La Vergine del Potere nella stanza dei bottoni

𝐋𝐚 𝐕𝐞𝐫𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐛𝐨𝐭𝐭𝐨𝐧𝐢
Per la prima volta una donna. Per la prima volta al potere. Per la prima volta un premier di destra.
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La Vergine del Potere nella stanza dei bottoni

Per la prima volta una donna. Per la prima volta al potere. Per la prima volta un premier di destra. Per la prima volta una militante di sezione venuta dal partito più escluso nella storia della repubblica italiana, il Movimento Sociale Italiano. Giorgia Meloni, la Vergine del potere che va a guidare il governo. Rappresenta il Nuovo, il Fuori, il Contro, esente da pregresse responsabilità. L’Italia d’opposizione. L’hanno votata gli scontenti, mentre gli incontentabili si sono astenuti o hanno votato le liste anti-sistema.

Unico precedente di verginità al potere è stato Giuseppe Conte. Ma lui veniva dal nulla, lei viene invece da una storia politica trentennale di militanza. Lui si trovò presidente del consiglio senza merito né fatica, rimediato dai grillini per sostituirne un altro candidato premier bocciato dal Presidente della Repubblica. Lei invece la sua scalata a Palazzo Chigi se l’è fatta tutta con le sue gambe, fin dai primi gradini di sezione, via via salendo; poi fondando un partito piccolo piccolo che cresceva lentamente e infine, nel volgere di pochi mesi, ha avuto il boom ed è diventato il primo partito d’Italia.

La vittoria del 25 settembre ha la sua faccia, la sua voce, le sue risate, i suoi occhi di ragazza. La sua fortuna se l’è costruita da sola, anche a dispetto dei suoi alleati. Mai come la sua vittoria non ha comprimari, è tutta in solitaria. Gli scontenti che l’hanno votata hanno trovato in lei un messaggio positivo per l’Italia che non vuol morire. I suoi due principali rivali hanno puntato uno sulla paura e l’odio, evocando Putin, Orban e Mussolini; e l’altro sul pauperismo clientelare, col voto di scambio al sud che ha raggiunto vette mortificanti. Lei, invece, ha scommesso sull’Italia che si vuole rialzare e sulla voglia di libertà di un paese imbavagliato, sotto una cappa, dove non è possibile pensare, dire e fare altrimenti. Pur essendo l’unica oppositrice non ha fatto una campagna d’opposizione e non ha attaccato Draghi, pur essendo stata l’unica a non entrare nella sua maggioranza di governo. Curioso il feeling tra il premier uscente e la premier entrante, considerando che uno rappresenta il primato dell’Establishment euroatlantico, dell’Apparato, il commissariamento tecnico-economico della politica e lei, invece, rappresenta la rivendicazione della politica, della nazione, del popolo sovrano. Lui notabile di potere e di finanza, lei di piazza e di ideali. Entrambi hanno capito come va il mondo, e sanno che non si può andare avanti con una gamba sola.

Curiosa anche un’altra novità assoluta per una democrazia: abbiamo vissuto una campagna elettorale anche aspra e spigolosa in cui però c’era solo un candidato a Palazzo Chigi: Giorgia Meloni. Gli altri puntavano al più sulla continuazione di Draghi ma lui ha detto che non ci stava e li ha spiazzati. Anche in questo lui ha dato una mano a lei, o semplicemente ha capito come si stavano mettendo le cose. In ogni caso da Palazzo Chigi Draghi è andato via volentieri. Sarebbe andato al Quirinale ma non aveva voglia di restare ancora sulla graticola del governo, soprattutto ora che arrivano i conti dolenti dell’autunno.

Resta il miracolo di una “ragazza” che arriva da sola alle soglie del governo; ora magari avrà tanti padrini la sua vittoria, e tanti tutori il suo governo, ma la sua ascesa è stata compiuta da sola, in tv e in piazza, senza esperienza di governo alle spalle, con scarsi collegamenti e sostegni. Lei e il popolo, in mezzo il vuoto o quasi.

Il salto di qualità fu guidare il gruppo conservatore nel parlamento europeo, collocando il suo partito non più sulla scia del Msi. Gli stessi principi evocati a fondamento della sua posizione politica – Dio, patria e famiglia – non portano al fascismo come hanno ripetuto i suoi mille nemici e detrattori; ma portano proprio al mondo conservatore, legato. Lei, La Meloni, è la reginetta nascente del nostro Regno Disunito. Come è possibile che la democrazia più ingessata dell’occidente, che in quasi cinquant’anni non aveva mai cambiato il partito-governo e poi ha vissuto alternanze continue per essere infine condotta per mano da tecnici, si trova ora davanti una premier che è vergine di potere con un partito sempre stato all’opposizione? Si, da ragazza aveva fatto la vicepresidente della Camera, il ministro della gioventù, ma quello non era potere. Si, viene da Alleanza Nazionale che sotto la monarchia di Re Silvio era stata tre volte al governo. An sfiorò per pochi mesi Palazzo Chigi prima con Pinuccio Tatarella come vice di Berlusconi e poi con Fini. Ma non c’è mai stata la destra alla guida del paese, semmai a rimorchio. An lasciò poche tracce del suo passaggio al governo; fu più incisiva la Lega di Bossi che portò a casa qualche risultato in tema di federalismo. La destra scivolò senza infamia e senza lode.

Fratelli d’Italia esprime i governatori in un paio di regioni, Marche e Abruzzi; Musumeci ha governato finora in Sicilia. Cosa dire dei presidenti di destra anche ai tempi di An? In media decenti, non memorabili; né ottimi né pessimi, non grandi imprese e nemmeno catastrofi; la peggior esperienza fu nel Lazio con una donna, Renata Polverini, e la sua giunta.

La Meloni arriva a Palazzo dalla foresta vergine e si dice pronta a governare: pronta ma non prona, si spera. Il suo punto di forza è insieme il suo punto di debolezza: la freschezza dell’inesperienza e un mondo di governo da costruire. Pronta a entrare nella fossa dei leoni, e dei serpenti.

(Panorama n.41)