L’Islam nel cuore dell’Inghilterra e della Francia
di Denis MacEoin
24 maggio 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Islam in the Heart of England and France
Traduzioni di Angelita La Spada
“In questa città, ci sono molte scuole private musulmane e madrasse. Fanno tutte finta di predicare la tolleranza, l’amore e la pace, ma non è vero. Dietro le loro mura ci costringono a ripetere i versetti del Corano, a proposito di odio e intolleranza.” – Ali, un 18enne di origine francese, il cui padre si è radicalizzato.
“In Inghilterra, sono liberi di esprimersi. Non parlano che di divieti, impongono la loro visione rigida dell’Islam, ma d’altra parte non ascoltano nessuno, soprattutto quelli che non sono d’accordo con loro.” – Yasmina, a proposito dei musulmani estremisti presenti nel Regno Unito.
“Birmingham è peggio di Molenbeek” – il quartiere di Bruxelles che secondo The Guardian “sta diventando noto come l’epicentro del jihadismo in Europa”. – Un commentatore francese, che ha ripubblicato un articolo di Rachida Samouri.
La città di Birmingham nelle Midlands occidentali, il cuore dell’Inghilterra, il luogo in cui è iniziata la Rivoluzione industriale, la seconda città più popolosa del Regno Unito e l’ottava d’Europa, oggi è la città più pericolosa della Gran Bretagna. Con una popolazione musulmana in forte crescita, cinque delle sue circoscrizioni elettorali presentano il più elevato livello di radicalizzazione e terrorismo del paese.
Nel febbraio scorso, la giornalista francese Rachida Samouri ha pubblicato un articolo nel quotidiano parigino Le Figaro in cui ha raccontato le sue esperienze durante una visita nella città inglese. Nell’articolo titolato “Birmingham à l’heure islamiste”, la giornalista descrive la sua preoccupazione per la crescente separazione tra i valori normativi britannici e quelli di molte enclave islamiche. La Samouri menziona il quartiere di Small Heath, dove quasi il 95 per cento della popolazione è musulmano, le bambine indossano il velo, la maggior parte degli uomini ha la barba e le donne portano lo jilbab e il niqab per coprire corpi e volti. I banchi al mercato chiudono durante le ore di preghiera; i negozi espongono in vetrina capi di abbigliamento islamico e le librerie sono tutte religiose. Le donne da lei intervistate dichiarano che la Francia è una dittatura basata sul laicismo (laïcité), che a loro dire è “un pretesto per attaccare i musulmani”. Dicono anche di approvare il Regno Unito perché permette loro di indossare il velo integrale.
Un’altra giovane donna, Yasmina, spiega che, sebbene lei possa frequentare i locali notturni, di giorno però è costretta a indossare il velo e l’abaya [la lunga tunica nera]. E poi parla degli estremisti:
“In Inghilterra, sono liberi di esprimersi. Non parlano che di divieti, impongono la loro visione rigida dell’Islam, ma d’altra parte non ascoltano nessuno, soprattutto quelli che non sono d’accordo con loro”.
Riferendosi alle scuole statali, la Samouri tratteggia “una islamizzazione dell’istruzione che è impensabile nella nostra repubblica [francese] laica”. Poi, intervista Ali, un 18enne di origine francese, il cui padre si è radicalizzato. Il giovane racconta così la sua esperienza di educazione islamica:
“In questa città, ci sono molte scuole private musulmane e madrasse. Fanno tutte finta di predicare la tolleranza, l’amore e la pace, ma non è vero. Dietro le loro mura ci costringono a ripetere i versetti del Corano, a proposito di odio e intolleranza”.
Ali parla della ferrea disciplina che gli è stata imposta, dei maltrattamenti subiti, delle punizioni che gli sono state inflitte per essersi rifiutato di imparare a memoria il Corano senza comprendere una parola o per aver ammesso di avere una ragazza.
La Samouri osserva che per i giovani predicatori musulmani “la legge della Sharia rimane la sola salvezza dell’anima e l’unico codice di leggi al quale dobbiamo fare riferimento”. La giornalista intervista alcuni membri di un “tribunale” della Sharia prima di parlare con Gina Khan, una ex musulmana che fa parte dell’organizzazione anti-Sharia One Law for All. Secondo la giornalista, Gina Khan – una femminista laica – considera i tribunali “un pretesto per tenere le donne sotto pressione e un mezzo per i fondamentalisti religiosi grazie al quale estendere la loro influenza nella comunità”.
Mobin, un altro adolescente di origine francese spiega come suo padre preferisca Birmingham alla Francia perché “si può indossare il velo senza problemi e si possono trovare scuole dove le classi non sono miste”. Secondo il giovane, “Birmingham è un po’ come un paese musulmano. Siamo tra noi, non ci mescoliamo agli altri. È difficile”.
La stessa Samouri rileva come sia inquietante questo contrasto tra la Francia e l’Inghilterra musulmana. E lo sintetizza così:
“Uno stato dentro lo stato o piuttosto un’islamizzazione rampante di una parte della società, qualcosa che la Francia è riuscita ad evitare per ora, anche se il suo modello di laicità comincia a essere messo alla prova”.
Un altro commentatore francese, ripubblicando l’articolo della Samouri, scrive: “Birmingham è peggio di Molenbeek” – il quartiere di Bruxelles che secondo The Guardian “sta diventando noto come l’epicentro del jihadismo in Europa”.
Il paragone con Molenbeek può sembrare un po’ esagerato. Ciò che è incomprensibile è che i giornalisti francesi si concentrino su una città britannica quando, in realtà, la situazione in Francia – nonostante il suo laicismo – è in qualche modo molto più grave che nel Regno Unito. Articoli recenti hanno rilevato il crescente amore per l’Islam della Francia e la sempre maggiore debolezza di quest’ultima di fronte alla criminalità islamista. Questa debolezza è incorniciata da un desiderio politicamente corretto di insistere su una politica multiculturalista, a costo di fidarsi degli estremisti musulmani e delle organizzazioni fondamentaliste. Il risultato? Gli attentati jihadisti in Francia sono stati tra i peggiori della storia. Si calcola che il paese ha circa 751 no-go zones (“zones urbaines sensibles”), luoghi in cui la violenza estrema scoppia di tanto in tanto e dove la polizia, i vigili del fuoco e altre forze dell’ordine non osano addentrarsi per paura di provocare ulteriore violenza.
Molte autorità nazionali e gran parte dei media negano l’esistenza di queste enclave, ma come di recente ha spiegato l’esperto norvegese Fjordman:
Se dite che esistono alcune zone in cui anche la polizia ha paura di addentrarsi, dove le normali leggi laiche del paese si applicano con difficoltà, allora è indiscutibile che zone di questo tipo esistono ora in diversi paesi dell’Europa occidentale. La Francia è uno dei più colpiti: ha un’alta concentrazione di immigrati arabi e africani, tra cui milioni di musulmani.
Nel Regno Unito, non esistono zone del genere, certamente non a questo livello. In molte città, ci sono enclave musulmane in cui un non musulmano può non essere il benvenuto; luoghi che assomigliano al Pakistan o al Bangladesh più che all’Inghilterra. Ma nessuno di questi posti è una no-go zone nel senso francese, tedesco o svedese – luoghi in cui la polizia, le ambulanze e i vigili del fuoco vengono aggrediti se entrano e in cui l’unico modo di accedervi (per spegnere un incendio, ad esempio) è sotto scorta armata.
La Samouri apre l’articolo scrivendo:
“Nei quartieri popolari della seconda città dell’Inghilterra, lo stile di vita settario degli islamisti tende a imporsi e minaccia di far saltare una società vittima della sua utopia multiculturalista”.
Ha visto qualcosa che è sfuggito ai giornalisti britannici?
Il paragone con Molenbeek può non sembrare del tutto esagerato. In un report di un migliaio di pagine dal titolo “Terrorismo islamista: Analisi dei reati e degli attacchi nel Regno Unito (1998-2015)”, realizzato dalla stimata analista Hannah Stuart per la Henry Jackson Society, Birmingham è citata più di una volta come la principale fonte di terrorismo della Gran Bretagna.[1]
Una conclusione che emerge dal rapporto è che le condanne per terrorismo sono raddoppiate negli ultimi cinque anni. Peggio ancora, il numero degli autori di reati che non erano già noti alle autorità è aumentato considerevolmente. Il coinvolgimento delle donne nel terrorismo, sebbene in misura minore rispetto agli uomini, “è triplicato nello stesso periodo”. In modo allarmante, “proporzionalmente, i reati implicanti atti violenti come decapitazioni o accoltellamenti (pianificati o meno) sono aumentati di undici volte passando dal 4 per cento al 44 per cento” (p.xi).
Soltanto il 10 per cento degli attacchi è stato commesso da “lupi solitari”, quasi l’80 per cento era affiliato, ispirato o collegato a reti dell’estremismo – con il 25 per cento legato ad al-Muhajiroun. Come sottolineato nel report, questa organizzazione (che ha assunto nomi diversi) un tempo era difesa da alcuni funzionari di Whitehall – una chiara indicazione questa dell’ingenuità del governo.
Una conclusione più importante è che esiste un chiaro nesso fra zone musulmane inaccessibili e terrorismo. Come sottolinea un articolo del Times sull’analisi della Henry Jackson Society, questo legame “è stato precedentemente negato da molti”. Da un lato:
Quasi la metà di tutti i musulmani vive in quartieri dove i musulmani sono meno di un quinto della popolazione. Tuttavia, un numero sproporzionatamente basso di terroristi islamisti – il 38 per cento – proviene da tali quartieri. Nella città di Leicester, che ha una considerevole popolazione musulmana ben integrata, sono cresciuti soltanto due terroristi negli ultimi 19 anni.
Ma dall’altro lato:
Solo il 14 per cento dei musulmani britannici vive in quartieri dove i musulmani sono più del 60 per cento dei residenti. Tuttavia, il report rileva che il 24 per cento di tutti i terroristi islamisti proviene da tali quartieri. Birmingham, città con un’alta proporzione di musulmani che vivono isolati, è forse un esempio chiave del fenomeno.
Il rapporto continua asserendo:
In solo cinque – e tutte a Birmingham – delle 9.500 circoscrizioni del paese si contano 26 persone condannate per terrorismo, un decimo del totale nazionale. Queste circoscrizioni – Springfield, Sparkbrook, Hodge Hill, Washwood Heath e Bordesley Gree – annoverano zone piuttosto ampie dove la stragrande maggioranza della popolazione è musulmana.
A Birmingham, con 234mila musulmani residenti nelle sue 40 circoscrizioni, sono 39 le persone finora condannate per terrorismo. Questa cifra supera quella del totale degli arrestati per lo stesso reato nel West Yorkshire, Greater Manchester e Lancashire dove vivono circa 650mila musulmani, che sono quasi tre volte gli islamici residenti a Birmingham. Ci sono sacche di elevata segregazione nel nord dell’Inghilterra, ma sono molto più piccole di quelle di Birmingham.
Il maggior numero di persone condannate per terrorismo, 117, proviene da Londra, ma questa cifra è approssimativamente proporzionata al milione o poco più di musulmani residenti nella capitale.
L’autrice dello studio, Hannah Stuart, ha osservato che il suo lavoro ha sollevato “difficili interrogativi su come l’estremismo metta radici nelle comunità svantaggiate, molte delle quali hanno elevati livelli di segregazione. È necessario fare molto di più per sfidare l’estremismo e promuovere il pluralismo e l’integrazione in loco”.
Molti osservatori dicono che Birmingham non ha superato questo test:
“È una situazione davvero strana”, ha dichiarato Matt Bennett, consigliere dell’opposizione al Comune: “Si può avere questa comunità chiusa che è tagliata fuori dal resto della città in molti modi. La leadership del Comune non desidera in particolar modo interagire direttamente con le persone di origine asiatica – quello che le piace fare è conversare con qualcuno al quale poter ‘offrire’ il proprio sostegno”.
Chiaramente, non stupisce affatto che la mancanza di integrazione sia la radice di un problema crescente. Questo è il tema centrale dell’importante rapporto che Madame Louise Casey ha presentato nel dicembre scorso al governo britannico. Commissionato dall’ex-premier David Cameron, “The Casey Review: A review into opportunity and integration” identifica alcune comunità musulmane (essenzialmente quelle costituite da immigrati pakistani e bengalesi e i loro figli) come le più resistenti all’integrazione in seno alla società britannica. Queste comunità fanno poco o nulla per incoraggiare i bambini a partecipare ad eventi, attività o momenti di formazione-non musulmani; molte delle loro donne non parlano una parola d’inglese e non svolgono alcun ruolo nell’ambito della società più ampia; e sono in parecchi a dire di preferire la legge islamica della Sharia alla legge britannica.
La Casey fa esplicitamente riferimento al famigerato piano del “Cavallo di Troia” scoperto nel 2014, un complotto di estremisti islamici per introdurre le dottrine e le pratiche salafite fondamentaliste in una serie di scuole di Birmingham – non solo scuole private di fede islamica, ma anche ordinarie scuole pubbliche (pp. 114 ff.): “volevano assumere il controllo di un certo numero di scuole di Birmingham per dirigerle conformemente ai rigorosi principi islamici…”.
È importante rilevare che non si trattava di scuole “islamiche” o “confessionali”. [L’ex-capo dell’antiterrorismo britannico] Peter Clarke, nel suo rapporto del luglio 2014 affermava:
“Ho potuto constatare che le scuole dove si ritiene siano accaduti questi fatti sono scuole pubbliche non confessionali…”.
Clarke ha rilevato una serie di comportamenti inappropriati nelle scuole, come atti di bullismo, intimidazioni, modifiche dei programmi scolastici, proselitismo improprio in scuole non confessionali, disparità di trattamento e separazione. Ecco alcuni esempi specifici:
una discussione sui social media tra insegnanti è stata definita la “Park View Brotherhood”, in cui le idee omofobiche, estremiste e settarie contenute erano diffuse alla Park View Academy e in altre scuole;
gli insegnanti lanciavano messaggi anti-occidentali nelle assemblee dicendo che i bianchi non avrebbero mai avuto a cuore gli interessi dei bambini musulmani;
l’introduzione delle preghiere del venerdì nelle scuole pubbliche non confessionali e le pressioni esercitate sul personale e gli studenti affinché vi partecipassero. In una scuola, è stato installato un sistema di diffusione sonora per chiamare gli allievi alla preghiera, e attraverso il quale un membro del personale rimproverava gli studenti che si trovavano nel cortile e non partecipavano alla preghiera e metteva in imbarazzo alcune ragazze per l’attenzione che veniva loro rivolta perché alle giovani con il ciclo mestruale non è consentito di partecipare alla preghiera; e
il personale di grado superiore che chiamava gli studenti e lo staff che non partecipavano alle preghiere “k****r”. (Kuffar, il plurale di kafir, è un termine offensivo che sta per “miscredenti”. Questo affronto riproduce la tecnica salafita di stigmatizzare i musulmani moderati o riformisti come non musulmani che possono essere uccisi perché apostati.)
La Casey poi cita la conclusione di Clarke:
“Ci sono state azioni coordinate, deliberate e continue, condotte da un certo numero di individui per introdurre un’etica islamica intollerante e aggressiva in alcune scuole di Birmingham. Tale obiettivo è stato conseguito in un certo numero di scuole acquisendo influenza sugli organi direttivi, nominando dirigenti scolastici o funzionari solidali, piazzando persone che condividessero le loro idee in posizioni chiave, e cercando di rimuovere i dirigenti scolastici che non erano compiacenti abbastanza”.
Secondo la Casey, la situazione, anche se migliorata dal 2014, rimane instabile. E in una lettera inviata al ministro dell’Istruzione, la funzionaria governativa cita sir Michael Wilshaw, il capo dell’Ofsted, il servizio nazionale inglese di ispezione scolastica, che ha dichiarato non più tardi dell’8 luglio 2016, che la situazione “resta fragile”, con:
una minoranza di persone della comunità che sono ancora intenzionate a destabilizzare queste scuole;
una mancanza di sostegno coordinato offerto alle scuole per istituire buone prassi;
una cultura della paura in cui gli insegnanti si trovano ad operare che è latente ma non è scomparsa;
un’intimidazione manifesta da parte di alcuni elementi della comunità locale;
una concertata resistenza all’educazione personale, sociale e alla salute (PSHE) e alla promozione della parità.
La Casey inoltre rileva altre due problemi esistenti soltanto a Birmingham, che fanno luce sulla popolazione musulmana della città. A Birmingham la stragrande maggioranza delle donne musulmane non conosce l’inglese (p.96) ed è presente il maggior numero di moschee (161) del Regno Unito (p. 125).
Da anni il governo britannico blandisce la popolazione musulmana. Il governo era chiaramente convinto che i musulmani si sarebbero integrati, assimilati e sarebbero diventati pienamente britannici, come avevano fatto i primi immigrati. Più di un sondaggio ha tuttavia mostrato che le generazioni più giovani sono ancor più fondamentaliste dei loro genitori e dei nonni, che sono arrivati direttamente dai paesi musulmani. Le generazioni più giovani sono nate in Gran Bretagna, ma all’epoca in cui l’Islam estremista sta crescendo a livello internazionale, in particolare nei paesi con cui le famiglie musulmane britanniche hanno stretti legami. Non solo, ma un gran numero di predicatori fondamentalisti continua a passare per le enclave musulmane inglesi. Questi predicatori tengono liberamente sermoni nelle moschee e nei centri islamici rivolti alle organizzazioni giovanili, nei collage e nei campi universitari.
Infine, vale la pena notare che Khalid Masood, un convertito all’Islam che ha ucciso quattro persone, ferendone molte altre, durante l’attacco sferrato a marzo davanti al Parlamento britannico, aveva vissuto a Birmingham prima di recarsi a Londra per fare il jihad.
È giunto il momento di pensare seriamente ai modi in cui la moderna tolleranza britannica dell’intolleranza e il consenso per un gradito multiculturalismo pacifista hanno favorito questa regressione. Birmingham è probabilmente il posto dove iniziare.
Denis MacEoin è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute. Ha appena finito di scrivere un libro sui motivi di preoccupazione riguardo all’Islam nel Regno Unito.