La superficialità di questo pezzo è sconcertante!! Pensavamo che fossero stati superati gli stereotipi che la propaganda di regime ci ha propinano fino a qualche tempo fa. Invece si ripetono similitudini pregiudiziali che non fanno onore a chi scrive e alla verità. Il nostro ricordo e il nostro rispetto va agli antenati di questa sfortunata che hanno combattuto e hanno dato la vita per un ideale. Asserire che il regno Piemontese e la vile stirpe Sabauda non volevano annettersi l’italia meridionale è uno stereotipo non suffragato da nessuna circostanza storica e quindi falso.
Il generale cialdini, è la minuscola è d’obbligo ha fatto uccidere donne e bambini inermi. Ha fatto violentare da truppe mercenarie il nostro borgo fiorente che non si era macchiato di alcuna colpa. Egli porterà sempre associato al suo nome la sua nefandezza e nessuna giustificazione militare lo potrà mai scagionare.
Carlo Perugini
Da http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/05/25/news/l_ignoranza_su_cialdini_del_consiglio_comunale-166351581/?refresh_ce
L’ignoranza su Cialdini del consiglio comunale
Il generale fu certamente reo delle stragi di Pontelandolfo e Casalduni, ma l’errore è costruire su queste vicende il rimpianto borbonico, il sanfedismo clericale, la rivalutazione delle rivolte dei briganti
di FRANCESCO BARBAGALLO 25 maggio 2017
Il generale Cialdini
È passato più di un secolo e mezzo dall’unificazione italiana. Ma la questione meridionale, il ritardo del Sud rispetto al Nord non sono stati risolti. Anzi, in questo precario XXI secolo, il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica di tutti i governi italiani, di qualsiasi colore. Già nel 2009 l’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi aveva espresso un definitivo epitaffio. Il Mezzogiorno d’Italia era ormai sparito.
Si comprende quindi che la delusione e lo scoramento siano diffusi nel Sud che, pur dopo tanti cambiamenti, resta la terra dell’esodo: una volta di contadini e artigiani analfabeti, oggi di giovani laureati e diplomati. Poco comprensibile invece appare il grande successo che stanno avendo da parecchi anni, tra le genti del Sud, avventate e infondate ricostruzioni pseudo–storiche che rilanciano il rimpianto borbonico, il sanfedismo clericale, le rivolte dei briganti.
1 – Neo-sudismo, scadente ideologia
Cadono le braccia di fronte alla delibera unanime del consiglio comunale di Napoli che ha tolto la cittadinanza al generale Cialdini, certamente reo della strage di Pontelandolfo e di Casalduni, seguìta all’uccisione di quaranta carabinieri che si erano arresi alla violenza dei briganti.
Desta stupore in chi ancora pensa che il Risorgimento e l’unità italiana, insieme alla Resistenza antifascista e alla Costituzione repubblicana, siano le cose più preziose prodotte da questo Paese, assistere agli entusiasmi reazionari di nuove forze politiche che si pretendono innovative e addirittura rivoluzionarie.
I movimenti di de Magistris e di Grillo, al Comune e alla Regione, hanno di recente richiesto l’istituzione di una giornata della memoria per i briganti meridionali. In questo deserto attuale della conoscenza storica ho già ricordato che non furono i piemontesi a conquistare il Regno delle Due Sicilie, ma furono i democratici e repubblicani Garibaldi e Mazzini a consegnare il Mezzogiorno ai piemontesi, che peraltro ne avrebbero fatto volentieri a meno.
È impressionante e rappresentativo dell’attuale degrado dell’arte politica e amministrativa che movimenti che si dichiarano innovativi inseguano antiche vicende che sostanzialmente ignorano, invece di cercare nuove strade di organizzazione e di sviluppo per una metropoli e una regione ridotte ai margini della storia attuale.
Diversamente da quanto pensano gli ingenui grillini, i briganti non si definiscono come patrioti insorti contro un invasore straniero. Ma sono una costante presenza criminale nel Mezzogiorno pre-unitario, come sapevano bene gli aristocratici viaggiatori stranieri che si avventuravano oltre le mura della grande capitale, in quel “paradiso abitato da diavoli”, secondo il corrente stereotipo letterario.
«Quando si parla dell’Italia meridionale e delle regioni circostanti Roma – scriveva un attento storico pugliese quale Guglielmo Pepe – non bisognerebbe mai dimenticare che si parla di Paesi nei quali il brigantaggio è stato endemico per secoli; dove a dirla con schiettezza il brigantaggio era una classe sociale e il capo brigante una forza contesa dai politici ». Già nell’estate 1861 si determinò una rapida espansione delle insorgenze contadine, acuita dalle mancate ripartizioni delle terre demaniali. Si estese la formazione e l’attività delle bande brigantesche. Si sviluppò una vasta guerriglia soprattutto di soldati e sottoufficiali del disciolto esercito borbonico.
Nel conflitto esploso tra il neonato Stato italiano e la Chiesa cattolica, l’intensa propaganda del clero meridionale colpito dalle leggi contro la manomorta ecclesiastica chiudeva il cerchio di una estesa rivolta, che aveva un solido fondamento sociale e un preciso obiettivo politico: la restaurazione borbonica col sostegno di papa Pio IX, che ospitava Francesco II, e di potenze quali l’Austria, la Spagna e la stessa Francia. La feroce guerriglia esplosa
in tutte le province meridionali diffuse in Europa l’idea della precarietà del processo unitario e della fragilità del nuovo Stato italiano.
Il generale Enrico Cialdini, che veniva dall’esperienza della guerriglia carlista in Spagna, assunse il comando del VI corpo d’armata dell’esercito italiano inviato a reprimere le rivolte. Fu una guerra feroce, da entrambe le parti. Fece più morti delle guerre d’indipendenza.