Giusto per fare chiarezza…
La storia non può essere ripensata, ma solo capita!
di Pasquale Ferraro – 12 Giugno 2020
Giustificare quanto sta accadendo è cosa assai difficile, e suggerire di edificare statue o simboli per sanare ferite che noi occidentali avremmo inferto alle popolazioni soggette alla colonizzazione è una proposta che lascia al quanto sconcertati per la sua puerile imbecillità. Perché anche il fenomeno del colonialismo deve essere analizzato in maniera seria e storica. La storia non si cancella e non si contestualizza, si studia, vi si medita sopra e si cerca semmai di non ripetere gli errori del passato.
La grandezza della società occidentale, il fondamento della nostra civiltà è stata la capacità di non arrestarsi ma di tendere sempre oltre, avendo memoria del passato, facendone un esempio.
Anche la Storia americana non può essere raccontata seguendo i paradigmi del rancore del Black lives matter, perché altrimenti si perde il senso delle cose.
Gli uomini che costruirono Gli Stati Uniti – gli uomini di Filadelfia- Washington, Jefferson, Adams, erano schiavisti, non perché sadici ma perché quella era la consuetudine del tempo. Sbagliata? Oggi si, ma allora la valutazione morale era diversa. Anche Cicerone e Seneca vivevano circondati da schiavi e Aristotele allora? Dovremmo considerarlo un teorico dello schiavismo?
Affermazione falsa è quella secondo cui le statute erette negli Stati dell’ex confederazione (Sud est degli Stati Uniti) agli ex generali ribelli fu fatto in sfregio alla comunità che allora si definiva “ nera” e oggi afroamericana. Perché non fu questa la ragione, in quanto chiunque anche puerilmente conosce la storia americana sa bene che l’orgoglio sudista è sopravvissuto e soprattutto è cresciuto nel tempo.
Ma va detto anche che il nord vincitore non ha infierito sui simboli del sud in ragione anche del fatto che il Generale Robert Lee, Jeb Stuart e tutti “ I miti del sud” appartengono alla memoria collettiva americana e per tutti gli anni precedenti quel fatidico 1861 hanno servito con onore gli Stati Uniti.
In molte bandiere degli Stati del Sud è presente un richiamo alla bandiera confederata in quanto parte della storia e della vita vissuta da quelle comunità.
Il termine Dixie che fa da contraltare al nordico Yankee e ricorda l’inno degli Stati Confederati appartiene al comune sentimento delle popolazioni del sud. In quei luoghi la memoria è forte, cosi com’è vero su questa memoria si è costruita la lotta ad ogni tentativo di emancipare dal segregazionismo la comunità nera. Ma se in quei luoghi il klu Klux Klan fu una realtà rilevante e se il partito democratico lo stesso che ha eletto Barack Obama alla Casa Bianca, fino alla svolta di Johnson del 1964 era prevalentemente segregazionista in Stati come la Georgia, il Mississippi, di questo non può essere incolpato post mortem il buon vecchio Generale Lee. Perché se il rancore della sconfitta generó molti degli spettri del sud, la cancellazione obbligata della memoria non potrà che accentuare l’odio e legittimarlo in una difesa della propria storia.
Colpevolizzare e deturpare le statue di Cristoforo Colombo, reo di aver scoperto l’America, non rende giustizia dei milioni di morti nativi, vittime della conquista europea. Così come fasulla è là narrazione degli “‘indiani” pacifici fini all’arrivo dei bianchi. La storia non è semplice è tantomeno lineare, non è un menù dal quale si possa scegliere quale pietanza consumare. La storia è fatta di sangue, crudeltà, giustizia e ingiustizia: è fatta da uomini del loro tempo, che non possono essere compresi e giustificati con gli occhi di oggi. Come scrisse saggiamente un grande storico come Gioacchino Volpe: “ la storia non si fa razzolando tra i rifiuti” e ultimamente abbiamo già visto troppi ratti aggirarsi tra i lembi della nostra memoria.
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