“L’Europa non sarà l’Europa”

“L’Europa non sarà l’Europa”

di Guy Millière 22 giugno 2019

Pezzo in lingua originale inglese: “Europe Will Not Be Europe”
Traduzioni di Angelita La Spada

Nel Regno Unito, la vittoria del Brexit Party, con il 31,6 per cento dei voti, è stata un risultato notevole che ha mostrato l’ostinata intenzione di milioni di cittadini britannici di uscire dall’Unione europea. Le posizioni “populiste” – la difesa della sovranità nazionale e della civiltà europea, il rifiuto dell’immigrazione incontrollata e i diktat dei tecnocrati di Bruxelles – hanno guadagnato terreno.

I partiti che governano l’Europa da decenni hanno ottenuto scarsi risultati, ma – salvo rare eccezioni – non sono crollati e continueranno a dominare l’Unione europea.

I Verdi possono guadagnare più influenza, con le conseguenze che ne derivano. A chiunque legga i programmi dei Verdi risulta evidente che sono essenzialmente di sinistra con una maschera ambientalista ed ecologista. Sono favorevoli all’immigrazione incontrollata e al multiculturalismo. Sono (…) decisamente ostili a qualsiasi difesa della civiltà occidentale, alla libera impresa e al libero mercato. Sono spesso a favore della crescita zero. La maggior parte di loro appoggia una visione apocalittica del cambiamento climatico e afferma che la sopravvivenza dell’umanità sarà presto a rischio, se l’Europa non prenderà misure drastiche per “salvare il pianeta”. Tutti quanti sono favorevoli a decisioni autoritarie imposte da Bruxelles all’intera Europa.

Un Parlamento europeo sotto l’influenza dei Verdi accelererà quasi certamente lo slittamento verso un maggiore potere conferito ai membri non eletti della Commissione europea e verso una graduale eliminazione dell’energia nucleare e dei combustibili fossili. Le politiche favorevoli a un’ulteriore immigrazione sono già in fase di preparazione.

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(Fonte dell’immagine: iStock)

La sera del 26 maggio, il vicepremier e ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini ha così commentato i risultati delle elezioni europee: “È nata una nuova Europa”. Il partito da lui guidato, la Lega, aveva appena vinto con il 34,3 per cento dei voti. Ma hanno vinto anche altri partiti definiti in Europa come “populisti”: in Ungheria, l’alleanza Fidesz-KDNP (Unione civica ungherese e il Partito popolare cristiano democratico) ) ha ottenuto il 52,3 per cento dei consensi. In Polonia, il PiS (Diritto e Giustizia) ha vinto con il 45,4 per cento dei voti.

Il Partito popolare austriaco (ÖVP) di Sebastian Kurz ) ha conquistato il 34,6 per cento delle preferenze e il Partito della libertà austriaco (FPÖ), suo alleato, ha preso il 17,2 per cento dei voti, nonostante un recente scandalo che ha portato alle dimissioni di Heinz-Christian Strache, presidente del FPÖ, dalla carica di vicecancelliere austriaco (il governo Kurtz è caduto il 27 maggio). Nel Regno Unito, la vittoria del Brexit Party, con il 31,6 per cento dei voti, è stata un risultato notevole che ha mostrato l’ostinata intenzione di milioni di cittadini britannici di uscire dall’Unione europea. Le posizioni “populiste” – la difesa della sovranità nazionale e della civiltà europea, il rifiuto dell’immigrazione incontrollata e i diktat dei tecnocrati di Bruxelles – hanno guadagnato terreno.

In molti paesi europei, tuttavia, i risultati dei “populisti” sono stati contrastanti. In Francia, Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen, è arrivato primo, ma con il 23,3 per cento dei voti: solo lo 0,9 per cento in più rispetto a République en Marche, fondato tre anni fa da Emmanuel Macron. L’estrema impopolarità del presidente francese a quanto parte gli è costata molto cara. In Svezia, i Democratici svedesi hanno ottenuto il 15,4 per cento dei voti, ossia il due per cento in meno rispetto alle elezioni politiche svedesi del 2018. Alternativa per la Germania (AfD) ha ricevuto l’11 per cento dei voti. In Belgio, il Vlams Belang ha incassato l’11,2 per cento dei consensi. In Spagna, Vox, con il 6,2 per cento delle preferenze, ha dovuto affrontare risultati ancor più deludenti. Nei Paesi Bassi, il Forum per la Democrazia ha raggiunto il 10,9 per cento e il Partito per la Libertà, capitanato da Geert Wilders, che è sceso al 3,5 per cento, non ha più un seggio.

“L’onda populista” spesso menzionata nelle ultime settimane non ha travolto l’Europa. I partiti “populisti” avranno solo poco più del venti per cento dei seggi nel Parlamento europeo: abbastanza per essere ascoltati, ma non abbastanza per esercitare influenza.

I partiti che governano l’Europa da decenni hanno ottenuto scarsi risultati, ma – salvo rare eccezioni – non sono crollati e continueranno a dominare l’Unione europea. La sconfitta schiacciante del Partito conservatore britannico (8,9 per cento, la percentuale più bassa della sua storia) sembra essere frutto dell’incapacità di Theresa May di realizzare la Brexit. In Francia, il tracollo dei Repubblicani (8,5 per cento) e del Partito socialista (6,2 per cento) può essere spiegato dal fatto che la maggior parte dei loro leader (repubblicani e socialisti) hanno aderito due anni fa al partito di Macron, République en Marche. In Germania, l’alleanza CDU-CSU ha ottenuto solo il 28,9 per cento dei voti, percentuale comunque sufficiente per vincere. Il socialista SPD ha incassato un risultato rispettabile: il 15,8 per cento dei consensi.

In diversi paesi dell’Europa occidentale, i partiti socialisti hanno prevalso, il che sta a indicare che a quanto parte il socialismo sta perdendo terreno. Il Partito socialista spagnolo ha trionfato (32,8 per cento), così come il Partito socialista portoghese (33,4 per cento). Nei Paesi Bassi, il Partito laburista (18,9 per cento) è arrivato primo. In Italia, i socialisti hanno ottenuto il 22 per cento; in Danimarca, il 21,5 per cento e in Svezia, il 23,6 per cento.

Tuttavia, il Partito popolare europeo (PPE) di centro-destra e il Partito socialista europeo (PSE) hanno perso terreno. La loro alleanza ha guadagnato soltanto il 43 per cento dei seggi. Per la prima volta dal 1979, quando si svolsero le elezioni del Parlamento europeo, essi non riusciranno a formare una maggioranza, pur rimanendo comunque dominanti. Nondimeno, avranno bisogno di alleati e probabilmente li troveranno nell’ALDE (Alleanza dei liberali e dei democratici per l’Europa), un gruppo composto da partiti di centro-sinistra che sono ancor più favorevoli all’abbandono della sovranità e a un’Unione europea ancor più centralista.

La coalizione PPE-PSE probabilmente troverà degli alleati nei veri vincitori delle elezioni: i partiti verdi. I Verdi tedeschi (che hanno ottenuto il 20,5 per cento dei voti) si sono piazzati al secondo posto. In Francia, la lista Europe Ecologie Les Verts (EELV), con il 13,5 per cento delle preferenze, è arrivata terza. I Verdi hanno inoltre mostrato la propria forza nei Paesi Bassi (10,9 per cento), in Svezia (11,4 per cento), in Danimarca (13,2 per cento), in Austria (14,1 per cento) e in Belgio (15,2 per cento). E poiché la coalizione PPE-PSE farà affidamento su questi partiti per contrastare e isolare i populisti, i Verdi potrebbero guadagnare ancora più influenza, con le conseguenze che ne derivano.

A chiunque legga i programmi dei Verdi risulta evidente che sono essenzialmente di sinistra con una maschera ambientalista ed ecologista. Sono favorevoli all’immigrazione incontrollata e al multiculturalismo. Sono (…) decisamente ostili a qualsiasi difesa della civiltà occidentale, alla libera impresa e al libero mercato. Sono spesso a favore della crescita zero. La maggior parte di loro appoggia una visione apocalittica del cambiamento climatico e afferma che la sopravvivenza dell’umanità sarà presto a rischio, se l’Europa non prenderà misure drastiche per “salvare il pianeta”. Tutti quanti sono favorevoli a decisioni autoritarie imposte da Bruxelles all’intera Europa.

Un Parlamento europeo sotto l’influenza dei Verdi accelererà quasi certamente lo slittamento verso un maggiore potere conferito ai membri non eletti della Commissione europea e verso una graduale eliminazione dell’energia nucleare e dei combustibili fossili. Le politiche favorevoli a un’ulteriore immigrazione sono già in fase di preparazione.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán continua a sottolineare i pericoli dell’immigrazione di massa islamica in Europa e ha definito l’Ungheria come “l’ultimo bastione contro l’islamizzazione dell’Europa”. Matteo Salvini ha detto che “l’Europa è minacciata dall’islamizzazione” e potrebbe diventare un “califfato islamico”. La maggior parte degli altri leader “populisti”, tuttavia, non ha tenuto conto dei rischi e ha preferito non affrontare la questione. Marine Le Pen ha parlato di “islamismo estremista”, ma ha subito aggiunto che la maggior parte dei musulmani europei si integra. In Gran Bretagna, il leader del Brexit Party, Nigel Farage, non ha detto una parola sull’argomento. Tommy Robinson, che ha fatto del pericolo islamico il tema principale della sua campagna elettorale, è stato sottoposto a continue molestie e ha ottenuto solo il 2 per cento dei voti. Nei Paesi Bassi, il leader di Forum per la Democrazia, Thierry Baudet, ha difeso le stesse posizioni di Wilders, ma ha evitato di parlare di Islam, e il partito di Wilders è stato praticamente sconfitto.

I gravi problemi demografici sono stati a malapena menzionati durante la campagna elettorale. L’idea che potrebbe verificarsi un cambiamento nella popolazione è stata considerata come una mera fantasia da parte “della destra”. I fatti, tuttavia, sono difficili da ignorare. In quasi tutti i paesi europei, i tassi di fecondità sono ben al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli per donna. In Italia, il tasso di fertilità totale si attesta su una media di 1,45 figli per donna. In Germania, è di 1,48; in Spagna, 1,5; in Ungheria, 1,4 e in Polonia, 1,38. L’unico paese dell’Europa continentale in cui il tasso è più elevato è la Francia (1,97), ma è il paese che ha la più grande popolazione musulmana in Europa e tutti i dati disponibili mostrano che i tassi di natalità sono molto più alti nelle famiglie musulmane. La popolazione della maggior parte dei paesi europei è in calo. L’Italia sta perdendo 250 mila abitanti all’anno, quasi pari alla popolazione di Venezia. La Germania ha deciso di accogliere milioni di immigrati per arrestare la perdita della propria popolazione; oggi, il 12 per cento dei cittadini tedeschi è nato all’estero. Il massiccio afflusso di centinaia di migliaia di migranti musulmani nel 2015 è stato un disastro sociale. L’integrazione non è avvenuta. La maggior parte dei nuovi arrivati è ancora disoccupata e fa affidamento sul welfare per sopravvivere. Inoltre, sono aumentati i casi di violenza sessuale.

Anche le aggressioni antisemite sono aumentate. La situazione è diventata talmente tossica che Felix Klein, commissario governativo per la Vita ebraica e la Lotta contro l’antisemitismo in Germania, ha di recente invitato gli ebrei a non indossare la kippah in pubblico. La cancelliera Merkel ha dichiarato che “non esiste una sola sinagoga, un solo asilo o una sola una scuola per bambini ebrei che non debba essere sorvegliata dai poliziotti tedeschi”. Sebbene le indagini finora abbiano dimostrato che la maggior parte delle violenze antisemite sono opera di migranti musulmani, la Merkel ha preferito parlare degli “spettri del passato”.

La situazione in Francia non è molto diversa. Sammy Ghozlan, a capo del Bureau National de Vigilance Contre l’Antisémitisme (BNVCA), sostiene che tutti gli attacchi antisemiti nel paese hanno una cosa in comune: “il colpevole è musulmano”. Il governo francese dice di combattere l’antisemitismo, ma punta il dito soltanto contro “l’antisemitismo di destra e di sinistra”. Non parla mai di antisemitismo musulmano.

Commentando i risultati delle elezioni europee – e osservando che i movimenti “populisti” non avranno alcun peso nel Parlamento europeo; che la Grecia sta guadagnando terreno; che l’islamizzazione non si fermerà e che l’antisemitismo probabilmente continuerà ad aumentare – il giornalista Éric Zemmour ha detto in televisione che l’Europa è forse sulla strada di un declino irreversibile. Anche lo scrittore Renaud Camus ha osservato nel suo diario che la popolazione europea sembra scegliere l’eutanasia.

Nel primo paragrafo del libro The Strange Death of Europe, Douglas Murray afferma: “Alla fine dei giorni della maggior parte delle persone attualmente in vita, l’Europa non sarà l’Europa”.

Nonostante l’entusiasmo mostrato da alcuni commentatori in merito ai risultati dei movimenti “populisti”, i segnali sembrano mostrare che le elezioni europee non hanno arrestato la corsa dell’Europa verso il declino. Se le cose non cambiano, tra qualche decennio l’Europa non potrebbe più essere l’Europa.

Guy Millière, insegna all’Università di Parigi ed è autore di 27 libri sulla Francia e l’Europa.