Quale direzione?
È tutta questione di… riflessione.
Ho già avuto occasione di scrivere che “quando un dolore non serve a qualche cosa è sprecato”. Me lo ha insegnato una persona che stimo, e con la quale, un po’ per fortuna e un po’ per volontà, sono in dialogo da tempo.
Questa pandemia, al di là della disputa sui numeri, la contaminazione e il suo decorso, potrebbe procurare una riflessione generale e personale, per trarre così qualche utile e seria conseguenza, rispetto a ciò che ci sta accadendo.
Mi sembra chiaro che, innanzi tutto, zio Covid-19 può permettere a tutti di comprendere a fondo il ruolo esistenziale (esiziale direi anche…) della precarietà umana, di fronte alla forza dell’invisibile, sia esso micro oppure macro. In fondo, queste due categorie sono equivalenti e contigue.
E penso che questa rinnovata consapevolezza circa la nostra reale fragilità antropologica possa essere percepita da tutti, ancorché conduca a conseguenze e conclusioni intellettuali e comportamentali assai opposte. Alcuni posso reagire alimentando maggiormente il proprio sentimento egoico, in vista di un esasperato individualismo, perché tutto può finire improvvisamente e non ci si può difendere; altri, invece, possono dirigersi verso lo sviluppo di una solidarietà che sappia contemplare tanto nelle differenze umane quanto negli elementi comuni, la possibilità di migliorare la qualità della vita sanitaria ovunque.
È sempre la pandemia che sviluppa queste conseguenze, mente i risultati saranno assai diversi a seconda che si scelga un’ipotesi piuttosto che un’altra.
La scelta individualista, penso, sarà quella più probabile e deflagrante, come sta peraltro avvenendo di fatto nella politica delle nazioni, a livello mondiale ed anche in riferimento al vaccino prossimo. Ma sarà una scelta abortiva, che condurrà ad una veloce “estinzione sociale e culturale” di coloro che decideranno di continuare a perseguirla.
La seconda scelta, quella solidaristica, sarà assunta con maggiore lentezza, ma potrà sedimentarsi con maggiore forza e determinazione nel tempo, proponendo la visione di un mondo che sia davvero diverso, rispetto a quello che stanno conoscendo i nostri figli.
In sostanza, si tratta di scegliere tra un narcisismo esibito e l’umiltà naturale che si cela dietro ogni manifestazione esistenziale presente in questo nostro pianeta.
Certo, io credo che, alla fine, vincerà questa seconda ipotesi, ma dobbiamo farci forza sapendo attendere che tale idea rivoluzioni il mondo della scienza, della coscienza e della comunicazione.
Per ora, zio Covid-19 ha acceso il motorino d’avviamento dell’automobile dell’evoluzione, mentre starà a noi imparare a guidare l’auto, senza voler essere primi in un qualsiasi dove, nello sforzo quotidiano di considerare la nostra vita esattamente importante come l’altrui.
Stiamo ancora facendo fatica a capire questo semplice e naturale concetto di equità.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info)