𝐐𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐫𝐞𝐬𝐢𝐚 𝐬𝐮𝐥 𝟐 𝐠𝐢𝐮𝐠𝐧𝐨
Qualche eresia sul 2 giugno
La festa del 2 giugno non è nel cuore degli italiani. Ed è brutto per un Paese non avere una festa di compleanno e di fondazione. La memoria del 2 giugno è più nella coda che nella testa degli italiani. Coda di paglia, se si considera che un serio viaggio, spietato e autocritico, non retorico o ideologico, nella nascita e sviluppo della repubblica italiana non l’abbiamo ancora fatto.
Vorrei dire qualche eresia. La prima eresia è che ci fu continuità tra lo stato fascista e la repubblica italiana. L’apparato dello Stato ha retto all’urto di un doppio trauma, quello della caduta di un regime, passando alla repubblica dei partiti, e di una guerra lacerante, comprensiva di guerra civile, grazie a quella continuità. Una continuità di uomini, strutture e leggi. Se ne accorse pure Togliatti che fu il primo garante di quella continuità, con l’amnistia agli ex fascisti, con la chiamata di uomini compromessi col passato regime in ruoli chiave, con la difesa del codice Rocco e dei patti lateranensi. Ma fu garante pure De Gasperi che fondò lo Stato democratico sugli uomini, le leggi e l’etica dell’ancien régime. Magistratura, dirigenti, militari e carabinieri, impiegati e professori. Ma anche economia pubblica e parastato.
Se superammo la prova del passaggio fu anche e soprattutto per merito di un apparato forte, di un ceto pubblico educato al senso dello stato, al decoro e al senso etico della propria missione. E quando non erano fascisti, erano monarchici e conservatori. Perfino la Costituzione trasferì nel linguaggio democratico e antifascista quei fondamenti sociali e nazionali, quel richiamo all’umanesimo del lavoro e alla solidarietà, alla tutela dell’ambiente, alla famiglia e al senso delle istituzioni che aveva quell’oscena origine fascista. Perché lo Stato italiano, piaccia o non piaccia, si radicò nel popolo e nelle istituzioni soprattutto tra l’interventismo nella prima guerra mondiale e la tragedia della seconda guerra mondiale.
Abbiamo vissuto di rendita e d’inerzia nei decenni seguenti e il senso dello Stato e perfino della Repubblica italiana, della scuola e delle istituzioni ha retto fino a che è durato quello spirito pubblico, quella generazione, quell’impronta? Certo, c’erano state prima la Destra storica e la Sinistra risorgimentale e garibaldina; ma le grandi leggi e i grandi codici, le grandi opere, le grandi strutture sociali e previdenziali, il grande stato e soprattutto la sua nazionalizzazione, la partecipazione popolare, crebbero proprio là, all’ombra infausta di una dittatura nazional-fascista. Ciò non diminuisce di una virgola le colpe del regime, gli errori gravi, la fine della libertà e la sciagurata entrata in guerra.
Ma la storia non si può cancellare. Nell’arco di 70 anni, abbiamo avuto svariati governi, ma una vera e propria riforma degli apparati statali non c’è mai stata; solo accrocchi e storture. È cresciuto lo statalismo di pari passo col declino del senso dello Stato. È migliorato il livello di benessere, ma è peggiorato il funzionamento delle istituzioni. Sono cresciuti i servizi almeno quanto i disservizi. E’ cresciuta la corruzione, il parassitismo pubblico, il malaffare. È migliorato il tenore di vita del Paese, non il suo Stato. Ha fatto passi avanti la società, non la repubblica. Vivono meglio gli italiani, non l’Italia. Almeno fino a qualche anno fa…
Il 2 giugno festeggiamo la repubblica nata dalla Resistenza, ma dovremmo ricordarci che fu decisivo il voto antimonarchico dei fascisti, quelli che potevano votare e che votarono contro il “Savoia traditore”, magari persino nel nome della Repubblica sociale. Rispondetemi guardandomi negli occhi: è falsa o è solo sconveniente, impronunciabile? Meglio la cruda verità che la stracotta menzogna.
Il tempo, 2 giugno 2018