𝐌𝐚𝐚𝐬𝐭𝐫𝐢𝐜𝐡𝐭 𝐞 𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐥𝐬𝐚 𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚
Trent’anni fa, a Maastricht, nasceva il Trattato che avrebbe dato vita all’Europa Unita e morte alle sovranità nazionali.
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Maastricht e la falsa Europa
Trent’anni fa, a Maastricht, nasceva il Trattato che avrebbe dato vita all’Europa Unita e morte alle sovranità nazionali. La pandemia ha sepolto da due anni ogni critica all’Unione Europea e ne ha congelato assetti e funzioni. Mentre veniva eletta alla presidenza del Parlamento europeo una popolare in passato anti-abortista, Emmanuel Macron chiedeva che l’aborto diventasse un diritto tra quelli fondamentali dell’Ue, insieme all’ambiente. E la neopresidente, la maltese Roberta Matsola, si affrettava al suo insediamento a garantire che il suo peccato originale, aver criticato l’aborto, verrà accantonato nel suo ruolo di presidente dell’Europarlamento. C’è una Maastricht ideologica a senso unico che accompagna sottotraccia la Maastricht economico-finanziaria del Trattato firmato nel ’92; a cui si è piegato anche il maggior partito europeo, il Popolare, d’ispirazione cristiana. L’Europa oggi è un reticolo di prescrizioni, divieti, obblighi che sovrastano gli stati nazionali; pure i prestiti e i sostegni sono condizionati al “comportamento” dei governanti locali.
In tema d’Europa è uscito ora un libro, Roger Scruton, a cura di Luigi Iannone e Gennaro Malgieri (ed. Giubilei Regnani, pp.330, 22 euro), dedicato al filosofo inglese scomparso due anni fa. Sono raccolti vari contributi interessanti sul filosofo conservatore e sono pubblicati due testi importanti. Uno è dello stesso Scruton. Parlando di Democrazia globale in una sala del Parlamento italiano, Scruton notava che “la maggior parte delle leggi che sono imposte dall’Unione europea vengono scritte da burocrati che nessuno ha mai eletto e che a nessuno rendono conto dei propri errori”. E la stessa cosa accade con le decisioni che riguardano la nostra vita promanate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Riguardano la materia religiosa, i diritti civili, le identità culturali e sessuali; investono direttamente la civiltà europea e le tradizioni giuridiche degli Stati. Un’élite transnazionale per Scruton confisca le decisioni; e la forte spinta verso la governance mondiale allontana dalla democrazia e dalle sovranità popolari. Scruton auspicava che la politica controbilanciasse questa spinta, che è al tempo stesso gestione dall’alto e uniformazione nel basso a un modello derivato da una ben precisa ideologia progressista e correttiva. L’Unione europea, notava il filosofo, non resiste alla globalizzazione ma ne è anzi una sua forma. Perfino il principio di sussidiarietà sbandierato nei trattati comunitari è in realtà un modo per esercitare “un controllo onnipervasivo” dei vertici unionisti e delle commissioni, fino a privare gli Stati nazionali dei poteri legislativi.
Ancora più importante è la Dichiarazione di Parigi che Scruton e altri studiosi di tutta Europa (mancavano solo gli italiani) sottoscrissero nel 2017 e che viene qui pubblicata. Si tratta di un appello a favore dell’Europa che esordisce così: “L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa”. L’Ue appare una caricatura a senso unico dell’Europa, nutrita da un pregiudizio invincibile contro il suo passato. Una falsa Europa ci minaccia, grida l’appello, un’Europa tirannica e utopica, che ripudia le sue radici cristiane e quelle classiche, greche e romane. L’Europa vera è una comunità di nazioni, con lingue, tradizioni e confini propri. La sua unità nella diversità è naturale e la sua rappresentazione storica più coerente fu l’impero; ma dopo il suo tramonto ci sono rimasti gli Stati-nazione, “segno distintivo dell’Europa”. L’Europa, avvertono i firmatari, non è iniziata con l’illuminismo né può ridursi a quell’universalismo “spurio” che impone la perdita della memoria e il ripudio di sé. “I padrini dell’Europa falsa costruiscono la loro fasulla cristianità di diritti umani universali e noi perdiamo la nostra casa”. Ad essa si aggiunge la liberazione da ogni freno, le libertà sessuali, l’edonismo libertino, l’individualismo e i frutti del ’68 che “ha distrutto ma non ha costruito”. Ma al contempo si restringe la libertà di parola, aumenta la tirannia tecnologica, viene colpito ogni dissenso, viene promosso un egualitarismo che sfocia nella “colonizzazione delle nostre patrie”. I ceti intellettuali, notano Scruton e gli altri studiosi, sono in preda alla boria dell’Europa falsa e ritengono che pensiero critico voglia dire solo “ricusazione del passato”. Così “l’Europa è dominata da un materialismo privo di obiettivi, incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie”, mascherato nei surrogati pseudocristiani di una religione umanitaria. Qualche perplessità desta l’appello quando auspica di “risecolarizzare la vita politica dell’Europa” e “ripristinare un vero e proprio liberalismo”: bisognerebbe meglio intendersi su queste espressioni, considerando che la secolarizzazione e il liberalismo sono stati finora i veicoli di quella perdita di identità e di tradizione della civiltà europea.
Poi l’appello esorta a “resistere al culto della competenza che s’impone a spese della sapienza, del garbo e della ricerca di una vita colta”; si appella alla dignità umana, alla famiglia come fondamento della società civile e auspica che i mercati siano “ordinati verso fini sociali”. Il populismo è una scorciatoia emotiva e semplicistica ma rappresenta “una sana ribellione contro la tirannia dell’Europa falsa”. Come dire che il populismo è prezioso per quel che combatte e per le ragioni da cui sorge; ma non è efficace come linea di governo e guida per i popoli.
Quest’Europa è falsa perché costruita a rovescio: i piedi diventarono la sua testa – l’economia e la tecnocrazia al posto della politica e dell’identità – e anziché proteggere l’Europa dall’esterno, protegge l’Europa dagli Stati nazionali che la costituiscono. Imbelle rispetto al mondo, oppressiva al suo interno. Da qui il suo storico fallimento.
MV, La Verità (26 gennaio 2022)