Le cose e noi
È tutta questione di… bellezza.
Nell’articolo precedente a questo, abbiamo visto che le cose del mondo, così come gli avvenimenti e le persone, diventano espressione della solidarietà che proviamo verso la realtà, affinché tutto quello che viviamo sia percepito come qualcosa di indispensabile per noi, per la nostra stessa identità.
E lentamente, senza accorgercene, cominciamo a entrare nel mondo senza fare una grande distinzione fra ciò che siamo e come stiamo nel mondo, perché il nostro stare nel mondo dipende dalle relazioni d’amore che abbiamo saputo instaurare con tutti gli elementi che lo costituiscono. E quando questi elementi sono immagazzinati nella memoria attraverso un qualsiasi linguaggio, diventano parte del nostro modo di interpretare l’amore che abbiamo verso di noi e verso gli altri.
Il processo mentale appena descritto, grazie al quale ci rendiamo sempre più consapevoli di stare nel mondo, essere una sua parte, pone in luce quanto vi sia di errato nell’idea che quasi tutti abbiamo di autonomia e di individualità.
Anche nei manuali di psicologia generale, come in molti altri scritti, emerge la convinzione che questi due elementi dell’esistere quotidiano, l’autonomia e l’individualità, siano il frutto di una crescita personale che dovrebbe terminare con l’adolescenza.
L’adulto, in quanto tale, è colui che possiede l’autonomia di fronte alla vita e sa chi è, rispetto a coloro che ancora dipendono da altri e non sanno chi sono, tanto meno sanno che cosa fare per stare nel mondo.
Invece, secondo il punto di vista che propongo, le nostre autonomia e individualità sono semplici e fantastiche nozioni della mente, utili a risolvere il dilemma se si deve o meno aver bisogno degli altri e del mondo, per esistere.
Uno degli scopi per cui esistiamo, certamente non l’unico, è osservare come si svolge la vita su questo pianeta, per rendersi conto come gli esseri viventi e le cose siano determinanti per qualsiasi idea si abbia di noi stessi. Il dialogo (dal greco diá, attraverso, + léghein, dire, inteso quindi come confronto, attraverso il dire – con la radice leg, che indica il riunire ciò che è sparso) è la costante evolutiva del nostro essere nel mondo; infatti, quando riduciamo il dialogo con l’intento di renderci più autonomi, entriamo in una situazione esistenziale pericolosa.
Da qui possono emergere patologie mentali per le quali alcune persone, pur mantenendo un’apparente normalità e sicurezza, diventano interiormente presuntuose, sole e insicure.
E penso che, rispetto a questa mia ultima frase, si possano trovare molti esempi nella attuale classe politica mondiale.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).