“Lavoro, tecnologia, conflitti. È in corso una rivoluzione”
24 Dicembre 2023
Il filosofo Massimo Cacciari: “L’Ia ci pone davanti a un bivio sul nostro futuro. Ma la frontiera ultima sarà una nuova intelligenza”
Eleonora Barbieri
Professor Massimo Cacciari, come sta?
«E come si può stare? La dimensione pubblica della mia anima è a pezzi. Il mondo, l’Europa: stiamo attraversando un grande cambiamento di fase».
Verso quale direzione?
«I filosofi sono come l’uccello di Minerva: sanno solo quello che è stato; e poi noi, come diceva Aristotele, siamo talpe: più le cose sono evidenti e alla luce del sole, meno le vediamo. Quindi ci risulta difficile seguire una via ragionevole…».
È un periodo di particolare incertezza, a livello globale.
«Non riusciamo a orientarci per cecità. Ma è chiaro che non si possa governare il mondo risolvendolo in una monarchia, nel comando di uno solo, a meno di rischiare una catastrofe mondiale. L’unica soluzione è stringere una serie di patti ragionevolmente fondati fra i potenti di questa terra, che riconoscano i reciproci interessi e cerchino di mediarli. Solo che vedere la soluzione è difficile e praticarla ancora di più».
Una sfida per la politica?
«Il problema è che non si va nella direzione di gestire questa sfida, bensì c’è una frenesia di moltiplicare i fronti e le situazioni di conflitto armato».
Che ne è della nostra identità in tutto questo?
«E qual è l’identità? Che cos’è? L’identità europea, sempre che ci sia, è la critica di ogni ideologia identitaria. Quanto all’identità del singolo, essa è ancora più misteriosa: nasciamo con la domanda conosci te stesso, Dio ci invita a questa ricerca infinita e incompibile… Questa è un’esperienza quotidiana per tutti, ma vale tanto più per l’identità culturale, nazionale o di una civiltà, come la nostra. L’identità europea, se c’è, è la sua complessità».
Che cosa ci aspetta?
«Siamo nel pieno di un mutamento d’epoca che riguarda gli equilibri internazionali geopolitici, la questione di chi guiderà i processi di cambiamento da un punto di vista storico, la trasformazione radicale della questione del lavoro e, forse, dell’idea stessa di lavoro, che è strettamente collegata alla questione dell’Intelligenza artificiale e della sua pervasività».
Come dovremmo affrontarle?
«Ci troviamo a un bivio, in cui capiremo se questa tecnologia servirà a renderci liberi dalla pena del lavoro ripetitivo e meccanico e ci consentirà di partecipare alla ricchezza prodotta, senza subire la legge del mercato e del lavoro, o se sarà un processo per cui ci disoccuperemo, senza sapere che cosa fare della nostra anima e vivendo di contributi. Ma, per imboccare la strada virtuosa, abbiamo bisogno di grande politica, a livello nazionale e internazionale, perché tali questioni possono essere poste solo su un piano globale».
È preoccupato?
«Sono preoccupatissimo. Perché la strada più semplice è quella che stiamo seguendo oggi: i ricchi diventano sempre più ricchi e governano questa trasformazione; gli altri diventano sempre più poveri, e specialmente il nostro Paese, perché l’impoverimento colpisce soprattutto i più deboli. Non è un destino inesorabile ma, se manca una volontà politica globale, fallisce qualsiasi potere della politica, anche per avviare i minimi processi redistribuitivi. Ma oggi la politica è pura retorica».
Che cosa le manca?
«In un momento di trasformazione è normale che un ceto politico e culturale vada in crisi, perché deve adeguarsi: il fatto è che, da noi, questo adeguamento è lentissimo. Il problema è mettere la questione all’ordine del giorno, anziché nascondere la spazzatura sotto il tappeto… Non possiamo fingere di poter andare avanti con una aspirina: la questione è un salto d’epoca».
Che cos’è questo salto?
«Una trasformazione radicale dal punto di vista geopolitico, dell’immigrazione e di una rivoluzione tecnologica molto più intensa di quella della rivoluzione industriale. Questa tecnologia ha un aspetto ancora più interessante: la questione vera non è l’Intelligenza artificiale, bensì l’intervento che modifica la nostra intelligenza naturale, la manipolazione della nostra genetica e della nostra biologia. Questa è la frontiera ultima. L’Ia non è che un passo verso un’intelligenza nuova, naturale e artificiale insieme».
Non la inquieta?
«Mi inquieta tutto, ma l’inquietudine fa parte dell’intelligenza: cogitare è co-agitare, pensare è agitarsi».
Nel suo nuovo saggio, Metafisica concreta, uscito da poco per Adelphi, lei si occupa proprio del pensiero e del suo essere calato nella realtà: per affrontare tutte queste sfide ci serve anche un pensiero diverso?
«Bisogna conoscere la scienza e averne coscienza: cercare di conoscere e corrispondere al senso di questi indirizzi che sconvolgono il nostro mondo e avere consapevolezza delle possibilità e delle potenzialità che da essi emergono; possibilità che possono incontrare alcuni nostri desideri profondi, come quello di liberarci dal lavoro come necessità o, al contrario, renderci totalmente inutili. Il pensiero deve criticare radicalmente queste prospettive, da quella più diffusa dell’incoscienza all’apologia, più o meno velata».
Che altro?
«Deve criticare la falsa coscienza e l’ideologia sottostante. Questa è metafisica per me, una considerazione oltre il fisico, ciò che immediatamente appare: i dati celano fatti – un’azione, un agire – e devo capire quale ruolo possa avere la mia coscienza nella consapevolezza che, oltre i dati, ci sono destini, destinazioni, fini, sensi e possibilità di intervenire».
Esisteranno ancora l’arte, la religione, la filosofia?
«Ci sono dimensioni del nostro essere che non sono calcolabili e che distinguono il nostro esserci dall’artificio: la filosofia deve mettere in evidenza proprio quali siano; ma guai a pensare che questi aspetti siano trascendenti, che siano in un altro mondo».
Come sono?
«Tutte le forme del nostro fare sono determinate, sono in questo mondo e hanno a che fare con tutti i problemi di questo mondo, tecnologici, politici, economici. La filosofia deve spiegare le relazioni fra queste dimensioni e i linguaggi di esse: anche questa è scienza, scienza del nostro esserci. Aristotele diceva che anche l’anima vuole una fisica, ovvero una psicologia scientifica, una neurologia».
Ha fiducia?
«Come tutte le epoche rivoluzionarie, di cambiamento di stato, anche questa è piena di dynamys, di potenze: uno può svolgerle, collocarsi in quella dimensione e agire in essa, oppure no. Dobbiamo deciderlo noi, liberamente – o, almeno, così ci pare che avvenga, e anche questo è un altro problema… Comunque, io posso decidere di intraprendere un cammino, ma poi il compimento di quel cammino è nelle mani degli dèi».
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