ONU e libertà di espressione

Le Nazioni Unite lanciano una guerra senza quartiere contro la libertà di espressione

di Judith Bergman 22 luglio 2019

Pezzo in lingua originale inglese: UN Launches All-out War on Free Speech
Traduzioni di Angelita La Spada

In altre parole, dobbiamo dimenticare tutto ciò che riguarda il libero scambio delle idee: l’ONU ritiene che i suoi “valori” siano minacciati e che chiunque critichi tali valori deve essere zittito.

Naturalmente, le Nazioni Unite assicurano a tutti che “combattere i discorsi di incitamento all’odio non significa limitare o vietare la libertà di espressione. Significa impedire che l’incitamento all’odio degeneri in qualcosa di più pericoloso, in particolare, in incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza, che è proibito dal diritto internazionale”.

Se non fosse che le Nazioni Unite cercano definitivamente di proibire la libertà di espressione, specialmente quella che sfida i programmi dell’organizzazione internazionale. Ciò è ben palese nel caso del Global Compact delle Nazioni Unite per l’immigrazione, in cui viene esplicitamente dichiarato che l’erogazione dei finanziamenti pubblici ai “media che sistematicamente promuovono l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione nei confronti dei migranti” dovrebbe essere interrotta.

A differenza del Global Compact delle Nazioni Unite per l’immigrazione, il piano d’azione dell’ONU contro i discorsi di incitamento all’odio contiene una definizione di ciò che l’organizzazione ritiene essere “odio” e risulta essere la più ampia e la più vaga delle definizioni possibili: “Qualsiasi forma di comunicazione verbale, scritta o comportamentale, che attacca o utilizza un linguaggio peggiorativo o discriminatorio nei confronti di un individuo o di un gruppo in base a chi è, in altre parole, a causa della sua religione, etnia, nazionalità, razza, colore, origine, genere o di un altro fattore di identità”. Con una definizione ampia come questa, tutti i discorsi potrebbero essere etichettati come di “incitamento all’odio”.
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A gennaio, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha commissionato “un piano globale d’azione contro i discorsi di incitamento all’odio e i crimini d’odio su base rapida” e ha dichiarato che i governi e le istituzioni devono “trovare soluzioni che rispondano alle paure e alle ansie delle persone con fatti concreti…”. Una di queste risposte, sembrava suggerire Guterres, è mettere il bavaglio alla libertà di espressione. Nella foto: Antonio Guterres. (Fonte dell’immagine: Fiona Goodall/Getty Images)

Una di queste risposte, sembrava suggerire Guterres, è mettere il bavaglio alla libertà di espressione.

“Abbiamo bisogno di arruolare ogni segmento della società nella battaglia per i valori che il nostro mondo affronta oggi, e, in particolare, per affrontare l’aumento dell’odio, della xenofobia e dell’intolleranza. Sentiamo echi inquietanti e odiosi di epoche passate”, ha affermato Guterres. “Visioni velenose si stanno inserendo nei dibattiti politici e inquinano la corrente principale. Non dimentichiamo mai le lezioni degli anni Trenta. I discorsi di incitamento all’odio e i crimini d’odio sono minacce dirette ai diritti umani…”.

E Guterres ha aggiunto: “Le parole non bastano. Dobbiamo essere efficaci sia nell’affermare i nostri valori universali sia nel contrastare le cause principali della paura, della sfiducia, dell’ansia e della rabbia. Questa è la chiave per coinvolgere le persone al fine di difendere questi valori che sono soggetti a una così grave minaccia oggi”.

In altre parole, dobbiamo dimenticare tutto ciò che riguarda il libero scambio delle idee: l’ONU ritiene che i suoi “valori” siano minacciati e che chiunque critichi tali valori deve essere zittito. Non solo, ma – ipocritamente – le Nazioni Unite paragonano il dissenso nei confronti dei loro programmi all’ascesa del fascismo e del nazismo negli anni Trenta.

Ora il piano d’azione di cui Guterres parlava a gennaio è pronto. Il 18 giugno, il segretario generale dell’ONU, ha presentato la Strategia e il Piano d’Azione delle Nazioni Unite sui discorsi di incitamento all’odio:

“I discorsi di incitamento all’odio sono (…) un attacco alla tolleranza, all’inclusione, alla diversità e all’essenza stessa delle nostre norme e dei nostri principi sui diritti umani”, ha dichiarato Guterres e ha anche scritto in un articolo sull’argomento: “A quanti insistono a utilizzare la paura per dividere le comunità, va detto: la diversità è una ricchezza, mai una minaccia. (…) Non dobbiamo mai dimenticare che, dopotutto, ognuno di noi è ‘altro’ rispetto a qualcun altro, da qualche altra parte”.

Secondo il piano d’azione, “l’odio si sta spostando nel mainstream – nelle democrazie e nei sistemi autoritari. E con ogni norma infranta, i pilastri della nostra comune umanità sono indeboliti”. L’ONU vede per se stessa un ruolo cruciale: “In linea di principio, le Nazioni Unite devono far fronte ai discorsi d’incitamento all’odio ad ogni passo. Il silenzio può indicare indifferenza per il bigottismo e l’intolleranza…”.

Naturalmente, le Nazioni Unite assicurano a tutti che “combattere i discorsi di incitamento all’odio non significa limitare o vietare la libertà di espressione. Significa impedire che l’incitamento all’odio degeneri in qualcosa di più pericoloso, in particolare, in incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza, che è proibito dal diritto internazionale”.

Solo che le Nazioni Unite cercano definitivamente di proibire la libertà di espressione, specialmente quella che sfida i programmi dell’organizzazione internazionale. Ciò è ben palese nel caso del Global Compact delle Nazioni Unite per una migrazione sicura, ordinata e regolare, in cui viene esplicitamente dichiarato che l’erogazione dei finanziamenti pubblici ai “media che sistematicamente promuovono l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione nei confronti dei migranti” dovrebbe essere interrotta.

Qualunque cosa costituisca intolleranza, xenofobia, razzismo o discriminazione è stata naturalmente lasciata indefinita, rendendo la disposizione una comoda soluzione per i governi che desiderano tagliare i fondi ai media che dissentono dall’attuale ortodossia politica sulla migrazione.[1]

A differenza del Global Compact delle Nazioni Unite per l’immigrazione, il piano d’azione dell’ONU contro i discorsi di incitamento all’odio contiene una definizione di ciò che l’organizzazione ritiene essere “odio” e risulta essere la più ampia e la più vaga delle definizioni possibili:

“Qualsiasi forma di comunicazione verbale, scritta o comportamentale, che attacca o utilizza un linguaggio peggiorativo o discriminatorio nei confronti di un individuo o di un gruppo in base a chi è, in altre parole, a causa della sua religione, etnia, nazionalità, razza, colore, origine, genere o di un altro fattore di identità”. Con una definizione ampia come questa, tutti i discorsi potrebbero essere etichettati come di “incitamento all’odio”.

Il piano d’azione “si propone di fornire alle Nazioni Unite lo spazio e le risorse per contrastare i discorsi di incitamento all’odio, che rappresentano una minaccia per i principi, i valori e i programmi dell’ONU. Le misure adottate saranno in linea con le norme e gli standard internazionali sui diritti umani, in particolare con il diritto alla libertà di opinione e di espressione. Gli obiettivi sono duplici: intensificare gli sforzi per contrastare le cause profonde e gli elementi chiave dei discorsi di incitamento all’odio [e] consentire risposte efficaci da parte delle Nazioni Unite all’impatto dell’incitamento all’odio nelle società”.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite indica chiaramente nel piano che “attuerà azioni a livello globale e nazionale, oltre a rafforzare la cooperazione tra gli organismi competenti dell’ONU” per combattere l’incitamento all’odio. Ritiene che “contrastare i discorsi di incitamento all’odio è responsabilità di tutti – governi, società, settore privato” e prende in considerazione “una nuova generazione di cittadini digitali, in grado di riconoscere, di respingere e di opporsi ai discorsi d’odio”. Che nuovo mondo coraggioso!

Nel piano, le Nazioni Unite stabiliscono una serie di ambiti prioritari. Inizialmente, l’ONU “avrà bisogno di sapere qualcosa in più per agire in modo efficace” e consentirà quindi a “organismi competenti delle Nazioni Unite (…) di riconoscere, monitorare, raccogliere dati e analizzare le tendenze ai discorsi di incitamento all’odio”. Cercherà inoltre di “adottare una visione comune delle cause profonde e gli elementi chiave dei discorsi di incitamento all’odio al fine di intraprendere azioni pertinenti per gestire al meglio e/o mitigare il suo impatto”. Inoltre, l’ONU “identificherà e sosterrà gli attori che contrastano l’incitamento all’odio”.

Gli organismi delle Nazioni Unite porranno altresì “in atto misure incentrate sui diritti umani volte a contrastare i discorsi discriminatori e di incitamento all’odio nonché l’escalation della violenza” e “promuoveranno misure volte a garantire che i diritti delle vittime siano rispettati e le loro esigenze siano soddisfatte, anche attraverso azioni correttive, l’accesso alla giustizia e la consulenza psicologica”.

In modo preoccupante, l’ONU intende esercitare pressioni direttamente sui media e influenzare i bambini attraverso l’educazione:

“Il sistema delle Nazioni Unite dovrebbe stabilire e rafforzare le partnership con i media nuovi e tradizionali per contrastare le narrative di incitamento all’odio e promuovere i valori della tolleranza, di non discriminazione, il pluralismo e la libertà di opinione e di espressione” e “intervenire nell’ambito dell’educazione formale e informale per (…) promuovere i valori e le competenze dell’educazione alla cittadinanza globale e migliorare l’alfabetizzazione mediatica e informatica”.

L’ONU è profondamente consapevole che è necessario sfruttare le partnership strategiche con una serie di attori globali e locali, governativi e privati al fine di raggiungere il proprio obiettivo. “Le Nazioni Unite dovrebbero stabilire/rafforzare le partnership con le parti interessate, comprese quelle che lavorano nell’industria tecnologica. La maggior parte delle azioni significative contro i discorsi di incitamento all’odio non saranno intraprese soltanto dall’ONU, ma dai governi, dalle organizzazioni regionali e multilaterali, dalle aziende private, dai media, dai religiosi e da altri attori della società civile”, osserva il piano d’azione. “Gli organismi delle Nazioni Unite”, aggiunge l’organizzazione, “dovrebbero coinvolgere anche attori del settore privato, compresi i social media, in merito alle azioni che possono intraprendere per sostenere i principi e le azioni delle Nazioni Unite onde affrontare e contrastare i discorsi di incitamento all’odio, incoraggiando partnership tra governo, industria e società civile”. L’ONU afferma inoltre che “su richiesta” “fornirà sostegno agli Stati membri nell’ambito dello sviluppo di capacità e nell’elaborazione di politiche volte a contrastare i discorsi di incitamento all’odio”.

Dal piano d’azione emerge anche che la prima iniziativa concreta è già stata pianificata. È una “conferenza internazionale sull’educazione alla prevenzione con l’obiettivo di affrontare e contrastare i discorsi d’odio che vedrà la partecipazione dei ministri dell’Istruzione”.

Il nuovo piano d’azione interferisce con i tentativi decennali dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) di vietare le critiche mosse all’Islam in quanto sono “discorsi di incitamento all’odio”. Sulla scia del lancio del piano d’azione di Guterres, il Pakistan ha già presentato un piano in sei punti per “contrastare le nuove manifestazioni di razzismo e di odio basato sulla fede, soprattutto l’islamofobia” nel quartier generale delle Nazioni Unite. La presentazione è stata organizzata dal Pakistan insieme alla Turchia, alla Santa Sede e all’ONU.

Secondo quanto riportato, il piano è stato proposto dalla Rappresentante permanente del Pakistan presso le Nazioni Unite, l’ambasciatrice Maleeha Lodhi, in una sessione dal titolo “Contrastare il terrorismo e altri atti di violenza basati sulla religione o sulle convinzioni personali”.

“Uno sviluppo particolarmente allarmante è l’aumento dell’islamofobia che rappresenta la recente manifestazione dell’odio secolare che ha generato l’antisemitismo, il razzismo, l’apartheid e molte altre forme di discriminazione, ha affermato l’ambasciatrice in un discorso. E ha aggiunto: “Il mio primo ministro Imran Khan, di recente, ha invocato un intervento urgente per contrastare l’islamofobia, che oggi è l’espressione più diffusa di razzismo e odio contro ‘l’altro'”.

“Noi siamo fortemente impegnati a sostenere la strategia delle Nazioni Unite contro i discorsi di incitamento all’odio”, ha dichiarato l’ambasciatrice del Pakistan. “Questo è un momento per tutti noi di unirci per invertire l’ondata di odio e bigottismo che minaccia di minare la solidarietà sociale e la coesistenza pacifica”.

Nel 2017, il vicepresidente delle politiche pubbliche di Facebook, Joel Kaplan, avrebbe accolto le richieste del ministro dell’Interno pakistano Chaudhry Nisar Ali Khan di “rimuovere i falsi account e i contenuti espliciti, pieni di odio e provocatori, che incitano alla violenza e al terrorismo” a causa “del profondo turbamento e della viva preoccupazione espressa dall’intera umma per l’utilizzo improprio delle piattaforme dei social media per diffondere contenuti blasfemi”.

All’ONU, l’ambasciatrice del Pakistan Lodhi ha auspicato interventi governativi per combattere l’incitamento all’odio, anche da parte delle legislazioni nazionali, e avrebbe “evidenziato la necessità di elaborare una strategia più mirata per gestire le varie espressioni dell’islamofobia. È necessario un approccio da parte di un ‘intero governo’ e di una ‘intera società. A questo proposito, l’inviata pakistana ha esortato il segretario generale a coinvolgere una vasta gamma di attori, tra cui i governi, la società civile e i social media al fine di intervenire e di impedire agli utenti dei social media di incanalarsi nelle fonti online di radicalizzazione”.

La guerra senza quartiere delle Nazioni Unite contro la libertà di espressione è in corso.

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.

[1] Secondo l’Obiettivo 17 del Global Compact delle Nazioni Unite sull’immigrazione, gli Stati membri si impegnano a: “Promuovere una copertura mediatica di qualità indipendente e obiettiva, comprese le informazioni basate su Internet, anche sensibilizzando e formando i professionisti dei media sulle questioni relative alla migrazione e sulla terminologia da utilizzare, investendo in standard etici e in pubblicità e sospendendo l’erogazione di finanziamenti pubblici o il sostegno materiale ai media che sistematicamente promuovono l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione nei confronti dei migranti nel pieno rispetto della libertà dei media”. [Il corsivo è aggiunto]