Magistratura_poli
È tutta questione di… schifezza.
Prima o poi (nella nostra nazione, potremmo togliere il “prima” e lasciare sempre e solo il “poi”…) sarebbe venuto fuori “lo stile organizzativo” di uno dei poteri fondamentali dello Stato.
Il fatto è, nella sostanza e per arrivare immediatamente al punto centrale del mio articolo, che questo stile alligna ovunque nella nostra nazione. Questo procedere per tradizione culinario-familistica è nella politica, nella magistratura, nella vita quotidiana di ogni italiano.
Perché? Perché siamo levantini, ed abbiamo la corruzione e la collusione nel DNA, con una particolare cura a tramandarla come essenziale ai nostri figli, quando desiderano farsi una posizione che permetta loro di sopravvivere. Una sopravvivenza al minimo, perché se si vuole ascendere agli alti gradini della scala sociale, entrano in gioco le diverse qualità dei rapporti clientelari e familistici. In altri termini, dipende da quali famiglie si conoscono, quali rapporti precostituiti esistono nella tradizione amicale con le diverse famiglie, e se è ancora spendibile la serie quasi infinita di crediti e debiti esistenziali.
Ecco, tutto qui e semplicemente.
Infatti, è il primo articolo che dedico alla questione Palamara (e non penso affatto sia un caso isolato), mentre ritengo che una parte della magistratura abbia vita assai difficile nel fare onestamente il proprio mestiere, utilizzando comportamenti e convinzioni etiche para-nazionali.
Siamo ad un punto tale di sfiducia nelle Istituzioni italiane, che, certamente, nel prossimo futuro qualche cosa dovrà ben accadere, specialmente da parte di un popolo italiano che, per ora, ha ancora di che nutrirsi.
Non so quanto potrà durare tutto questo.
Siamo di fronte ad un tale livello di collusione massificata, non disgiunta dalla relativa corruzione, che non restiamo affatto sorpresi di fronte ai “furbetti del cartellino”, alle tangenti metropolitane milanesi, ai vari “Bibbiano”, ai milioni non restituiti di qualche partito, alla presenza di parlamentari indagati e persino condannati, ai condoni edilizi romani, e via elencando.
Come potersi fermare, di fronte a questa decadenza?
Ci penserà l’evoluzione, con la determinazione di quelle catastrofi che da sempre sono accadute, salvando i nuovi posteri, e con l’aiuto di quella umanità che continua a rendere la specie un insieme di individui abortivi.
La natura non tollera al suo interno la presenza di sistemi viventi che vadano contro la sua stessa sopravvivenza.
Ed io… che speravo in zio Covid-19. Dovrò attendere, ma, come sapete, non perdo la speranza.
Mai.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).