La paura di vivere e la gabbia della salute
Ma torneremo o no alla libertà e alla democrazia di prima della pandemia? Torneremo, e quando e come, alle piazze gremite e al lavoro in ufficio, agli alunni a scuola e agli studenti all’università, al volto scoperto e alle relazioni affabili? O le mutazioni intervenute negli ultimi tre mesi hanno cambiato definitivamente il nostro sistema di vita, di lavoro, di studio, di ricreazione e di cittadinanza, hanno imposto dopo le gabbie salariali le gabbie della salute?
O per essere più malpensanti, le restrizioni imposte nel nome della pandemia verranno estese e applicate per cambiare definitivamente i nostri rapporti umani e produttivi e per renderci più docili al potere politico e tecnocratico, scientifico e sanitario, economico e finanziario? L’estensione sine die della scuola a distanza, oltre a distruggere l’essenza comunitaria della scuola e il rapporto vitale tra docente e discente, vuole in realtà formare nuove generazioni per il lavoro da casa, lo smart working, più conveniente per le aziende, meno dispendioso e dispersivo, con la riduzione dei dipendenti a monadi, lontane da ogni aggregazione sociale, sindacale, culturale e conviviale e non più in grado di distinguere tra pubblico e privato, tra tempo libero e tempo lavorativo, tra casa e caserma? E quanti meccanismi di controllo e di prevenzione verranno usati oltre il tempo della misura sanitaria ed eserciteranno una più capillare sorveglianza sui cittadini, le loro preferenze, i loro consumi, la loro tracciabilità negli spostamenti? E la vaccinazione obbligatoria, che si ipotizza, non è una forma di controllo inquietante sulla libertà, la salute e il dominio di una tirannide farmaceutica, come sempre giustificata a fin di bene? Tutto questo non vi ricorda il comunismo che per fondare la società perfetta, la società migliore, per imporre un futuro migliore, un uomo nuovo e una società nuova, era poi costretto a usare tutti i mezzi di controllo e di repressione, fino alla deportazione e al genocidio?
Uno sciame di domande che in realtà compone un mosaico di inquietudini. A volte si ha l’impressione che si sia instaurato un dispositivo economico-sanitario che nel nome della paura – antica fonte di ogni potere, soprattutto dispotico – genera una forma di totalitarismo applicato a una società molecolare di massa. L’idea che col virus dovremo convivere, che prima o poi ritorna, o ne arriva un altro, in forme inedite e perciò nuovamente pericolose, si associa alla raccomandazione ossessiva di questi mesi: non abbassare la guardia, tenere alta la vigilanza. Ovvero traduci: non tornare alla normalità e alla libertà, far perdurare all’infinito questo stato di emergenza, isolamento e restrizione.
A chi giova tutto questo? Chi ci guadagna in questa situazione? Chi resta al potere, con l’alibi dell’emergenza. Chi vende prodotti farmaceutici, programmi di controllo, strumenti tecnologici di sorveglianza, o altre linee di prodotti, anche ideologici, anche pseudo-medici, fino ai libri dei virologi-star, onnipresenti e ben remunerati. Insomma chiunque speculi su questa situazione e tragga vantaggio dal suo perdurare. Chi detiene in queste condizioni un potere vasto, fino al potere di vita e di morte, sulla popolazione, ha tutto l’interesse a rendere permanente, cronica la situazione in cui siamo stati proiettati dalla pandemia. Il fatto che la Cina, un regime totalitario che mescola mercato, profilassi e comunismo, sia diventato il modello di riferimento, rende ulteriormente inquietante la situazione in corso.
Provo allora a riassumere i tratti della nuova umanità che si profila, in cui tutto ciò che pareva una tendenza diffusa ma privata, individuale, diventa invece sistema e modello sociale: 1) La solitudine globale dei cittadini, connessi ma isolati, collegati ma dissociati, separati dalla distanza di sicurezza. 2) La prigione senza muri, ovvero la libertà limitata già al suo interno, svuotata da dentro, in cui il rifiuto è introiettato nei comportamenti singoli come forma di precauzione per sé e per gli altri; una libertà negata nelle sue elementari funzioni ed espressioni, totalmente dissociata dalla natura, dalla realtà, dalla storia. 3) la riduzione dell’esistenza a nuda vita da preservare ad ogni costo, sorvegliata da un biopotere che costringe i cittadini-utenti-pazienti a rinunciare a qualsiasi cosa possa mettere in pericolo la nuda vita, anche se necessaria all’intelligenza, all’anima, alla vita sociale e comunitaria del cittadino. 4) La sostituzione della religione e del sacro con la tecnica e la sanità, con la relativa ospedalizzazione universale. Giorgio Agamben ha scritto riflessioni sacrosante sulla religione medica combinata al capitalismo globale, che si sostituisce alla religione vera e propria, con la complicità della medesima; e propone e poi impone una prassi della salvezza terrena, rispetto a cui ogni altra fede, cultura, convinzione cade in secondo piano, fino a essere sospesa e revocata nel nome assoluto della prima.
Servirebbe a questo punto una nuova ondata di ateismo nei confronti del nuovo dio, la Sanità, o meglio del sistema totalitario, prodotto dall’incrocio tra ideologie egualitarie, capitalismo tecnologico e controllo farmaceutico; fondato sul timor di Dio (la paura del contagio), la salvezza di vite umane anche a costo di perdere ogni ragione di vivere.
Naturalmente nulla è scritto in partenza, la minaccia può perdere forza e sgonfiarsi lungo la strada, come accade ai virus; il futuro è aperto a ogni soluzione, al trionfo del Biopotere o di chi vi si oppone. L’uomo è mortale ma non s’ingabbia.
MV, Panorama n. 25 (2020)