𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐬𝐢 𝐯𝐨𝐥𝐞𝐯𝐚 𝐛𝐞𝐧𝐞
Com’era gioiosa l’Italia dell’estate 1982.
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Quando l’Italia si voleva bene
Com’era gioiosa l’Italia dell’estate 1982. Quarant’anni fa la vittoria ai Mundial di calcio rivelò e galvanizzò un Paese che finalmente si voleva bene e viveva con fierezza la sua ritrovata italianità. Il Mundial fu la riscoperta del tricolore, a lungo rimosso o lasciato solo ai bordi della vita istituzionale, isolato appannaggio della destra politica e delle sue manifestazioni tricolore. Con le tappe “gloriose” della vittoria al campionato del mondo, si rivide in piazza la nostra bandiera e poi l’Inno; si sentì nuovamente gridare Viva l’Italia e sorse quell’auto-riabilitazione degli italiani, dopo decenni di cupa auto-denigrazione, fino a gloriarci di essere addirittura “la quinta potenza industriale al mondo” (non c’erano ancora i colossi d’Oriente).
L’estate dell’ottantadue ha la faccia di Pablito Rossi, l’urlo di Marco Tardelli, la coppa al cielo di Dino Zoff. L’Italia usciva da un decennio cupo e crudele noto come Anni di Piombo, e da uno sciame di gravi crisi interne e internazionali, la crisi energetica e poi l’austerità, la furia del terrorismo e l’assassinio di Aldo Moro, l’alta tensione ideologica, l’inflazione galoppante come la disoccupazione. Un’onda di ottimismo ora saliva in Italia e il suo simbolo fu il trionfo della Nazionale ai Mondiali di Spagna. Era un’Italia che riscopriva la voglia di vivere, in cui si riprendeva la fiducia degli anni del boom, dopo la lunga quaresima cominciata nel ’68; un’Italia giovanile e intraprendente, per un salto nel futuro senza le vecchie streghe degli anni passati.
Chi dette la faccia politica a questa svolta? La vulgata ufficiale la identifica nell’esultanza di Sandro Pertini all’epoca presidente della repubblica, ai mondiali di calcio, accanto al Re Juan Carlos e poi accanto al regnante della nazionale, Bearzot.
In realtà la faccia politica, anzi la double face della politica fu interpretata da due politici che avevano una passione in comune e poi erano divisi sul resto: Giovanni Spadolini e Bettino Craxi, uniti dalla passione risorgimentale. Spadolini, storico prima che politico, e all’epoca del Mundial premier, riportò in auge il Risorgimento che la lunga egemonia democristiana a palazzo Chigi aveva silenziato. L’82 era l’anno del centenario garibaldino che metteva d’accordo tutti o quasi, perché celebrava l’amor patrio risorgimentale, strizzava l’occhio alla massoneria ma accontentava anche il social-patriottismo del fronte popolare e dunque piaceva quasi a tutti. Il quasi è dovuto alla rinascita dello spirito neo-borbonico a sud e alle nostalgie asburgiche a nord. Spadolini era rubicondo, aveva un grandioso sedere segno di portafortuna, era figurato come un putto da Forattini, incarnava l’ottimismo paffuto di quegli anni.
Bettino Craxi era un appassionato cultore di storia e cimeli risorgimentali, portò una ventata di socialismo tricolore quando subentrò nel governo che coincise si con la crescita ulteriore del buco di Stato, ma anche col momento migliore del nostro paese per vitalità, dinamismo, stabilità, considerazione internazionale. Fu rilanciato il made in Italy, l’Italia esplose nella moda, nella cucina, nell’italian style. Tornò il tricolore nelle forze armate grazie al ministro della difesa del tempo, il socialista Lelio Lagorio. Su questa ritrovata italianità targata socialista, scrisse un memorabile pamphlet, che uscì nelle edizioni del Giornale montanelliano, Giano Accame: s’intitolava appunto Socialismo tricolore e la riga d’esordio del saggio era “In principio fu il pallone”, perché l’ondata di ritrovata italianità era partita proprio dal calcio con la vittoria ai mundial.
Quel patriottismo ebbe effetti anche sul versante negletto della politica italiana, la destra. Dopo una lunga ghettizzazione, decine di militanti trucidati, minaccia di finire fuori legge, tensioni nelle piazze, il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, superata la scissione di Democrazia nazionale, cominciava ad essere accettato da tutti superando l’arco costituzionale. Il primo sdoganatore fu Bettino Craxi, che volle incontrare il leader missino. Ma oltre la politica, un’onda lunga di revisionismo storico rifece i conti con la storia del novecento e col fascismo. Un revisionismo che partiva da Renzo De Felice e da altri storici e filosofi ma coinvolgeva anche partigiani come Giorgio Bocca. Grandi mostre e convegni sull’Italia tra le due guerre ricucivano la storia d’Italia, superando le fratture. Il centenario mussoliniano nell’83 fece il resto. E sul piano culturale le punte più avanzate della nuova destra presero a dialogare con la nuova sinistra. Il clima del paese cambiò.
La vita si faceva più lieve, gioiosa e godereccia, al punto che Roberto d’Agostino s’inventò la definizione fortunata di edonismo reaganiano, quella riscoperta del piacere all’epoca di Reagan, presidente americano. Tornava la dolce vita, e i socialisti di Craxi ne erano i testimonial vitazzuoli sul piano politico-mondano, con uno sciame di nani e ballerine, secondo la definizione del socialista Rino Formica.
Quarant’anni dopo quel clima di ottimismo e baldanza, quella fiducia nelle risorse creative italiane, quella considerazione nel mondo, quel superamento di steccati e cordoni sanitari, quella ritrovata italianità, dista ormai anni luce. Ne parlo con nostalgia anche perché in quel tempo eravamo ragazzi, e nostri coetanei erano i calciatori che vinsero il Mundial. Quell’Italia si voleva bene, finalmente, ma non durò molto. Tornò a odiarsi e incupirsi negli anni novanta e poi a ingrigirsi e incattivirsi nei nostri ultimi anni. Com’era gioiosa l’Italia in quell’estate dell’82…
(Panorama, n.28)