No whatsapp? Sei fuori…
È tutta questione di… solidarietà.
Ricevo molte lettere inviatemi dalle persone che leggono i miei articoli e spesso rispondo privatamente. Ne ho ricevuta una nella quale una madre mi racconta una conversazione avuta con il proprio figlio, tramite whatsapp. Ho chiesto alla signora di poter condividere con voi qualche frase che mi ha particolarmente colpito, inserendola in un mio discorso più generale.
“Comprendo certo il tuo bisogno di dormire, direi che cerco sempre di comprenderti. Almeno ci metto la buona volontà. Comprendo la difficoltà tua di abitare una casa con un’altra persona che non hai scelto e che per di più è tua madre, che per di più ultimamente ha tanti problemi, senz’altro troppi per te e per la tua “capienza”. Spesso ultimamente ti ricordo il dover essere responsabili, da non confondere con il senso di colpa, che è sempre un senso, che striscia dentro di noi come una serpe, a fronte di una responsabilità non percepita e non condivisa (…). È vero che non si può pretendere nulla nella vita. E soprattutto dai figli. Se qualcosa ti danno, lo danno per amore. Lo daranno per amore. Se loro stessi, come figli, sono stati trattati con amore. Spesso sono stata giudicata e descritta tanto malamente da non riconoscermi. Io per prima devo imparare ad amarmi per come sono… È quando siamo deboli che siamo forti (…)”.
Quanto impegno. Quanti dubbi. Quante responsabilità per un genitore che, nonostante i mezzi siano cambiati e noi tutti stiamo cambiando, vuole stabilire un vero e proprio contatto con i propri figli attraverso le parole e non soltanto con silenzi empatici. Certo, ogni forma di empatia – meglio se emozionale e non solo cognitiva -, è determinante per la relazione interpersonale, ma imparare a trovare le parole giuste (per ciascun interlocutore), che possano descrivere la propria interiorità e l’esterno di sé stessi, è fortemente educativo.
La semplicità del discorso è fondamentale, come potete leggere in questi estratti della lettera. Il mio percepito è che il vero requisito per il successo è la potenza, ossia una sana gestione dell’attesa.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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