Un prontuario per accettare il presente e curare il pessimismo. Nel libro 𝘋𝘪𝘴𝘱𝘦𝘳𝘢 𝘣𝘦𝘯𝘦. 𝘔𝘢𝘯𝘶𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘰𝘭𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘦 𝘳𝘦𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘭 𝘥𝘦𝘤𝘭𝘪𝘯𝘰 Marcello Veneziani s’interroga sul mondo, il tempo, la scienza, la religione, la politica, le arti e l’età che avanza 👇
Con Marcello Veneziani non ci resta che disperare bene
Le riflessioni dell’autore sul suo manuale di consolazione e resistenza al declino
23 dicembre 2020
Elisabetta Reale
Un prontuario filosofico controcorrente per imparare ad accettare il presente, ripararsi dal potere, curare il pessimismo. Con sguardo lucido e disincantato, il filosofo e politologo Marcello Veneziani in Dispera bene. Manuale di consolazione e resistenza al declino si interroga sul mondo, il tempo, la scienza, la religione, la politica, le arti. Ma anche sull’età che avanza, chiamando in causa vecchi e giovani. Una riflessione quanto mai attuale, alla luce dei tempi che stiamo attraversando – il libro è stato pubblicato a gennaio – che punta su buon senso, bellezza, cultura e su una rinnovata capacità di stupirsi.
«Le speranze sono ormai finite. Finiranno pure le disperazioni», scrive in un incipit quanto mai profetico. Quali riflessioni l’hanno portata a realizzare questo saggio?
Al di là della spensieratezza e del finto ottimismo di facciata, viviamo nell’epoca della disperazione radicale: abbiamo perso fiducia nella religione, nella storia, nella politica, perfino nella scienza. Il mio manuale tenta di rovesciare la prospettiva e di considerare la disperazione come il nostro punto di partenza e non d’arrivo. Mi ha sorpreso rileggere quelle pagine alla luce della pandemia, perché sembrano scritte col senno di poi, rispondono sul piano esistenziale ai temi della nostra epoca. Perfino la copertina con le due mascherine si è rivelata “profetica”…
Un manuale di sopravvivenza che non offre, però, istruzioni per l’uso. Lei scrive infatti di non aspettarsi dal filosofo «consigli pratici sulla vita», anche se la filosofia «aiuta a trasformarsi e a ricercare una via di salvezza». Molto suggestiva in tal senso «la regola dello spiraglio», ce la racconta?
Ho proposto un quadrifarmaco per rispondere ai mali della nostra epoca, ho esortato a non vivere schiacciati nel presente, ho soprattutto invocato un grande salto nello sguardo verso il mondo: non vederlo solo dal nostro, personale punto di vista, ma considerare al contrario la nostra vita agli occhi del mondo. Spostare il proprio baricentro dal cammino precario di una foglia al destino più grande dell’albero. La regola dello spiraglio è non dare mai per chiusa la porta degli eventi, ma lasciarla socchiusa, aperta alle sorprese e agli imprevisti, che non sempre sono negativi, anzi…
Marsilio, pp. 160 € 17
Oltre alla speranza in sé, lei sostiene sia venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Quali rimedi, se ce ne sono, possono aiutarci a uscire dall’immobilismo, «dalla gabbia triste della quotidianità», e a vincere la paura? E perché parla di «scomparsa del futuro»?
L’aspetto particolare della nostra epoca è che è venuta meno non solo la speranza che le cose possano cambiare ma anche la speranza che possano durare. E a tale proposito propongo un rimedio, una via d’uscita: la capacità di usare la macchina del tempo, i tappeti volanti, per sfuggire alla gabbia del presente, al lockdown della mente, e per abitare il passato, il futuro, il favoloso, l’eterno. Il contrario della speranza non è la disperazione ma la paura che oggi sembra tenerci tutti prigionieri. Audacia di pensare, di rianimare la tradizione e di rischiare il futuro.
Suggerisce pure di tenersi lontano dalla politica…
Premetto che ho sempre avuto una forte passione civile, e da anni commento con passione gli scenari politici. Ma ho perso ogni fiducia nella politica, nei suoi uomini, nella sua capacità di pensare il futuro e di governare il presente, affrontando la realtà: la politica separata dalle idee e dal senso dell’onore, dalle motivazioni ideali e dalla selezione del suo personale, si riduce solo a demagogia e carrierismo, tribuni della plebe e tecnocrati senza scrupoli. Meglio dedicarsi ad altro, la politica non è la via, la verità, la vita. Ci sono molte più cose in cielo e in terra.
Con un tono schietto e sincero attraversa i grandi temi del presente e si rivolge, dandogli del tu, a un preciso interlocutore. Chi è il destinatario delle sue riflessioni?
È un destinatario reale ma cangiante. Agli inizi è rivolto a un contemporaneo, di età indefinita, che vive nella nostra civiltà declinante. In un capitolo è l’anziano, che accompagno a tracciare bilanci della sua vita; in un altro è un ragazzo, che invito ad aprirsi all’avvenire, risvegliando l’energia spirituale che nasce se coltivi il senso dell’eterno; c’è perfino una postilla per un neonato, che si affaccia tramite il suo sguardo sorgivo nella posterità.
Il volume è costruito quasi come fosse un concerto – preludio, andante, adagio, al posto di primo, secondo, terzo capitolo – e si conclude, appunto, con un messaggio di benvenuto a un bambino neonato. Cosa augurare alle giovani generazioni?
Di non perdere lo stupore, non delegare tutto alla tecnica, non rinchiudersi nel proprio io senza orizzonte, nello specialismo della propria attività, diventando idioti globali; di connettersi agli altri, ai vecchi, a coloro che furono, a coloro che saranno. Questo significa amor fati, anima mundi e vita armoniosa come in un canto e in una danza, seguendo i tempi musicali che la compongono.
Articolo tratto da La Freccia