La Quinta colonna del racconto becero

La Quinta colonna del racconto becero
di Gigi Di Fiore
La traccia è così scontata e ripetuta che, nonostante la diversità di ospiti e temi, ogni puntata sembra un sequel già visto tante volte. Ieri sera, su Rete 4, è andata in onda un’altra performance della trasmissione “Quinta colonna”, che stavolta si occupava di nord-sud e referendum in Veneto e Lombardia. La presenza in studio di Marco Esposito, collega apprezzato per i suoi approfondimenti sulla spesa pubblica nel Mezzogiorno, aveva creato illusioni.

Sperare che un programma, preconfezionato e con target di audience particolare, potesse dare spazio a ragionamenti, approfondimenti, confronti su dati e analisi era pura illusione. E’ la televisciun! diceva Enzo Jannacci. La televisciun che non ha tempo, né spazio per ragionare. Che oggi, in era di news-panini, notizie in decimi di secondo rilanciate dai social e dalle all news 24, si è fatta ancora più caciarona, approssimativa, superficiale. Diciamolo: inutile, se si cerca uno stimolo al cervello.

Prendi due piazze chissà dove scelte, una a Napoli e l’altra a Padova. Mettici una decina di persone, anche qui non si sa attraverso quale selezione, e hai già fatto la tua scelta narrativa: a Napoli, disoccupati, gente di studi non approfonditi, come ce ne sono in tutt’Italia; a Padova, leghisti impegnati e professionisti. L’obiettivo: raccontare che, in quel Sud, degli sfaccendati disoccupati, che non riescono ad articolare neanche una frase in italiano, sono parassiti mantenuti dal nord che paga le tasse.

Irritante l’ospite in studio leghista che, per rafforzare la tesi iniziale da dover solo confermare nel corso della puntata, faceva sempre la stessa domanda ai collegati da Napoli: “Che lavoro fa?” per ricevere sempre la stessa risposta, che gli autori del programma avevano ben previsto con la scelta degli ospiti napoletani in piazza: disoccupato. Che ne era del tema del programma, delle autonomie regionali, delle risorse redistribuite, del principio di uguaglianza costituzionale, cosa si poteva mai cercare di spiegare sulla storia d’Italia, sulle fasi vissute dalla “questione meridionale”, sul pil ondeggiante nei 156 anni unitari?

L’obiettivo era un altro: regalare fuori dal sud una narrazione ripetuta altre volte. Qui, la napoletaneria è dominante, si vuole affermare. Chissà perchè, nella piazza napoletana, non c’era alcun docente universitario, alcun profesisonista, alcun operaio impegnato. Una scelta. Come è sempre scelta il taglio della narrazione, dove orientare i riflettori, dove dirigerli al meglio per confermare il racconto che si vuole fare apriori per il proprio pubblico.

E Quinta colonna ha un solo racconto possibile sul Sud, tarato sul suo target di ascolto: tutti approfittatori, evasori fiscali, scansafatiche, capaci solo di fare “sceneggiate napoletane”, come diceva uno dei collegati dalla piazza di Padova. E poi ci sono i camorristi e gli urlatori e gesticolatori da folklore. Un’immagine che conosciamo: è la napoletaneria da disprezzare, quella che si vende al nord, che fa cassetta nei programmi televisivi con spettatori di altre regioni.

Peccato che domini il pregiudizio. Si avalla la notte dove tutte le vacche sono nere per dirla alla Hegel. Oltre il rigore e l’intelligenza dei veneti che, come i meridionali, furono popolo di emigranti, subirono l’unità e un plebiscito farsa per l’annessione. Ma veneti, nord e sud non c’entravano nulla in un racconto, dove lo stereotipo è stato il copione base. Dove la scelta degli ospiti è stata dettata da questo obiettivo. Poco male, averne avuto conferma. In quello studio, non c’era spazio per ragionare né per la napoletanità, che è invece dignità, identità, conoscenza di una grande storia, fastidio per tutto quello che sa di vittimismo, piagnisteo, mano stesa per ricevere elemosina. Ma questo era inutile spiegarlo, ieri sera. Non avrebbero capito. C’erano da leggere e studiare centinaia di libri, soprattutto di storia, per poterlo afferrare.

Martedì 24 Ottobre 2017, 11:41
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