Papa come papà
È tutta questione di… lealtà.
Cinque anni fa il Conclave andava a prendersi, “quasi alla fine del mondo”, un Papa che avrebbe scelto di assumere il nome di Francesco.
Un nome una garanzia, avremmo potuto pensare. Non lo pensarono in molti, e anche quei pochi che colsero, non percepirono appieno l’evocatività del nome, simbolo di un programma che, senza mezzi termini, il Pontefice scelse di sintetizzare nel motto tratto dalle Omelie di San Beda: “Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: seguimi”.
Le cronache di questi anni ci hanno abituato ai bisbigli della Curia romana intorno a questo Papa, il quale non mostra di guardare agli ultimi dall’esterno, ma li guarda sentendosi ultimo tra gli ultimi.
Tuttavia, nessuno aveva mai ufficializzato l’esistenza di una corrente contraria alla pastorale di questo Pontefice e, soprattutto, nulla aveva mai fatto percepire la forza dei suoi detrattori. Ci ha pensato il Papa emerito, nel plauso all’iniziativa vaticana che ha editato gli undici volumi contenenti la teologia di Papa Francesco. Benedetto XVI ha scritto con forza la propria reazione: “(…) allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia” – sottolineando l’esistenza di una – “continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento”. Due passaggi estremamente toccanti, nella loro icastica sinteticità che testimoniano qualcosa che l’uomo globalizzato sta perdendo, specialmente dal punto di vista antropologico: il senso della lealtà e dell’alleanza. E, come ci segnalava Sergio Rame non più tardi di due giorni fa, Ratzinger aveva già mostrato al mondo cosa significa essere leali.
In termini non evangelici, ma estremamente pragmatici, Papa Ratzinger ci indica come le istanze personalistiche, gli egoismi di posizione, la cecità intellettuale di chi non avrà nemmeno una discendenza (e, quindi, non subisce gli strattoni dell’atavico bisogno di conservazione della prole) non risparmino veramente nessuno. Neppure le guide teologiche, neppure gli uomini al servizio di un Dio che è misericordia e che, nel farsi Uomo, non ha scelto la strada delle cariche istituzionali bensì quella dell’ultimo.
In questo clima, il Papa “venuto dalla fine del mondo”, rinsalda la discrezione e l’alleanza con il suo predecessore, il Papa emerito: fare della diversità tra individui omologhi un valore aggiunto, un elemento di ricchezza non ridondante ma essenziale. Ed io ho ampiamente parlato di questo tema, perché è un argomento che sento molto e che considero davvero importante per l’evoluzione della specie.
Un’occasione di riflessione profonda, non solo per chi è cattolico, ma anche per chi non lo è, ma sente che la vita trascende la dimensione puramente materialistica.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È stato docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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