𝗠𝗼𝗿𝗮𝘃𝗶𝗮, 𝗱𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗼𝗺𝗶𝘀𝘀𝗶𝘀 𝗮𝗹𝗹’𝗼𝗯𝗹𝗶𝗼
È passato quasi inosservato nei giorni scorsi il trentennale della morte di Alberto Moravia. Quando era in vita Moravia era lo Scrittore per antonomasia, l’Intellettuale civile impegnato, il personaggio pubblico. Veniva citato e omaggiato come un Classico vivente. La sua immagine era dappertutto, al centro dei dibattiti, punto di riferimento dell’Intellettuale Collettivo.
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Moravia, dagli omissis all’oblio
È passato quasi inosservato nei giorni scorsi il trentennale della morte di Alberto Moravia. Quando era in vita Moravia era lo Scrittore per antonomasia, l’Intellettuale civile impegnato, il personaggio pubblico. Veniva citato e omaggiato come un Classico vivente. La sua immagine era dappertutto, al centro dei dibattiti, punto di riferimento dell’Intellettuale Collettivo. Le sue prese di posizione, i suoi ritratti, come quello che gli fece Guttuso (nella foto), le sue pose, le sue donne – da Elsa Morante che grandeggia su di lui a Dacia Maraini che alla sua ombra prende corpo come scrittrice – i suoi reportage di viaggi, il cinema, la sua Sabaudia che fu la Capalbio ante litteram, il suo moralismo ideologico, il suo vibrante discorso alla morte di Pasolini. Tanti suoi libri diventarono film. Poi subito dopo la sua morte, il suo nome scomparve, i suoi libri pure, tutto apparve passato remoto e polveroso. Di lui restò solo il secondo cognome a Carmen Llera, l’ultima sua consorte. E un paio di folte sopracciglia grandeggianti come cespugli nei suoi ritratti.
Eppure si parlava e si parla ancora tanto del suo sodale PierPaolo Pasolini, morto molto prima di lui, si ripubblicano i suoi scritti, si ridiscutono le sue tesi; invece di Moravia si sono perse le tracce. Dimenticato.
Ora, a trent’anni dalla morte, quasi coeva alla morte del Pci, è difficile risvegliare interesse intorno a lui: eppure, nonostante tutto alcune sue opere, dagli Indifferenti, opera più che precoce, alla Noia e La Ciociara (che parlò tra i primi delle marocchinate, le donne del centro-sud violentate dai marocchini dell’esercito alleato), hanno il respiro di testi significativi, rispecchiano una condizione, riflettono un’epoca e un mondo.
Moravia restò il prototipo dell’Intellettuale Impegnato, antifascista, vicino al Pci, di cui fu pure europarlamentare seppure “laico”. La macchina del consenso che a volte è macchina dell’oblio, aveva dimenticato il suo primo libro pubblicato con la casa editrice di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, l’Alpes; e poi la lettera col cappello in mano che Moravia aveva scritto a Galeazzo Ciano, genero del duce e ministro, per rassicurarlo che il suo libro Le ambizioni sbagliate era “tutt’altro che antitetico alla Rivoluzione fascista”; aveva dimenticato le coperture fasciste assicurategli da suo zio Augusto de Marsanich, gerarca e viceministro ai tempi del regime e poi primo presidente dell’Msi nel dopoguerra; non ricordava che suo cugino antifascista Carlo Rosselli lo riteneva un esponente scettico ma verace della “nuova generazione fascista”. Si dimenticò di Prezzolini che ai tempi del fascismo lo aveva invitato alla Columbia University negli Stati Uniti per far conoscere i suoi romanzi in America e che il famigerato Minculpop lo reclutò per un viaggio di Cina degli intellettuali nazionali (che poi, sull’onda di Malaparte, diventerà anni dopo la sua infatuazione maoista). Nessuno ricordava più, ai tempi del suo antifascismo militante e del suo ruolo di vetrina, gli aiutini di regime e la protezione dello stesso Duce ai suoi “Indifferenti”. Nessuno ricordava più che per anni Alberto Moravia era stato nel dopoguerra il segretario personale dell’Arcitaliano Curzio Malaparte a partire dalla sua rivista Prospettive. Può essere ancora istruttivo scorrere libri come Intellettuali sotto due bandiere di Nino Tripodi o Camerata dove sei? di Claudio Quarantotto (che si firmava Anonimo Nero) per rendersi conto di lui e dei suoi tanti compagni di viaggio che voltarono gabbana.
Col passare del tempo, Moravia era diventato “Il Conformista”, per citare il titolo di un suo libro, incarnava il Canone ideologico della cultura italiana. E dava la linea, sgridava gli eretici che non seguivano la linea progressista, marx-freudiana e filocomunista. Per esempio, nell’aprile del 1963 su L’Espresso Moravia rimproverava il compagno Pasolini per aver accettato di girare un film con Giovannino Guareschi un conservatore che era stato nel campo di concentramento nazista per la sua fedeltà al regno d’Italia. Moravia scriveva che “in questi tempi ci accade di vergognarci degli altri, riferendosi a Guareschi e invitando Pasolini a non cadere nella “trappola”. Sei troppo candido per Guareschi, diceva Alberto a Pierpaolo, non contaminarti. E usava proprio l’espressione “candido” per alludere all’omonimo settimanale di battaglia di Guareschi. Divertente era il perbenismo di Moravia che accusava Guareschi di scrivere per una rivista “pornografica” che era poi Il Borghese, per via delle foto osé al centro della rivista. Eppure alla letteratura pornografica in salsa psicanalitica Moravia avrebbe presto dato i suoi contributi (per esempio il pessimo romanzo Io e lui, solo per fare un esempio, dove lui è il suo organo sessuale).
Certo, uno scrittore non si può ridurre al suo ruolo civile e alle sue amnesie, alle sue piccole viltà, ai suoi camaleontismi e alle sue opere peggiori. E gli scrittori in fondo vanno giudicati per le opere e non per la biografia o il mondo in cui si comportarono nella vita pubblica. Però è bene non dimenticare l’emisfero in ombra di Moravia, soprattutto quando tutti gli altri tendono a non ricordarsene.
MV, La Verità 29 settembre 2020