𝐋𝐚 𝐬𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐚𝐭𝐭𝐨𝐥𝐢𝐜𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐝𝐢𝐩𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐏𝐚𝐩𝐚
Ma la Chiesa, il mondo cattolico, le scuole cattoliche, le università cattoliche, l’editoria cattolica, la comunicazione d’ispirazione cattolica, il popolo dei credenti dove sono finiti, come mai non si fanno sentire mai sulle questioni decisive e rilevanti che riguardano gli orientamenti civili e culturali, l’arte, il pensiero, la scienza e la tecnologia, la letteratura, la musica e il cinema, il politically correct, la cancel culture e l’ideologia woke?
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La scomparsa dei cattolici non dipende solo dal Papa
di Marcello Veneziani
11 Marzo 2024
Ma la Chiesa, il mondo cattolico, le scuole cattoliche, le università cattoliche, l’editoria cattolica, la comunicazione d’ispirazione cattolica, il popolo dei credenti dove sono finiti, come mai non si fanno sentire mai sulle questioni decisive e rilevanti che riguardano gli orientamenti civili e culturali, l’arte, il pensiero, la scienza e la tecnologia, la letteratura, la musica e il cinema, il politically correct, la cancel culture e l’ideologia woke? Ma anche nelle scelte della vita comune, la vita intima, le sue inclinazioni non si avverte mai un punto di osservazione religioso, prima che cattolico e cristiano…
Noi risolviamo tutto risalendo a Papa Francesco, a lui attribuiamo ogni merito, ogni colpa, ogni responsabilità della presenza o dell’assenza cristiana nel mondo; ma non possiamo caricare sulle sue spalle, piuttosto malandate e forse inadeguate, tutto il peso della cristianità. Ma nemmeno sulla Conferenza Episcopale o su qualche suo portavoce o esponente di spicco. Certo, l’ordine e la gerarchia delle responsabilità è a partire da loro che sono ai vertici della cristianità; ma non possiamo esaurire un mondo vasto che un tempo coincideva quasi col mondo occidentale, con la società, ad alcune figure apicali o rappresentative.
Sull’Avvenire di qualche giorno fa, il teologo Pierangelo Sequeri ha denunciato l’irrilevanza dei cattolici sul terreno culturale e sul piano comunitario. Tema ripreso da Roberto Righetto. Persiste solo un flebile moralismo, solitamente sconfinante nella filantropia sociale, soprattutto in tema di accoglienza e migranti. Anche il cardinale Zuppi riconosceva una certa timidezza dei cattolici rispetto ad atteggiamenti aggressivi “di una certa cultura dominante”; magari si dovrebbe avere il coraggio di chiamare con i suoi nomi propri, per non restare nella stessa timidezza subalterna che viene denunciata: l’egemonia radical-progressista, d’impronta atea, irreligiosa e laicista. Giusto il suo appello alla fantasia creativa, ma probabilmente non basta, occorre una visione del mondo calata nella vita dei giorni, l’ardire di un confronto, il coraggio civile, la capacità di dialogo e pure di dissenso, il non aver paura di essere troppo innovatori o troppo conservatori; l’amore per la realtà, per la natura, per la storia e per la tradizione in una società che preferisce il loro contrario. E poi, se permettete, avete ormai la prova che il mimetismo fino all’assimilazione al gergo e alle attitudini del presente non funziona e non fa proseliti, anzi allontana sempre più i popoli e i singoli credenti dalla vita e da ogni concezione religiosa: se credete di contare di più mettendovi semplicemente al passo dei tempi, sposando il linguaggio e le preoccupazioni correnti, perdete il senso radicale e originale della vostra missione e del vostro messaggio e il motivo per cui potete trovare attenzione nel mondo. Se non parlate di morte e resurrezione, di senso della vita e amor di Dio; di mistero e scommessa sul rischio della fede, non c’è bisogno di voi nel mondo. E se dimenticate i simboli, i riti, le liturgie, le rappresentazioni del sacro, per mimetizzarvi di più nel paesaggio corrente, vi confondete col mondo, passate inosservati, perdete la grazia del vostro linguaggio divino e differente, che solo può destare attenzione e ammirazione. Poi è inutile prendervela col supermercato delle religioni, la paccottiglia spirituale, la sottocultura new age, l’analfabetismo religioso, se rinunciate a coltivare la forza e il mistero della vostra testimonianza, del vostro linguaggio, della vostra capacità di parlare oltre la vita e oltre la morte, di esprimere il desiderio d’eternità. Quelle pseudoreligioni coprono un vuoto che voi lasciate incustodito…
Però, come dicevo agli inizi, non si può risolvere il problema additando i vertici della Chiesa per i loro errori, la loro compiacente neutralità sui temi cruciali della vita, la loro riluttanza a portare lo scandalo della religione in una società radicalmente e superficialmente irreligiosa. C’è un problema più vasto che riguarda proprio il mondo cattolico, anche quello che va oltre le chiese e le sacrestie. E’ un ritirarsi, uno spegnersi, un essiccarsi della fiamma, un’accettazione di disfatta e di abbandono che ormai è in ciascuno. Non c’è mai un organismo d’ispirazione cristiana, a qualunque livello, che prenda posizione su temi, dibattiti, personaggi, aggressività e supponenza della cultura dominante. Prevale un senso di inadeguatezza e la percezione di essere comunque soccombenti, fuori luogo: dunque inutile cimentarsi, meglio mettere da parte le proprie convinzioni, o tenersele per sé, fino a privatizzare la propria fede cristiana a ridurla a un intimismo privo di porte e di finestre. Non c’è questione culturale, storica o ideale in cui si avverta la presenza di un punto di vista schiettamente cristiano e cattolico, mai un segno né di fedeltà né di originalità; come se già la definizione di cultura, di storia o di pensiero ponesse confini laici e razionali da non oltrepassare, fino a circoscrivere al proprio tempo o alla competenza tecnico-scientifica di quei saperi specifici, l’ambito adeguato di quelle controversie. Ogni “intrusione” religiosa è considerata come impropria, fuori luogo, anche se in realtà il sottinteso è che sia “fuori tempo”. Quello è già il segno di una capitolazione, il cedimento alla pigrizia e al decorso degli eventi, perché è faticoso oltre che creativo, saper rispondere alle controversie della contemporaneità, al narcisismo, ai coming out, ai desideri di mutare natura, sesso, corpo, età, famiglia, città che prevalgono nel frasario più diffuso del momento.
Si tratta in una parola – ma che diviene fatto, scommessa e ammissione di identità – mettere in gioco il senso religioso della vita e farlo valere nelle scelte quotidiane. Anche in quelle scelte di ogni giorno, che sembrano attenere ad ambiti neutrali, asettici, o semplicemente profani, vitali, tecnici, è in gioco il senso religioso o irreligioso della vita. Finché non si riparte da lì, i cattolici proseguiranno nel loro progressivo passaggio alla clandestinità, in una parabola che va dall’irrilevanza alla scomparsa.
La Verità – 10 marzo 2024