𝐋’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚 𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐢𝐚
Ci stanno iniettando la terza dose di malinconia. Una società stanca e impaurita subisce alle porte di Natale un altro assedio della malinconia.
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L’Europa unita dalla malinconia
Ci stanno iniettando la terza dose di malinconia. Una società stanca e impaurita subisce alle porte di Natale un altro assedio della malinconia. La malinconia presente nasce dall’incrocio tra il clima e le aspettative: da una parte il timore che da un momento all’altro vengano fuori nuove o vecchie restrizioni; dall’altra la prospettiva che non ci libereremo da virus e vaccini ma dovremo convivere a lungo con queste limitazioni, profilassi e paure. La situazione è aggravata dalla percezione che i vaccini non bastino per evitare rischi e chiusure; non è bastata la duplice e così larga copertura vaccinale, siamo di nuovo esposti, vulnerabili. Vaghe minacce pendono sulle nostre teste, zone limitate, vaccini resi ormai ciclici e praticamente obbligati, incertezza su ogni iniziativa, viaggio, spostamento, impegno futuro. Un’atmosfera epocale diventa condizione personale e di gruppo. E non si sa a chi e a cosa attribuire la situazione, oltreché alla cattiva sorte. Non dirò nulla sulle responsabilità politiche e sanitarie e sulla campagna contro veri e presunti untori e capri espiatori. Vorrei invece soffermarmi sullo stato d’animo cupo che pervade la nostra società in questi giorni che precedono il Natale. Sta accadendo qualcosa sul piano umano, sul piano psicologico, sul piano spirituale, per la pandemia che ha colpito un’epoca e tiene in scacco interi popoli e continenti. Stiamo per entrare nel terzo anno del virus, della sua dominazione planetaria e della psicosi diffusa che è stata generata e propagata dai media e dagli organismi preposti a fronteggiare l’emergenza, dopo averla decretata.
L’Europa appare ormai il continente della malinconia; è forse l’unica cosa, al di fuori dell’economia, che la unisce. A questo ci ha condotti questa lunga, martellante, ossessiva campagna sul covid e le sue varianti. Un continente vecchio, abitato da vecchi, dove i decessi superano le nascite; spompato e sfibrato, invaso da flussi migratori e indotto a vergognarsi di se stesso, che già non crede più a nulla, inclusa la fiducia nel futuro, ormai patisce ancor più della malattia e dei suoi vaccini, questa somministrazione obbligata di malinconia. È questo sentimento oggi che accomuna gli europei ed è forse l’unico legame.
Si è diffusa una sensazione pubblica di infelicità, come di una situazione in cui non c’è scampo e non concede tregua al libero esporsi della vita. Qualcuno dirà che la felicità è un sentimento interiore, privato, personale, e non passa dagli spazi pubblici e sociali; ma abbiamo sperimentato nei nostri cuori e nelle nostre menti che ci sono eventi pubblici, costrizioni e orizzonti sociali ed epocali che inevitabilmente ricadono sulla vita e sul sentire delle persone, fino a toccare l’intimità e la sensibilità. C’è una felicità pubblica come una felicità privata, e a volta le due cose s’intrecciano; non coincidono ma interagiscono, hanno terre di confine in cui si toccano e si influenzano. E la stessa cosa si può dire dell’infelicità. Stiamo subendo anche a livello personale, affettivo e famigliare, gli effetti letali e virali di questa infelicità “politica”; e stiamo rielaborando dentro di noi quel che succede fuori di noi. Stiamo cioè interiorizzando la malinconia di Stato, che ormai da troppo tempo ci tocca abitare e frequentare.
Sarà che siamo entrati in questo tunnel senza anticorpi spirituali e morali, non abbiamo contrappesi adeguati né vie d’uscita; sarà che eravamo impreparati e che siamo ormai lontani, non solo per nostra responsabilità, incuria o scetticismo, da ogni visione, istituzione e consolazione religiosa. Non abbiamo preghiere contro il male, non abbiamo riti, liturgie, processioni per esorcizzarla, non abbiamo santi, sacerdoti e taumaturghi anche se non mancano le vittime e non sono mancati esempi generosi di dedizione, fino al sacrificio. Siamo sguarniti, non protetti sul piano spirituale, esposti al suo umor nero, prima che al suo contagio. Ci manca un piano di salvezza per fronteggiare la salute nelle sue ricadute psicologiche. E manca una prospettiva di pienezza per ridare senso alla vita.
Siamo stati investiti da questo flusso di malinconia e non riusciamo neanche ad elaborare la perdita di senso, futuro e libertà. Non manca dunque solo la fede in qualcosa di superiore ma anche un pensiero all’altezza della situazione, in grado di darci una ragione per vivere e per affrontare il frangente con risorse adeguate. È una strana sensazione, ma non ci sentiamo salvati, immunizzati o scampati al pericolo anzi non ci sentiamo al riparo nemmeno seguendo tutte le indicazioni e le inoculazioni preventive. Non solo perché è incerta e fallibile la medicina, e vistosi sono i suoi fallimenti ma perché la malinconia che ne deriva non può essere ospedalizzata né affrontata con rimedi farmaceutici.
A volte hai l’impressione di abitare il pianeta della malinconia, perché nessun luogo della terra appare al sicuro o immune da quell’atmosfera e da quell’umore. La globalizzazione della malattia e della sua sindrome ha prodotto i suoi effetti universali, non limitati solo a chi contrae il virus e ne patisce gli effetti.
La prospettiva dell’inverno e ancor più la stridente attesa di Natale, incupiscono questa situazione, accrescono con i timori, allungano l’ombra della malinconia. Di solito la vena malinconica si acuisce in prossimità delle feste, c’è sempre un nesso tra festività natalizie, passaggio d’anno e tristezza. Comunque non è bello sapere che l’unico sentimento di appartenenza che unisce gli europei è in questa comune percezione di melanconia.
MV, La Verità (10 dicembre 2021)