Martina e Renzi in festa

Martina-e-Renzi-150x150Martina e Renzi in festa
Tutta questione di… separazione.

Al termine di un’estate dolorosa, finalmente una domenica 9 settembre 2018 di grande divertimento.

Doppio, perché gli skecht esilaranti sono andati in scena simultaneamente, su palcoscenici diversi ma allestiti dentro lo stesso teatro.

Mi riferisco ai discorsi tenuti da Martina alla Festa dell’Unità a Ravenna e a quello di Renzi alla Festa dell’Unità a Firenze. Modalità diverse, aplomb diversi, identico lo sbando. Martina, dal palco della festa (anche se mi risulta difficile capire cosa vi sia da festeggiare…), lancia la preghiera che ogni papà pronuncerebbe, nella disperazione di vedere i suoi figli in lite, con la piccola differenza che detta da Martina ha il sapore di un querulo e patetico richiamo a qualcosa che non esiste più: “Basta litigi nel PD, vogliamoci bene”.

Vogliamoci bene? Dapprima, il PD elimina la sinistra dall’universo politico italiano; apre le porte ai cosiddetti “populisti” (che, in realtà, sono solo “popolari”, e lo credo bene!) e poi pensa di richiamare le coscienze dei suoi dicendo “vogliamoci bene”? Caro Martina, ti sono sfuggiti, almeno almeno, un paio di passaggi storico-dialettici.

Il PD ha commesso il più grave dei peccati capitali che si possano consumare in politica: la tracotanza. I greci la chiamavano “hybris”, declinandola ora epicamente nella sfida dell’uomo verso l’accaparramento delle prerogative divine, ora nella tragedia. Ora, nella condotta umana, colpevole di aver violato le immutabili leggi poste dagli Dei, ora giuridicamente, come l’oltraggio commesso senza spargimento di sangue e, quindi, una condotta disgustosa di per sé.

Sì, signor Martina, il suo PD ha offeso fin nel midollo i suoi elettori, sfidandoli e rapinandoli in ciò che di più caro aveva la sinistra, ossia la propria identità intellettuale di movimento politico, il cui credo era l’equità nella ripartizione delle ricchezze; stesse possibilità di accesso al lavoro, alla vita politica, e alla sanità. In una parola, al “sociale”.

Avete deciso di dare l’abbrivio alle scalate finanziarie, rovinando migliaia di famiglie italiane, per portarle sul lastrico. Avete terminato il processo di distruzione nelle politiche di accesso e mantenimento del lavoro. Avete creato i cerchi magici, ammantandoli di quell’autoreferenzialità che fa tanto ridere se portata avanti dal Marchese del Grillo, ma che provoca un conato acido, quando portata avanti da chi si dice erede del PCI. Forti e sicuri di voi, vi siete schiantati sullo scoglio del 4 marzo 2018, e il fatto che il nocchiero fosse Renzi non elimina le responsabilità altrui, comprese le sue, signor Martina. Inutile dire che il PD non è neppure stato sfiorato dalla decenza di una propria messa in discussione sostanziale. Se ne sono accorti tutti (e per primi i vostri elettori), e il piantino di pochi dirigenti del partito è stato solo di facciata.

E adesso la sua ricetta sarebbe il “volemose bene, semo tutti ‘na famiglia”? Mi scusi, ma alcuni italiani hanno ancora un cervello funzionante e, quindi, la carta del pietismo e dell’approssimazione affettiva del figliol prodigo (e rammentiamolo bene, la parabola guarda al padre e non al figlio) che ritorna a casa solo perché ha finito la trippa, è una carta a punteggio zero. Dall’altra parte, il supertecnologico Renzi che, giammai rivolgendosi da un palco (avrebbe fatto troppo radical proletario e nient’affatto chic), con una diretta Facebook, ci ammonisce: “Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato”.

Beh, a parte lo stile da Jocker versus Batman, l’enfant che non è stato in grado di essere “prodige” nemmeno davanti a Mike Bongiorno, dimostra che la sua vita è un bellissimo sogno dentro un impermeabile. Tutto accade, si svolge senza che qualcosa lo tocchi. Ha distrutto il PD, e a dirlo non sono solo i suoi avversari politici o i suoi compagni di partito, ma i militanti; ha abbandonato la sacca umana del bisogno sociale, e cioè la vera roccaforte della sinistra; ha lasciato senza sepoltura i cadaveri della Banca dell’Etruria e anche quelli del Monte dei Paschi. E mi fermo. Non voglio fare l’elenco quasi infinito della spesa.

Ma nulla lo tocca, perché la colpa è degli altri che non hanno capito le mirabolanti cose che lui ha fatto e detto. E poiché non lo hanno capito, tornerà alla carica per rilanciare. Vuole persino andare nelle scuole, dopo la boiata della “Buona scuola”! Forse ha preso qualche ripetizione da Berlusconi, e vuole dimostrare ancora meglio come sia un suo bravo, anzi bravissimo, studentello.

Ecco, mi sento di dare un consiglio a entrambi, Martina e Renzi. Forse è venuto il momento che vi facciate quattro passi dentro voi stessi in un luogo lontano dall’Italia. Magari un posto che, a quanto pare, i politici italiani scelgono come buen ritiro: il Guatemala. E rimaneteci anche tanto. Non sentiremo affatto la Vostra mancanza.

Anzi.

 

 

alessandro_bertirotti3Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).

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