diventò vicario e D’Alema sicario. Ma non è finita: altro che rottamati…
MV, Panorama n.3 (2021)