LE EPIDEMIE DI COLERA E IL RIFUGIO DEI BORBONE A CASERTA
di Maria Lombardo
Il colera è una malattia endemica che partendo dalle Indie nell’800 dove la politica coloniale Inglese provocò il crollo verticale dell’economia indiana, un massiccio impoverimento della popolazione e il peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Insieme allo sviluppo degli scambi commerciali marittimi e per i movimenti della flotta militare britannica, il veicolo principale della diffusione colerica furono proprio i marinai di quelle navi che solcavano le rotte tra India ed Europa. Napoli commerciava anche con le Indie e la Gran Bretagna! In tutto l’800 le città europee furono colpite da 7 pandemie (1835-1837, 1849, 1854-1855, 1865-1867, 1884-1886 e 1893). Furono interessate la Russia (Mosca), la Germania, la Prussia (nelle campagne di Vienna si contarono ben 250mila morti), l’Inghilterra (Edimburgo, Dublino, Glasgow, Londra). Nel 1832 il colera arrivò a Parigi da dove si propagò in tutta la Francia (su 86 dipartimenti solo 35 si salvarono, quasi tutti in zone montuose). Fu la volta poi di Belgio, Olanda e di nuovo Prussia. Le pandemie colpirono poi la Spagna e il Portogallo investendo persino la Norvegia e la Svezia. Inoltre la penisola Italica visse la pandemia del biennio’35-’37 colpì ogni Stato dal Lombardo-Veneto al Regno delle Due Sicilie. In Italia le prime regioni ad essere colpite furono la Lombardia (all’epoca sotto il dominio austriaco), il Veneto e l’Istria. Presto furono invase le città di Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Udine, Rovigo, Venezia e Trieste. Nel 1854 una nave salpata dall’India condusse il colera in Inghilterra, provocando lo scoppio della terza pandemia. Da Londra il contagio arrivò a Parigi e da qui a Marsiglia, dove le autorità sanitarie francesi permisero lo sbarco dei marinai contagiati; la mancanza del cordone sanitario provocò quindi l’estensione del colera da Marsiglia a Genova, e da qui, proseguendo lungo la costa tirrenica, l’epidemia si estese sull’Isola d’Elba e al Giglio, a Livorno ed infine contagiò Napoli e Palermo. Ogni volta era una vera ecatombe. E’ chiaro che le pandemie proliferarono dove la gente viveva ammassata e le norme igienico-sanitarie scarseggiavano altro che il solo bidet della Regina Carolina a Caserta è giunto il momento di dire basta a questi inutili primati che fanno ridicoli i revisionisti. Quando accadevano queste pandemie i reali erano consapevoli dei rischi che correvano ma mai decisero di “bonificare” Napoli eppure le loro casse erano stracolme occhio ci pensarono i Savoia con lo “sventramento di Napoli” oggi darò qualche notizia poi approfondiremo. Torniamo ai Re di Napoli che abbandonavano la città al suo destino e si rintanavano a Gaeta o Caserta. . Cosi racconta De Cesare “ La città era un letamaio ; e quando fu visitata dal colera, non soltanto la popolazione, ma il Re riteneva non essere il morbo alimentato dal luridume, ma da contagi misteriosi. Ferdinando II aveva comuni con la parte infima del suo popolo i pregiudizi e le paure. In tempo di epidemie, egli colla Corte si rifugiava a Caserta, o si chiudeva a Gaeta, avendo un vivace sentimento di disprezzo per Napoli, che chiamava casùlone ed abbandonava a se stessa. “ Le più importanti notizie ci sono pervenute dalla penultima epidemia 1884 dall’1 al 10 settembre furono riscontrati ufficialmente 3337 casi, di cui solo 349 riferiti ai quartieri dei ricchi e ben 2988 ai quartieri poveri e malsani. Dati impressionanti ma di cui non si può avere una chiara cognizione se non si tiene nel dovuto conto cos’era la Napoli dell’epoca. Tutta Italia decise di portare aiuto e sostegno a Napoli e persino Re Umberto I ritenne di dover lasciare una festa a Pordenone per accorrere “dove si moriva”; e se ne ebbe un monumento sulla cosiddetta Via Nuova di Capodimonte che Gioacchino Murat aveva realizzato alcuni decenni prima. Il gesto del Re apprezzatissimo dai Napoletani perché si rese conto che se il Borbone scappava il Savoia rimaneva ascoltava la fame del popolo, accorsero a Napoli volontari, socialisti, repubblicani, ricchi e meno ricchi per soccorrere i colerosi. Le difficoltà di intervento erano enormi! Axel Munthe, medico e scrittore svedese testimonia: “Ho conosciuto un medico, al quale, ogni volta che egli apprestava una pozione al malato, si rivolgeva questa apostrofe: “bevete prima voi”. Giovanni Bovio, illustre umanista e politico napoletano si prodigò per l’organizzazione e la razionalizzazione dell’intervento dei volontari. Tra questi Luigi Musini, (giornalista, garibaldino, socialista, già eroe di Villa Glori nel ’67 ed entrato in Parlamento assieme ad Andrea Costa, entrambi rappresentanti del “nuovo socialismo” romagnolo staccatosi dall’anarchia) di cui esiste una testimonianza nel libro “Da Garibaldi al socialismo”. “Vidi Musini e Costa all’opera. Essi girano giorno e notte nei quartieri più infetti, il primo come medico il secondo come infermiere” dirà l’inviato del Messaggero di Roma in un resoconto di quel giorni. Andrea Costa, mito delle plebi romagnole, grande protagonista delle lotte operaie dell’epoca, accorse a Napoli. “Appena giunto a Napoli, si era presentato al Comitato della Croce Verde, formato da volontari e diretto da Giovanni Bovio. Vi erano con lui altri deputati: Cavallotti, Maffi, Musini. Giorno e notte percorreva le luride vie del Mercato e del Borgo, entrava nei tuguri infetti dal morbo: penetrava nelle stanze che parevano tane, portava medicinali, accompagnava i colerosi al lazzaretto, li assisteva. Attorno a lui cadevano, contagiati, i compagni: “Il morbo è gravissimo”, scriveva agli amici di Imola,”Valdrè è morto. Egli è il secondo della nostra squadra”. Durante l’epidemia , che duro’ almeno fino ad Ottobre , molto dei soccorritori furono contagiati e perirono. Bovio li volle ricordare con una lapide QUALE TU SII E QUALUNQUE FORTUNA TI MENI STRANIERO TU SEI GIUNTO IN LUOGO CHE VIDE NEL COLERA DEL MDCCCLXXXIV ACCORRE DA OGNI TERRA D’ITALIA RE MINISTRI REPUBBLICANI SOCIALISTI A RIFERMARE INNANZI ALLA MORTE CHE DOVE UNA E’ LA PATRIA UNO E’ IL DOLORE. STRANIERO DI AI TUOI Cio’ CHE CARITA’ E VALORE RICONGIUNSERO NON UOMINI NON SECOLI DIVIDERANNO MAI. Ironia della sorte i preti Napoletani invece di aiutare i malati per salvarsi organizzavano processioni. Intanto la corte Italiana con in testa Stanislao Mancini, Nicola Amore e Agostino De Pretis dichiarò solennemente che era giunto il momento di “sventrare Napoli” che si applicò da quel momento alla principale operazione di bonifica da effettuare; termine che poi fu esteso a tutte gli interventi urbanistici simili compiuti in Italia in quegli stessi anni. Fu allora che si delinearono i principali interventi da realizzare, tra cui la creazione di un’efficace rete fognaria per eliminare il pericolo dell’inquinamento del suolo per le infiltrazioni delle acque infette. Era inoltre necessario ottenere un’abbondante erogazione d’acqua attraverso l’esecuzione dell’acquedotto del Serino e pianificare lo sventramento e la bonifica dei quartieri bassi, da ottenersi mediante una strada principale dalla stazione centrale al centro cittadino e una rete viaria minore ad essa afferente che favorisse la circolazione verso l’interno della brezza marina; inoltre si auspicava la creazione di un quartiere di espansione a nord della città. Interventi che non furono fatti prima per mancanza di denaro. Lo stesso Depretis, infatti, affermò: “La questione igienica napoletana è ben conosciuta e non occorre inchiesta, invece bisogna seriamente studiare la parte edilizia e quella finanziaria per conciliare la trasformazione delle abitudini popolari e le nuove fabbricazioni con la libera industria e perciò occorre il parere di uomini tecnici competenti anziché di uomini politici”.
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