La prudenza dei simboli
È tutta questione di… prudenza.
In tutte le culture umane di cui siamo a conoscenza, siano esse di tipo storico (ossia con una storiografia documentata e documentabile) oppure astoriche (ossia a tradizione orale), i simboli, e dunque la loro circolazione all’interno dei gruppi umani che compongono quella cultura, sono indispensabili per la sopravvivenza.
Tutto ciò che è statico è mortale, perché ciò che è immobile è perfetto, non subisce nessuna usura, né contaminazione da parte del tempo. Ecco perché qualsiasi Dio è un motore immobile: Egli muove tutto, pur restando fermo.
Da questo punto di vista, possiamo persino affermare che lo stato di perfezione umana assoluto è quello della morte, proprio perché non siamo più soggetti alle idee in movimento che il nostro cervello produce. E il nostro cervello, per sentirsi vivo, deve produrre idee, cambiamenti e progetti. Senza movimento il nostro cervello non sarebbe tale, proprio perché lui stesso è il movimento per eccellenza. Ma non solo lui.
Tutto, in natura si muove, inizia e finisce, parte e si ferma, procede in avanti e poi torna indietro. È una legge di questo nostro sistema solare, e gli astrofisici ci dicono che l’Universo stesso si espande e si ritrae, e che il tempo è curvo, mentre noi lo percepiamo lineare. Insomma, ognuno di noi è immerso in un mistero di vita di cui sa ben poco, e quando riflettiamo sulle cose che ho appena scritto, a volte può venirci un sano giramento di testa, come si suole dire!
Ma torniamo ai simboli, perché sono proprio questi che ci permettono di creare movimento, cambiamento e progetti. Lo fanno assieme ai segni ed ai segnali. Ma a noi qui interessano soprattutto i simboli.
Il termine simbolo deriva dall’unione del prefisso σu´μ (sym), che significa “insieme”, con il verbo greco βα´λλω (ballo), che significa “getto”. Quindi, letteralmente significa “mettere insieme”, “unire”, “armonizzare”.
Se ci soffermiamo a riflettere su come trascorriamo la nostra vita e su quali comportamenti adottiamo ci rendiamo conto di quanto e come utilizziamo i simboli. La realtà che ci circonda, ciò con cui veniamo a contatto ogni giorno, ciò che pensiamo, esprimiamo, indichiamo, prevede la mediazione di simboli.
Che siano lettere, note musicali, numeri, simboli di quantità, parole, immagini iconiche, simboli di idee, e così via, in tutti questi casi, la mente umana utilizza i simboli, per collegare una realtà concreta, materiale, ad una puramente cognitiva, ossia rappresentativa.
Per comprendere a fondo il ruolo dei simboli, soffermiamoci su qualche esempio, partendo da alcune considerazioni di tipo neuroscientifico. Il nostro cervello, e dunque la nostra mente, si è evoluta, nel corso di questi millenni, combinando le abilità linguistiche con quelle simboliche, nelle stesse aree. Per esempio, l’insula, un’area del cervello coinvolta in alcuni processi emozionali, nella memorizzazione, nella sensazione della fame, ed anche nel bisogno di assumere droghe, elabora l’emozione del disgusto, sia fisico che etico. Infatti, essa si attiva sia quando mordiamo un’albicocca con i vermi, sia quando veniamo a conoscenza della quantità di spose bambine presenti nel mondo. Quando ci facciamo inavvertitamente un taglietto sul polpastrello, provando un piccolo dolore fisico, si attiva la corteccia cingolata anteriore, esattamente come quando vediamo una foto sui social di un bambino annegato durante una traversata migratoria.
Possiamo dunque dire che le metafore, e questa è la loro forza maggiore, riescono a trasformare una sensazione fisica in un concetto e viceversa. In una prospettiva psico-antropologica, l’antica dicotomia (a volte ancora presente in molti saggi ed articoli scientifici) fra la teoria e la pratica è filogeneticamente infondata.
Tutto ciò che viene elaborato dalla nostra mente è il frutto del nostro esistere nel mondo come corpi, come entità fisiche e dunque pratiche. Ogni riflessione mentale che compiamo sul mondo, sia essa linguistica o sotto forma di progetto, è sempre il frutto del nostro essere fisicamente nel mondo. Quindi, la dimensione corporale dei nostri processi mentali manifesta la continuità, senza soluzioni, fra corpo e mente.
Ecco, penso che queste considerazioni ci possano aiutare a interpretare diversamente, quindi con maggiore prudenza, tutto ciò che sta accadendo nel mondo, anche nella nostra Europa.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).