L’Europa reagisce con le candele e gli orsacchiotti
di Giulio Meotti – 2 giugno 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Europe Fights Back with Candles and Teddy Bears
Traduzioni di Angelita La Spada
L’Europa non ha ancora capito che il terrorismo che ha colpito le sue metropoli è una guerra e non l’errore di alcune persone disturbate che hanno frainteso la religione islamica.
Ma a quanto pare non siamo pronti ad abbandonare le nostre masochistiche regole di ingaggio, che privilegiano le vite del nemico alle nostre.
Sembra che per l’Europa il terrorismo islamico non sia reale, ma soltanto una momentanea interruzione della sua routine. Noi lottiamo contro il cambiamento climatico, la malaria e la fame in Africa. Ma non siamo pronti a batterci per la nostra civiltà? Ci siamo già arresi?
Quella che segue è una lunga e triste lista delle vittime del terrorismo di matrice islamica in Europa:
Madrid: 191. Londra: 58. Amsterdam: 1. Parigi: 148. Bruxelles: 36. Copenaghen: 2. Nizza: 86. Stoccolma: 5. Berlino: 12. Manchester: 22. Senza contare poi le centinaia di europei che sono stati massacrati all’estero, a Bali, a Sousse, a Dakka, a Gerusalemme, a Sharm el-Sheikh, a Istanbul.
Ma dopo 567 morti per terrorismo, l’Europa non ha ancora capito. Soltanto nella prima metà del 2017, in Europa, sono stati compiuti o sventati attacchi terroristici mediamente ogni nove giorni. Pertanto, malgrado questa offensiva islamista, l’Europa reagisce con orsacchiotti, candele, fiori, veglie, hashtag di Twitter e vignette.
Dopo l’11 settembre e 2.996 vittime, gli Stati Uniti sotto la presidenza di George W. Bush hanno raccolto la sfida. Gli Usa e alcuni coraggiosi alleati europei, come il Regno Unito, l’Italia e la Spagna, hanno dimostrato di essere “il cavallo più forte”. I combattenti islamici si sono messi sulla difensiva; le reclute jihadiste sono diminuite e decine di attacchi terroristici sono stati sventati. Ma questa risposta ha avuto vita breve. L’Europa si è rapidamente ritirata dal fronte e gli islamisti hanno esportato la guerra sul suolo europeo: Madrid, Londra, Theo van Gogh…
Da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare: un calcolo semplice mostra che siamo passati da un attacco ogni due anni a uno ogni nove giorni. Negli ultimi sei mesi sono state colpite Berlino, Londra, Stoccolma, Parigi e ora Manchester.
L’Europa non ha ancora capito che il terrorismo che ha colpito le sue metropoli è una guerra e non l’errore di alcune persone disturbate che hanno frainteso la religione islamica. Oggi ci sono più musulmani britannici nelle file dell’Isis che nelle Forze armate britanniche. Secondo Alexandre Mendel, autore del libro La France djihadiste, ci sono più salafiti violenti in Francia che soldati nell’esercito svedese.
Tredici anni dopo l’attentato ferroviario di Madrid, i leader europei replicano lo stesso copione: nascondere le immagini del dolore, per non spaventare nessuno; nascondere che gli aggressori islamisti sono “made in Europe”; ripetere che “l’Islam è una religione di pace”; imbrigliare le nostre libertà, pur proclamando che non cambieremo “stile di vita”; e sradicare i fondamentali della nostra civiltà – libertà di espressione, libertà di pensiero, libertà di movimento, libertà di religione – le basi stesse dell’Occidente giudaico-cristiano.
L’Islam radicale è la più grande minaccia per l’Europa dopo il nazismo e il comunismo sovietico. Ma noi non siamo ancora disposti a mettere in discussione i pilastri ideologici e politici che hanno portato all’attuale disastro, come il multiculturalismo e l’immigrazione di massa. Non sono mai state prese dure misure antiterrorismo, le uniche che potrebbero rompere i piani dei terroristi e distruggere il loro morale. Si tratterebbe di chiudere le moschee, espellere gli imam radicali, vietare i finanziamenti esteri delle moschee, chiudere le organizzazioni non governative tossiche, congelare i sussidi statali ai jihadisti europei, astenersi dal flirtare con i jihadisti e impedire il ritorno dei combattenti in Europa.
Riteniamo che la guerra e il genocidio siano dei meri errori commessi dalle nostre agenzie di intelligence.
Consideriamo l’Islam radicale come una “malattia mentale” di cui sono affette alcune persone disturbate. Intanto, ogni settimana in Francia vengono aperte due nuove moschee salafite, mentre l’Islam radicale è predicato in più di 2.300 moschee francesi. Migliaia di musulmani europei sono partiti per fare il jihad in Siria e Iraq, e i fondamentalisti prendono il controllo delle moschee e dei centri islamici. A Bruxelles, tutte le moschee sono controllate dai salafiti, che diffondono l’Islam radicale tra le masse musulmane.
La triste verità è che l’Europa non ha mai avuto la volontà politica di fare la guerra all’Isis e ad altri gruppi jihadisti. Diversamente, Raqqa e Mosul sarebbero già state neutralizzate. Invece, gli islamisti hanno preso il controllo di Molenbeek, in Belgio, delle banlieu francesi e di vaste aree della Gran Bretagna. Ora dovremmo festeggiare la liberazione di Mosul e il ritorno dei cristiani nelle loro case, invece stiamo piangendo 22 persone uccise e 64 ferite da un attentatore suicida a Manchester, e 29 cristiani massacrati in Egitto il 26 maggio scorso.
Una lotta seria richiederebbe il massiccio bombardamento per eliminare il maggior numero di islamisti possibile. Ma a quanto pare non siamo pronti ad abbandonare le nostre masochistiche regole di ingaggio, che privilegiano le vite del nemico alle nostre. L’Europa non ha mai preteso che le sue comunità musulmane sconfessassero il jihadismo e la legge islamica, la sharia. Questo silenzio è ciò che aiuta gli islamisti a chiudere la bocca ai dissidenti musulmani coraggiosi. Intanto, gli eserciti europei si assottigliano giorno dopo giorno, come se già considerassimo finita questa partita.
Dopo ogni attacco, i leader europei riciclano gli stessi slogan vuoti: “Andiamo avanti”, “Noi siamo più forti”, “La vita continua”. Il sindaco musulmano di Londra Sadiq Khan ci dice che occorre abituarsi alle carneficine quotidiane! Egli sostiene che la minaccia degli attacchi terroristici “fa parte della vita di una grande città” e le grandi città del mondo “devono prepararsi a questo genere di cose”. Khan è davvero convinto che dobbiamo abituarci al massacro dei nostri figli come all’Arena di Manchester? Il terrorismo islamico è ormai diventato parte del paesaggio di tante grandi città europee: Parigi, Copenaghen, Nizza, Tolosa, Berlino…
Anziché concentrarsi sul jihad e sull’Islam radicale, i leader europei continuano a parlare della “minaccia russa”. Sarebbe un errore trascurare l’espansionismo russo. Ma le truppe di Vladimir Putin hanno attaccato Westminster? Gli agenti russi si sono fatti esplodere, togliendo la vita ai bambini che assistevano a un concerto a Manchester? È stata un’ex spia sovietica a massacrare gli svedesi che camminavano per strada a Stoccolma? Per i leader europei, parlare di Putin sembra essere una gradita distrazione dai veri nemici.
Lo scrittore francese Philippe Muray ha scritto nel suo libro Chers Jihadistes:
“Cari Jihadisti! Temete l’ira dell’uomo in bermuda! Temete l’ira del consumatore, del viaggiatore, del turista, del vacanziere che sbarca dal suo camper! Ci immaginate sprofondati nei piaceri e nei loisirs che ci hanno rammolliti.”
Sembra che per l’Europa il terrorismo islamico non sia reale, ma soltanto una momentanea interruzione della sua routine. Noi lottiamo contro il cambiamento climatico, la malaria e la fame in Africa e per l’uguaglianza nel mondo. Ma non siamo pronti a batterci per la nostra civiltà? Oppure ci siamo già arresi?
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.