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Ho conosciuto dal vivo lāinferno notturno della movida.
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La notte in balia di violenti e fomo
Ho conosciuto dal vivo lāinferno notturno della movida. Era passata la mezzanotte, ero a Roma, in Trastevere, mi stavo ritirando e sono stato travolto da un flusso umano o forse inumano. Poteva finire come a Seul, tragicamente, o come le sere precedenti a Trastevere, con una maxi rissa di tutti contro tutti, senza un vero motivo. Mi sono trovato altre volte in queste fiumane notturne, ma lāultima ĆØ stata peggio delle altre. Ti sentivi privato della tua libertĆ , completamente trascinato dalla marea umana, in balia delle orde, costretto in minimi varchi come rigagnoli o colate di lava. Ti sentivi esposto al pericolo, inerme, privato della tua personalitĆ ; lāincolumitĆ minacciata non da singoli ma da flussi e maree, reazioni a catena, effetti virali. Qualcuno invoca le forze dellāordine ma sarebbero sommerse e schiacciate, e poi cosa dovrebbero fare, caricare urbi et orbi? Occorrono divieti, accessi limitati, fasce orarie consentite, ma non ĆØ di ordine pubblico e schiamazzi notturni che voglio parlare. BensƬ di quellāumanitĆ compressa e alterata.
Ho provato a vedere in faccia i ragazzi che partecipavano a questa festa coatta, a captare qualche parola dei loro discorsi. La calca era tale che perfino la loro attivitĆ primaria era interdetta, nessuno aveva il telefonino in mano, non avrebbero potuto usarlo e nemmeno ascoltare ed essere capiti. Vivevano in diretta la realtĆ , brandivano un bicchiere o una bottiglia come tessera dāinclusione alla movida in corso. Ho percepito due specie diverse di viventi in quella bolgia, una inoffensiva e lāaltra, piĆ¹ ristretta, decisamente minacciosa, aggressiva. Questi ultimi sciamavano in branchi, avevano tatuaggi di setta, o erano vestiti allo stesso modo, non pochi erano palestrati; cāerano branchi biancovestiti e altri nerovestiti, come in una specie di gioco degli scacchi in formato bellicoso. Guerre da passeggio, senza movente. Appartenevano a contrade di non luoghi, periferie scontente e rancorose. Piovuti da chissĆ quale Scontentopoli sub-urbana. Cercavano il pretesto per menare le mani, prendersela con qualcuno e ingaggiare una battaglia contro un nemico gratuito, improvvisato. Non cāerano piĆ¹ nemmeno le motivazioni conflittuali di un tempo: bande politiche rivali, gruppi estremisti o fondamentalisti o anche tifoserie avverse, campanilismi agguerriti, e nemmeno volontĆ di vendicare una ragazza molestata; no, cāera una totale aggressivitĆ che si esercitava su obbiettivi casuali, scelti dal capo branco o dal āsommelierā del gruppo come bersagli da pestare. Diventi amico o nemico per motivi del tutto fortuiti, occasionali, psicolabili. Ho visto sorgere un paio di maxi-risse tra pittbull umani, a pochi metri da me, senza poter far nulla, nĆ© dividerli nĆ© allontanarsi, imbottigliati nel flusso. Ti accorgi di una carica di violenza e frustrazione a lungo accumulata che cerca di notte una miccia per esplodere e divampare; quellāesuberanza di energia che ieri si sfogava nella guerra, nellāesercitazione atletica o nella lotta politica tra fazioni. E ora invece ĆØ cieca, immotivata, nichilista, pura eruzione eccitata da alcol e sostanze o solo dal contagio situazionista, dal cortocircuito tra folla e narcisismo, istinto animale di sopraffazione e spettacolo di potenza.
Intorno a questi facinorosi in cerca di rissa gratuita per rendere memorabile la nottata, cāerano masse di ragazzi che tentavano minimi esercizi di socialitĆ e perfino di conversazione e corteggiamento, schiacciati dalle fiumane in transito e da altri gruppi attigui. Li ho guardati in faccia, erano meno alieni dei guerriglieri del nulla: anzi molti erano i ragazzi della famiglia accanto, potevano essere tuoi figli o nipoti, li immaginavi fuori dalla mischia, nella vita corrente, a studiare e a lavorare. Captavi il gergo della contemporaneitĆ , le espressioni ormai rituali e tribali, la povertĆ lessicale e le iperboli tipiche dei ragazzi. Ti sorgeva insistente la domanda: ma perchĆ© stanno qui, perchĆ© farsi del male, chi glielo fa fare a passare cosƬ male la loro serata-nottata; cosa li spinge a passare ore in piedi, in questo vicolo sporco e angusto, schiacciati tra il muro e la folla, mentre a due passi da loro minacciosi alterchi rischiavano di degenerare da un momento allāaltro in un parapiglia generale. Che relazioni puoi intavolare, che cosa puoi dirti in quel marasma? Ho capito allora che esiste davvero quella sindrome denominata Fomo (fear of missing out) ossia paura di essere tagliati fuori, esclusi; questāansia di essere inclusi, questa ossessione di essere connessi alla marea del presente, nel momento e nel luogo prescritti. Paura di perdersi qualcosa, di non essere al passo dellāora. Ho visto in quella sindrome un estremo conato di narcisismo e inclusione, che sfocia nel desiderio oceanico di sciogliersi nel magma indifferenziato dellāIstante Collettivo. Spariscono il passato, il futuro, lāinterioritĆ e lāeterno, resta solo lāindividuo momentaneo confluito in quella marea umana che sente di essere dentro la corrente giusta del tempo e del mondo. Guai a mancare al flusso, significherebbe non vivere, non partecipare; ci sono luoghi che diventano santuari del momento e mete di pellegrinaggi: localini insignificanti, spacci di bevande e non solo, ritrovi trendy, paninerie e street food, eletti a luoghi obbligati dellāinclusione. Vi risparmio la solita morale dei vecchi sui giovani, ogni generazione sbaglia a modo suo. Solo un dubbio: siamo davanti a un trailer del postumano prossimo venturo?
(Panorama n.46)