𝐌𝐚 𝐢𝐥 𝐂𝐚𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐢𝐧𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐦𝐚𝐯𝐚 𝐁𝐞𝐫𝐠𝐨𝐠𝐥𝐢𝐨
Il 31 agosto di dieci anni fa moriva il Cardinale Carlo Maria Martini, il papa mancato, il più autorevole prelato della chiesa progressista, per un ventennio arcivescovo di Milano.
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Ma il Cardinal Martini non amava Bergoglio
Il 31 agosto di dieci anni fa moriva il Cardinale Carlo Maria Martini, il papa mancato, il più autorevole prelato della chiesa progressista, per un ventennio arcivescovo di Milano. Molti videro Bergoglio come frutto della sua ispirazione, scelto al suo posto a pochi mesi dalla sua scomparsa. In realtà Martini non stimava Bergoglio e benché gesuita come lui non lo considerava affatto nel suo solco. A ulteriore conferma è passata inosservata la testimonianza resa da Andrea Riccardi sul Corriere della sera. Alla vigilia del Conclave che portò all’elezione di Ratzinger nel 2005, racconta il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, con Martini “Parlammo di nomi e io accennai con un certo entusiasmo al nome di Bergoglio: «Andrea, allora è molto cambiato da come lo conosco». Chiuse il discorso con freddezza. Martini partecipava all’establishment della Compagnia, che non aveva un buon giudizio dell’ex-provinciale argentino Bergoglio. Ratzinger non era nelle sue corde, ma alla fine tra colleghi professori, anche se non si è d’accordo, si riconosce il valore dell’altro”. Un valore che non era affatto riconosciuto a Bergoglio, considerato tutt’altro che “progressista”. Alla morte di Martini, pochi mesi dopo, avvenne il cataclisma nella Chiesa: Ratzinger si dimise, fu eletto Bergoglio, avemmo due papi, uno in carica e l’altro emerito.
Martini fu celebrato alla sua morte, dai giornali, dai tg e dagli intellettuali come il papa dei non credenti: una definizione che poi sembrò meritare proprio Bergoglio a giudicare dai suoi dialoghi e dalle simpatie che ha raccolto tra i non credenti. Salutato come capofila del cattolicesimo progressista, del cardinal Martini furono elencati i suoi principali meriti: preferì rivolgersi ai pensanti piuttosto che ai credenti, istituì la cattedra dei non credenti, si distinse dalla Chiesa aprendo all’eutanasia, all’aborto, alle coppie gay, agli atei, agli islamici, rifiutò la messa in latino e sostenne la necessità di «superare le tradizioni religiose». Un curriculum notevole per un intellettuale, con i suoi dubbi e le sue aperture; ma per un sacerdote, per un cardinale, per un uomo della Chiesa, può dirsi altrettanto? Certo, il Cardinal Martini non fu solo questo, fu anche un biblista insigne, una figura carismatica e spirituale, si ritirò a Gerusalemme; ma per i media e per il mondo il principale merito di Martini fu di non sembrare un cardinale e un uomo della Chiesa. Ma è davvero una virtù non sembrare quel che si è, neutralizzare la propria missione o renderla accettabile a chi la rifiuta, confondersi col proprio tempo e tingersi dei suoi colori, fin nei capelli? E’ questo che chiediamo a un pastore, a un uomo di fede e di chiesa, di parlare il gergo della contemporaneità, di assecondare lo spirito del tempo anziché invocare il tempo dello spirito? Non ci bastano e ci avanzano le tante cattedre di ateismo, di laicismo e di progressismo che ci sono in giro per chiedere che anche dentro la religione vi siano spazi e argomenti in favore dei non credenti e delle loro tesi? Siamo bombardati dai precetti laici della modernità miscredente e dai canoni del progressismo; non avremmo piuttosto bisogno di qualcuno che ci rappresenti l’amore per il divino, per il sacro e per la tradizione? E chi dovrebbe farlo se non un uomo della Chiesa, un Arcivescovo, un Sacerdote? É demolita ovunque l’Autorità e l’autorevolezza delle istituzioni, anche se poi al loro posto ci sono nuovi canoni obbligati, nuovi poteri dominanti, magari più intolleranti degli altri: non si chiede oggi a chi rappresenta la religione di assumersi sulle spalle la croce di contravvenire a questi nuovi dispotismi nel nome perenne della Tradizione e della fede in Dio? Un conto è dialogare coi «gentili», come ha fatto anche Ratzinger, e di confrontarsi anche con mondi estranei e avversi; un altro è sposare il loro punto di vista o scendere sul loro stesso terreno, fino a omologarsi, e rappresentare soltanto la versione religiosa all’interno dell’ateismo dominante. Non si tratta di barricarsi nella Chiesa degli anatemi e dell’integralismo e di ignorare il mondo e il nichilismo che avanza; si tratta di affrontare il mondo a viso aperto, dando visibilità alla fede cristiana, testimoniando la passione di verità e non la priorità del dubbio, testimoniando l’amore per l’eterno e non solo per il proprio tempo. Una scelta spirituale che si incarna, e non una scelta intellettuale, o peggio ideologica, che si storicizza.
Nei giorni che precedettero la morte di Martini, Papa Benedetto XVI, ricordò che Giuda aveva tradito Gesù perché voleva spingerlo a fondare non una nuova religione ma un movimento politico ribelle all’impero romano. La lettura di Ratzinger lanciò allora un forte messaggio alla Chiesa e alle sue tentazioni radicali e progressiste: chi riduce Gesù a un rivoluzionario e il cristianesimo a messaggio di redenzione politica e riscatto sociale, tradisce Cristo come Giuda. Il ribelle zelota Giuda nega il valore religioso del cristianesimo e lo riduce a rivolta politica e sociale, attaccando l’impero romano ma non intaccando la religione ebraica. Era in fondo la tesi di don Primo Mazzolari di un Cristo ribelle, distruttore, liberatore e nemico del potere. Un Gesù giacobino, come quello che piaceva ad alcuni preti d’assalto. La riabilitazione di Giuda come rivoluzionario era stata pure la tesi di uno scrittore ateo, massone e radicale dell’ottocento, Fernando Petruccelli della Gattina, che su quella interpretazione aveva costruito un romanzo, Memorie di Giuda; ed era la tesi esposta in tempi più vicini al nostro dal giurista laico, non credente e radicale Gustavo Zagrebelsky.
Secondo Ratzinger Gesù Cristo non è avversario di Roma, non è un rivoluzionario, ma fonda una nuova religione, e perciò dissente dal sinedrio, che lo condanna al patibolo. La lezione di Ratzinger era una risposta alla Chiesa progressista che ruotava intorno a Martini. La promessa cristiana è la resurrezione, non la rivoluzione; è la vita eterna, non il progresso. Sarebbe giusto ricordarsene oggi, a dieci anni dalla morte di Martini, sotto il pontificato di Bergoglio e del Concistoro da lui ridisegnato a sua immagine e somiglianza. La Chiesa non segue il cammino del tempo ma di Cristo.
La Verità (31 agosto 2022)