La quinta guerra di Erdoğan

Una quinta guerra non gioverà alla Turchia

di Burak Bekdil  11 ottobre 2020

Pezzo in lingua originale inglese: A Fifth War Won’t Do Turkey Any Good
Traduzioni di Angelita La Spada

Il 28 agosto, Metin Külünk, un ex parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan, ha pubblicato una cartina della “Grande Turchia”, che mostra la portata delle ambizioni revisioniste della Turchia. Comprende aree geografiche di Grecia, Bulgaria, Cipro, Siria, Iraq, Georgia e Armenia.

In una dichiarazione altrettanto minacciosa, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha consigliato provocatoriamente alla Grecia di rimanere in silenzio “per non diventare un meze [uno spuntino] per gli interessi degli altri”.

La quinta guerra di Erdoğan non avrà vincitori. Ma la Turchia di Erdoğan sarebbe la più grande perdente.

Turkish President Recep Tayyip Erdogan speaks during State Medal of Commendation Ceremony at Bestepe National Congress and Culture Center in Ankara on September 17, 2020. (Photo by Adem ALTAN / AFP) (Photo by ADEM ALTAN/AFP via Getty Images)
 Le minacce dalla Turchia sono arrivate con una profusione senza precedenti. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan di recente ha dichiarato: “…La Turchia ha il potere politico, economico e militare [sufficiente per] stracciare mappe e documenti immorali imposti. O capiranno il linguaggio della politica e della diplomazia, o lo capiranno sul campo con esperienze dolorose. (…) Un secolo fa, li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare (…)”. Nella foto, Erdoğan che parla ad Ankara, il 17 settembre 2020. (Foto di Adem Altan/AFP via Getty Images)
Nel corso del XX secolo, i turchi e i loro tradizionali rivali dell’Egeo, i greci, hanno combattuto quattro guerre convenzionali: la Prima guerra balcanica (1912-1913); la Prima guerra mondiale (1914-1918); la guerra greco-turca (1919-1922) e la guerra di Cipro (1974). Pertanto, non è la prima volta in tempo di pace che i quotidiani di tutto il mondo dicono ai loro lettori che il Mar Egeo è sull’orlo di una guerra. La “pace” nell’Egeo ha sempre oscillato da fredda a molto fredda, fatta eccezione per brevi periodi di relativa cordialità. Sembra che turchi e greci vivano in case vicine costruite su una faida di sangue che dura da secoli.

Charles King, nel suo libro Midnight at the Pera Palace: The Birth of Modern Istanbul, ha scritto dei primi anni post-ottomani a Istanbul e degli sforzi profusi nella costruzione della nazione della nascente Repubblica di Turchia:

“Le minoranze non musulmane di Istanbul sono diminuite passando dal 56 per cento nel 1900 al 35 per cento alla fine degli anni Venta. Altre città hanno registrato una diminuzione ancora più drastica. Izmir, l’ex Smirne, è passata da una presenza del 62 per cento di non musulmani al 14 per cento. (…) Ma la rivoluzione demografica ha cambiato praticamente tutto nei vecchi quartieri di Istanbul popolati dalle minoranze. Nella fretta di partire, greci, armeni ed ebrei hanno lasciato il contenuto delle loro case e appartamenti nei negozi dei rigattieri, sperando di ottenere almeno una piccola somma di denaro prima di salire a bordo di una nave o di un treno…

“La Turchia nel suo insieme è diventata più musulmana e più turca, più omogenea e più rurale che mai, a causa della fuga dalle città delle minoranze non musulmane. Alcune delle famiglie che sarebbero poi diventate i pilastri dell’economia di Istanbul emersero (…) senza perdere di vista le alterne fortune e trasformando i legami politici in guadagni economici una volta che le attività commerciali greche e di altre minoranze furono messe in vendita. Non c’era nulla di necessariamente disonesto nei loro rapporti, ma facevano affidamento su massicci trasferimenti di ricchezza, le cui origini risiedono nella preferenza della Repubblica per la purezza nazionale rispetto al vecchio cosmopolitismo della capitale imperiale”.

Dopo tre guerre all’inizio del secolo, le tensioni turco-greche esplosero poi a Cipro, dove turchi e greco-ciprioti convissero fianco a fianco in pace fino a quando non iniziarono a massacrarsi a vicenda dopo gli anni Cinquanta. I conflitti etnici portarono all’operazione militare turca nel luglio del 1974 che terminò con l’occupazione di un terzo del territorio settentrionale dell’isola. Da allora Cipro è divisa lungo linee etniche.

Nel 1996, le forze armate turche e greche erano sull’orlo di un’accesa battaglia per rivendicazioni di sovranità su una minuscola isoletta nel Mar Egeo meridionale. Pochi anni dopo che la mediazione statunitense riuscì a scongiurare la guerra, pochi turchi o greci ricordavano perfino il nome di quell’isoletta disabitata di 9,9 acri: Imia (Kardak, in turco).

Le tensioni odierne, che si estendono dal Mar Egeo al Mar Mediterraneo, sembrano più gravi di quelle tra due adolescenti che litigano per un pezzo di roccia.

Quando il capo del Mossad israeliano, Yossi Cohen, ad agosto avrebbe affermato che “il potere iraniano è più fragile, ma la reale minaccia proviene dalla Turchia”, aveva ragione. Ultimamente, le minacce dalla Turchia sono arrivate con una profusione senza precedenti.

In un recente discorso a Istanbul, il presidente islamista turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha fatto accenni non così sottili alle sue idee irredentiste, con particolare riferimento al Trattato di Sévres del 1923, che insieme ad altri trattati, ha stabilito i confini della Turchia moderna:

“Capiranno che la Turchia ha il potere politico, economico e militare [sufficiente per] stracciare mappe e documenti immorali imposti. O capiranno il linguaggio della politica e della diplomazia, o lo capiranno sul campo con esperienze dolorose. (…) Un secolo fa, li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare. Spero che non paghino lo stesso prezzo ora”.

Robert Ellis, che scrive di Turchia, ha ricordato ai lettori ciò che Abdullatif Şener, un tempo fedele alleato di Erdoğan e ora membro dell’opposizione, aveva dichiarato in un’intervista sei anni fa: Erdoğan sarebbe perfino pronto a trascinare la Turchia in una guerra civile per mantenere la sua presa sul potere.

Metin Külünk, un ex parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan, il 28 agosto ha pubblicato una cartina della “Grande Turchia”, che mostra la portata delle ambizioni revisioniste della Turchia. Comprende aree geografiche di Grecia, Bulgaria, Cipro, Siria, Iraq, Georgia e Armenia.

Im una dichiarazione altrettanto minacciosa, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha consigliato provocatoriamente alla Grecia di rimanere in silenzio “per non diventare un meze [uno spuntino] per gli interessi degli altri”.

Tutte queste parole bellicose hanno inviato vari messaggi su diverse lunghezze d’onda sul lato occidentale del Mar Egeo e oltre. La Grecia ha detto che sta rafforzando il proprio arsenale militare e le sue truppe per prepararsi a un conflitto aperto con la Turchia. Il 13 settembre, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha dichiarato che la Grecia avrebbe acquistato 18 nuovi caccia francesi Rafale per sostituire i suoi vecchi caccia Mirage 2000, avrebbe anche acquistato quattro elicotteri per la Marina e quattro nuove fregate, e modernizzato altre quattro navi. Mitsotakis ha inoltre affermato che il suo governo ha intenzione di estendere il servizio militare obbligatorio dagli attuali nove mesi a un anno.

Un conflitto aperto in seno e intorno al Mar Egeo è contro gli interessi occidentali. I Paesi occidentali, tuttavia, hanno ragione a non rimanere indifferenti o sottomessi alle minacce turche. Il 1° settembre, Washington ha annunciato che avrebbe revocato parzialmente un embargo sulle armi nei confronti della Repubblica (greca) di Cipro, imposto 33 anni fa, una mossa immediatamente condannata da Ankara. Con una mossa correlata, il segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recato a Cipro il 12 settembre nel tentativo di mediare una soluzione pacifica alle tensioni con la Turchia nel Mediterraneo orientale.

“Restiamo profondamente preoccupati per le operazioni della Turchia volte a rilevare le risorse naturali nelle aree su cui Grecia e Cipro affermano la propria giurisdizione sul Mediterraneo orientale”, ha detto Pompeo ai giornalisti a Nicosia. Durante la sua visita, il governo statunitense e quello cipriota hanno firmato un memorandum d’intesa, che Ankara ha in modo assurdo contestato, sostenendo che potrebbe danneggiare la pace e la stabilità nel Mediterraneo orientale.

Il conflitto nell’Egeo e le sue ripercussioni riguardano anche l’Unione Europea. Il gruppo MED7 dei Paesi dell’Europa meridionale, il cui summit il 10 settembre è stato ospitato dalla Francia in Corsica, ha espresso pieno sostegno e solidarietà a Grecia e Cipro riguardo alle ripetute violazioni dei loro diritti di sovranità da parte della Turchia. Il Consiglio Europeo si è riunito l’1 e il 2 ottobre per decidere se imporre o meno sanzioni ad Ankara [e ha convenuto di avviare un’agenda politica UE-Turchia. In caso di nuove azioni di Ankara in violazione del diritto internazionale, l’UE farà ricorso a tutti gli strumenti di cui dispone per tutelare i propri interessi e quelli degli Stati membri, N.d.T.].

La Grecia ha inoltre il sostegno di altri due Paesi di primaria importanza nel Mediterraneo, l’Egitto e Israele, oltre al sostegno di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania.

Erdoğan può vincere la quinta guerra solo in casa. Se evita un conflitto militare, avrà scongiurato una guerra persa per la Turchia. In patria, la sua politica estera aggressiva, le sue spacconate e la sua retorica del tipo “Sfido il mondo intero” potrebbero fargli guadagnare qualche voto in più e ulteriore popolarità. La quinta guerra di Erdoğan non avrà vincitori. Ma la Turchia di Erdoğan sarebbe la più grande perdente.

Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.