Le lezioni
È tutta questione di… realtà.
In questo periodo di quarantena, che fortunatamente sta volgendo al termine, la scuola ha vissuto una situazione a dir poco sorprendente.
I docenti si sono dovuti confrontare, innanzitutto, con la propria motivazione, quella endogena e quindi più forte, grazie alla quale sarebbe stato possibile espletare un nuovo modo di fare lezione, e quindi continuare i propri rapporti dialogico-formativi con gli studenti. Sì, si tratta di un dialogo con i propri studenti, perché solo in questo modo è possibile trasferire quell’insieme di conoscenze che vanno a modificare il comportamento concreto degli allievi. E se l’apprendimento non modifica costantemente il comportamento, non possiamo parlare di processo formativo. In effetti, nel momento in cui impariamo, per esempio, a scrivere e a leggere, la nostra vita dovrebbe cambiare, e si dovrebbe mantenere tale abilità acquisita nel corso della vita, sviluppandola via via negli anni. Quando questo non avviene, siamo in presenza di un falso apprendimento.
Ora, l’attuale para-governo, nei confronti del quale è difficile spendere ulteriori parole di valutazione, ha imposto la didattica a distanza, credendo di vivere in una nazione in cui le strutture tecnologiche (la cosiddetta rete strutturale) esistano davvero. In realtà, poiché siamo anche un Paese attraversato in tutta la sua dorsale dai monti, in moltissime zone della nostra nazione vi è assenza di segnale, per l’assenza di antenne. E questo è stato un primo problema.
Il secondo problema è stato socio-culturale, perché molti studenti, e dunque le relative famiglie, non erano nelle condizioni di poter accedere alla didattica a distanza, per mancanza di strumenti tecnologici adatti. Ciò ha determinato, inevitabilmente, un vero e proprio disagio sociale e una discriminazione nei confronti di coloro che non hanno avuto la possibilità di accedere alle lezioni. È anche vero che sono stati stanziati fondi per ovviare a questo problema, ma non sono certo che siano arrivati davvero in tempo, interi, e a destinazione.
Un ulteriore problema è stato poi quello della preparazione professionale e didattica degli stessi insegnanti, i quali hanno creduto, il più delle volte, che la formazione a distanza fosse un mero trasferimento di ciò che avveniva in presenza. In realtà, non è affatto così. L’impegno in tele-didattica, ammesso che non sia maggiore, rispetto a quello in presenza, è comunque totalmente diverso e richiede una preparazione professionale ad hoc.
Per quanto riguarda l’università, invece, rispetto alla quale ho un’esperienza più diretta, ho potuto constatare che gli atenei sono stati nelle condizioni di fornire ai propri docenti tutto il supporto necessario, per poter procedere in modo efficace ed efficiente, ed i risultati si sono visti.
Ad esempio, i miei studenti stanno effettuando esami della sessione estiva con un altissimo livello di preparazione, frutto di un’evidente motivazione endogena (che hanno sviluppato in questo periodo di solitudine), che si è diretta verso l’acquisizione di conoscenze, consapevolmente vissute come necessarie per il loro sviluppo personale e professionale. Insomma, gli appelli di esame che sto facendo online stanno rivelando una popolazione giovanile decisamente all’altezza della situazione che ha vissuto, secondo una prospettiva di futuro che coloro che ci governano non hanno.Ministra_Azzolina
Arrivo quindi alla conclusione. Se questo attuale para-governo non sarà nelle condizioni di investire realmente, e non certamente con la presenza di questa Minestra della Pubblica Istruzione, nella scuola e nei nostri giovani, tutto quello che abbiamo vissuto in questo periodo non potrà avere uno sbocco naturale positivo. I nostri giovani possono pensare al loro futuro, ma solo nel contesto di un progetto nazionale generale, all’interno del quale la stessa Italia si colloca in una globalizzazione molto più sostenibile, rispetto alla precedente. E per fare questo, è necessario investire profondamente nel corpo docente, nel loro livello di aggiornamento tecnologico e professionale. Se andiamo bene a vedere, i fondi destinati all’aggiornamento sono decisamente ridicoli, tranne, forse, che per l’università.
D’altra parte, la buona scuola di Renzi continua a produrre i suoi effetti: un disastro.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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