Non essere schiavi del nostro scontento

𝐍𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐡𝐢𝐚𝐯𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐧𝐭𝐨
Leggi l’intervista di Luigi Iannone per Il Giornale

 

Non essere schiavi del nostro scontento

Intervista di Luigi Iannone per il Giornale

La retorica sul diritto alla felicità è un fatto tutto moderno, sancito addirittura dalla Costituzione americana. Infatti rimarchi che in latino esiste la definizione di contentus ma non il suo contrario.

La felicità è uno stato d’animo, non può essere un diritto garantito dalla legge; la felicità non passa dalle istituzioni e dai poteri, è una personale condizione spirituale, di solito effimera, è un combaciare raggiante con la vita, è la fugace pienezza del momento. La contentezza invece è un equilibrio più duraturo, meno gioioso ma più saldo. Lo scontento può essere una condizione interiore o sociale, civile, politica; nasce da uno squilibrio tra aspettative e realtà, insorge quando una situazione non ci piace.

A suscitare lo scontento è il paragone con un prototipo ideale e globale che ci porta a dissimulare lo scontento nella gioia
Lo scontento nasce da un deficit, un mancato riconoscimento, una situazione che reputiamo ingiusta, inaccettabile. Quel che definiamo odio, rancore, narcisismo è una rivalsa, ma è preceduta dallo scontento.

Ma chi è davvero lo scontento? Chi si sente deprivato della sua vita autentica o chi vuole vivere la vita degli altri… la vita che gli altri gli impongono?

Come il dubbio cartesiano, c’è uno scontento metodico e uno scontento sistematico; il primo è sano e proficuo e genera ricerca, creatività e miglioramento; il secondo è un alibi piagnone per non agire, non assumersi responsabilità, scaricare sempre sugli altri e sfocia nell’incontentabilità.

Classifichi diverse fonti di insoddisfazione. La prima riguarda il proprio corpo. Affermi che a differenza da quanto descritto dalla scuola di Francoforte, il nuovo potere non si fonda sulla repressione dell’eros e sulla «tolleranza repressiva». Ce lo spieghi meglio?

Il nuovo potere cerca di suscitare nei cittadini nuovi desideri perché creano nuove dipendenze, alimentano nuovi consumi e spostano l’attenzione pubblica su temi privati e su sfere bio-personali. Per desiderare fortemente qualcosa devono essere insoddisfatti di quel che sono e che hanno: a differenza del vecchio potere che preferiva sudditi contenti, il nuovo potere vuole cittadini insoddisfatti, scontenti di se stessi, del proprio corpo, di ciò che sono e come vivono. Ma poi succede, e ne spiego i passaggi, che la scontentezza privata sfugge al controllo e diventa malcontento…

Poi, c’è il debito sovrano che ereditiamo dalla nascita e ci pone in condizione permanente di subalternità.

Il debito sovrano ereditato dalla nascita è il nuovo peccato originale della neoreligione economicista. Lo stato di debitori permanenti ci pone in condizione di perenne subalternità e ricattabilità anche quando non abbiamo “colpe” personali: dobbiamo espiare cedendo sovranità e libertà.

Dedichi un capitolo alla scontentezza «urbana» e a tutto ciò che ci circonda, dal brutto dilagante alla tirannia del profitto, dall’invasione dei clandestini e ai senza dimora nelle città.

Le città sono diventate focolai di scontento: il brutto che ci circonda, la subordinazione della cittadinanza all’iper-consumo e l’invasione di migranti soffiano sulla scontentezza di vivere in quel contesto e generano un rapporto alienante con i luoghi in cui si abita.

L’Occidente rigetta i simboli, dal crocifisso al presepe, ed emergono censori che condannano chiunque voglia tutelare la nostra identità nazionale? Il dramma non è solo la decadenza ma la convinzione che sia impensabile uscirne.

Non solo: ma tutto ciò che appartiene alla nostra civiltà è vissuto con vergogna e senso di colpa. Dobbiamo essere scontenti della nostra identità, dei nostri simboli e delle nostre tradizioni, dobbiamo rigettarli. Questo ci insegna il nuovo Canone occidentale.

Impensabile uscirne tant’è vero che Utilizzi il termine “eutanasia”: coppie che non vogliono avere figli, ragazzi che se ne vanno all’estero, pensionati che prendono la cittadinanza in paesi dove il costo della vita è più basso.

È l’effetto collaterale di quella scontentezza e quell’incessante desiderio di altrove, incentrato sulla propria individualità, vissuta in modo egocentrico e utilitarista. Ogni fuga dai propri luoghi e dalle proprie responsabilità nasce da un’originaria insoddisfazione.

Citi Slavoj Žižek e Aleksandr Dugin come pensatori dello scontento radicale. Le loro teorie rappresentano dei parziali focolai di rivincita o la soluzione?

Sono due autori anti-sistema ma diversi. Zizek è un marxista lacaniano che è interessante per il suo sguardo provocatorio e i nessi che coglie tra pensiero e vita presente ma le sue soluzioni sono velleitarie e improponibili. Dugin è un critico coerente e radicale della modernità occidentale ma da un verso ha una deriva sovrumanista e dall’altro è ancorato a una visione russocentrica che non può essere la nostra.

E allora su quali autori o personalità è possibile fare riferimento?

Tra gli autori viventi, mi sembrano interessanti, oltre il sempre attivo Alain de Benoist, anche il tedesco-coreano byung chul han, il cattolico franco-tunisino fabrice Hadjadj, lo scrittore Michel Hoellebecq; poi ci sono preziosi riferimenti anche in altri ambiti, per esempio il fisico e inventore Federico Faggin…Sono i primi nomi che mi sovvengono.

«Se non sei contento della tua vita, non pretendere di cambiarla alla radice. E se non puoi cambiarle, fai in modo che almeno non cambino te». Non trovi una contraddizionenell’indicare il rigetto di ogni monopolio dopo aver affermato che tutto muove verso l’omologazione? E la tradizione, la trascendenza, la comunità, i legami, l’amore che indichi come vie d’uscita, siano ormai fuori da questo tempo e non più rintracciabili?

La tendenza prevalente del nostro Occidente è verso l’uniformità globale, ma poi c’è la realtà che insorge contro il modello prefabbricato e la mutazione transumana. E nella realtà c’è l’esperienza della vita vera, il riemergere della natura, la forza dei legami, la rivolta dell’intelligenza e l’innata disposizione religiosa, comunitaria, spirituale che partendo dallo scontento può dar luogo a una svolta, una rivoluzione conservatrice, un cambio di paradigma. Se pensassimo che non ci sia più niente avremmo smesso di essere umani.

11 novembre ‘22