Megalomani contemporanei
È tutta questione di… limiti universali.
Il funzionamento neurofisiologico del nostro cervello è una metafora della migliore società possibile sulla terra: una società nella quale le singole autonomie neuronali si trovano a stabilire regole di sopravvivenza in stretta relazione con le altre cellule cerebrali.
Ecco perché il continuo riferirmi al funzionamento cerebrale costituisce il punto di partenza, ma anche di arrivo, della mia proposta: il nostro cervello è un sistema esistenziale altamente autonomo nel funzionamento delle sue singole parti, e contemporaneamente solidale nel funzionamento generale.
Non esiste il secondo senza il primo e il primo produce necessariamente il secondo.
Da queste considerazioni emerge con una certa chiarezza che le azioni dei singoli neuroni, che possiamo metaforicamente definire comportamenti, sono l’espressione di una relazione con gli altri neuroni, senza la quale la singola cellula non avrebbe possibilità di esistere. Nel nostro cervello, essere single (com’è una singola cellula neuronale) è solo l’occasione biologica per formarsi la propria identità, frutto della relazione duratura con altre cellule single vicine.
In sostanza, nessuna cellula neuronale soffre di solitudine, e quindi nessuna di esse può essere megalomane, ossia credere di essere lei stessa il principio e la fine di tutto il funzionamento cerebrale.
E così siamo di fronte ad un altro tema assai caro agli esseri umani, ossia la grandezza della propria identità, lo spazio che il proprio io assume nel mondo, sia rispetto all’ambiente nel quale si vive quotidianamente, sia rispetto all’idea che ogni persona elabora di se stessa. È in questa dimensione mentale che si annidano le idee di megalomania, di supervalutazione del proprio ego, come le espressioni di timidezza e inadeguatezza rispetto al mondo.
E sono molte le caratteristiche-sintomatologie che ci permettono di capire se siamo in possesso di una mente relativamente sana.
E dico relativamente, perché nel caso della nostra natura umana non è possibile ipotecare il futuro con assoluta certezza, anche in nome di un imponderabile che si nasconde dietro ogni nostra azione e intenzione.
La cautela, quando si parla di mente, come di molte altre cose del mondo, non è mai troppa, e un buon atteggiamento prudenziale è la cosa migliore, specialmente quando si tratta di non abbassare troppo la guardia nei confronti di sé stessi.
Ebbene, penso che sarebbe necessario l’assunzione di questo atteggiamento da parte dei cosiddetti potenti del mondo, perché potrebbe essere foriero di risultati positivi e meno angoscianti.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).