𝐋’𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐓𝐫𝐮𝐦𝐩 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐚 𝐧𝐨𝐢
Si può avere qualunque giudizio su Donald Trump, anche pessimo, o di antipatia a pelle per lo stile e l’uomo, ma si deve riconoscere una cosa
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L’effetto Trump perdura da noi
Si può avere qualunque giudizio su Donald Trump, anche pessimo, o di antipatia a pelle per lo stile e l’uomo, ma si deve riconoscere una cosa: a Trump era affidata la speranza di rovesciare l’Assetto Globale, o quantomeno di dimostrare che era possibile un altro corso. Da quando, un anno fa, si è persa quell’alternativa, quell’altra possibilità, il mondo occidentale si è incupito sotto un dominio sanitario, globalista, e tendenzialmente filocinese che non concede scampo né variazioni di percorso. Trump non fuorusciva dai miti e dagli stereotipi americani e soprattutto non fuorusciva dal capitalismo e dalla sua volontà di potenza; ma rimetteva in discussione la religione planetaria del politically correct, rifiutava di appiattirsi sotto la globalizzazione, riprendeva temi come la protezione dell’economia e la preferenza nazionale, rimetteva in piedi temi che vagamente riflettevano i principi conservatori, a partire da quelli che vengono solitamente riassunti in Dio, patria e famiglia.
L’assalto della Befana nello scorso anno fu il modo per liquidare Trump e la sua rivendicazione sui brogli, mostrando il lato eversivo e il rovescio carnevalesco della sua parte; e dunque va ricordato come la stupida caricatura del trumpismo che dà manforte ai suoi nemici e detrattori, presentandosi al peggio. L’assalto al Congresso fu il canto del cigno del populismo antipolitico, uno spettacolo che se l’avesse organizzato Biden o il mondo a lui affine, non sarebbe riuscito meglio a loro vantaggio: perché servì solo a fugare ombre e dubbi sull’avvicendamento alla Casa Bianca, avvalorando la bontà del cambio. Il più efficace sponsor del vacillante Biden appena insediato fu quel presunto, colorito Sciamano, che se non fosse esistito avrebbero dovuto inventarlo per screditare ogni pretesa trumpiana e il suo mondo di sostenitori.
Ma a noi quella vicenda preme soprattutto per il risvolto che ha avuto sulla scena globale: segnò la perdita di un’alternativa al mondo in cui siamo. Il vero alleato di Biden e il vero generale che sconfisse Trump, fu il Virus; anche se oggi rischia di ritorcersi contro l’inquilino presente alla Casa Bianca, che non è riuscito a combatterlo efficacemente.
Ma la sconfitta di Trump e l’avvento del Covid, che da un biennio comanda sui destini del pianeta, coi loro annessi sanitari, hanno fermato ogni speranza di svolta populista e sovranista, riducendo l’opposizione all’establishment mondiale a una serie di focolai locali non in grado di espandersi oltre i propri confini. Di quel travaglio la rappresentazione più vistosa in Italia è il tormentoso affanno della Lega che si è praticamente dimezzata nei sondaggi nel giro di un biennio e non trova ancora una rotta sicura e vincente, risultando alla fine né di lotta né di governo. Oscilla tra integrazione nel sistema politico o meglio nel sistema solare draghiano, con gravi perdite di consensi, e fronda con scarsa capacità di manovra e rischio di eclissarsi all’ombra della Meloni, apparendone la versione meno coerente, meno convincente.
Dall’altra parte è vero che nessuna forza politica in fondo se la passa bene, e tutti sono appesi a tenui fili che passano dall’elezione al Quirinale al rinnovo di Palazzo Chigi. Peggio di tutti, ma ormai è un dato costante, stanno i grillini che sbandano paurosamente e assumono posizioni diversificate e sempre incoerenti rispetto al giorno prima, prive di una logica se non quella di salvare la pelle e durare il più a lungo possibile senza andare al voto. Ma bene non stanno neanche gli altri: i dem non trovano un decente equilibrio tra l’essere il partito dell’Europa e l’alleato strategico ora della Lega ora di Fratelli d’Italia o di Berlusconi. Si è arrestata la crescita della Meloni, si è appannato il suo ruolo di antagonista, a bagnomaria da troppo tempo, e rischia molto nella partita del Quirinale. Forza Italia allo stato attuale è ridotta a Comitato Elettorale di Berlusconi al Quirinale; dopodiché potrà sciogliersi nella maggioranza Ursula o estinguersi nelle braccia di Renzi (via Toti). Viceversa se la scalata di Berlusconi dovesse fallire, più probabilmente toccherà a Forza Italia restare nel centro-destra. Meglio se la passa Renzi ma c’è un piccolo particolare: il suo partito non esiste nel Paese.
Ma non è la geografia variabile della politica che ci interessa. Bensì quel tema di fondo, più generale. È possibile ancora pensare a qualcosa di diverso, di alternativo, a livello europeo e italiano, nonostante la rimozione forzata di Trump, pur vagheggiando un suo eventuale ritorno fra tre anni? Le elezioni in Francia non sembrano offrire spazi per una svolta, l’ammucchiata tedesca post-Merkel preclude questi spazi; il governo di centro-sinistra è la sola formula di governo autorizzata dalla Commissione europea e dal Sistema tecnofinanziario. E non consente variazioni, se non periferiche (Ungheria, Polonia, pur accerchiate e attaccate periodicamente). Da qui si comprende la difficoltà enorme di pensare un’altra politica, di figurare una svolta; e la necessità di ripiegare su un’opposizione sociale, civile, culturale, a mezzo stampa, social e iniziative di base. Non vi piace sentirvelo dire? Allora vedete i cartoni animati.
MV, La Verità (7 gennaio 2022)