Prima gli italiani?
È tutta questione di… educazione permanente.
“Prima gli italiani”! E va bene. Ma quali italiani? Del Nord o del Sud, oppure delle Isole? Quelli che lavorano, quelli che crescono, oppure quelli che decrescono ogni giorno che passa perché si avvicinano allo zero sul proprio conto corrente, grazie alle poche tasse?
Insomma, decidiamo a quali italiani ci stiamo rivolgendo, perché siamo tutto tranne che riuniti in una classe di individui politicamente solidali, e nel miglior senso della locuzione in corsivo.
È inutile dire che ci sentiamo italiani quando andiamo all’estero, oppure quando gioca la nazionale di calcio, ed ultimamente, per fortuna, quando gioca anche quella di Rugby, uno sport più educativo, educato e civile, certo, rispetto al calcio. Ma questa è un’altra questione, che ho comunque trattato anche su questo blog.
Allora, se le cose stanno così, non sarebbe meglio dire: “Prima l’Italia che dobbiamo fare”? Sì, perché esiste una nazione Italia solo sulla carta, ma non in un sentimento di appartenenza che abbia davvero una ripercussione quando andiamo a votare. Non possiamo, e non dobbiamo, secondo me, dimenticare che il feudalesimo dal quale proveniamo storicamente è dentro la nostra mente, in quegli atteggiamenti localistici e provinciali che alimentano il clientelismo così caro ai politici. E sul clientelismo tutta la propaganda gramsciana e sinistrata ha fondato il suo potere, come sappiamo tutti molto bene. Non vi è riuscito, in tale meraviglioso ed esaltante compito civile, nemmeno Berlusconi , che aveva comunque tutti i mezzi per poterlo fare meglio della sinistra. Mi riferisco alle sue televisioni, che danno comunque di che vivere a molte persone, molto più di sinistra che di destra. In fondo, ad un imprenditore pecunia non olet. E così, abbiamo alimentato, ovunque, una crescente alienazione da quella storia recente che ci ha reso solo in apparenza una nazione indipendente, e mi riferisco alle tre Guerre di Indipendenza del nostro Risorgimento.Prima_gli_Italiani
Cosa fare?
Parlare molto, ma molto di più di Italia, lasciando perdere gli italiani, che ovunque vadano se la cavano sempre. Parlare della nostra arte da salvaguardare, della nostra weltanschauung, delle nostre sensibilità musicale, pittorica e scultoria, grazie alle quali abbiamo sviluppato quell’idea di bellezza che il mondo ci invidia. E dunque, verso tutte quelle nazioni che vogliono affermare la loro superiorità economica, cominci a comunicare la nostra superiorità artistica, architettonica e progettuale. In questo modo, anche se sembra assurdo, potremmo salvare molti posti di lavoro, in qualsiasi settore produttivo, anche in quello metallurgico.
Perché le nostre industrie non sono degli elettori, ma dell’Italia.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).