𝐋𝐚 𝐌𝐮𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚, 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞
È dura per Giorgia Meloni e i suoi fratelli d’Italia passare dalla politica all’amministrazione.
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La Mutazione della destra, dalla politica alla gestione
È dura per Giorgia Meloni e i suoi fratelli d’Italia passare dalla politica all’amministrazione. È dura passare dalle “belle bandiere” ai disegni di legge, dai comizi di piazza alla Commissione europea, da Evita Peron a Christine Lagarde. Chi ha fatto politica all’opposizione per una vita, e trent’anni sono una vita, sa che quando raggiunge l’apice della politica, deve guidare un Paese, occuparsi di governance, mediare tra poteri, partecipare a vertici internazionali su tutt’altre questioni. Diciamo sempre che vogliamo i politici al posto dei tecnici, perché rappresentano gli interessi generali e i valori condivisi e hanno visione d’insieme. Ma, soprattutto oggi, far politica significa adottare provvedimenti tecnici e amministrativi, imbarcarsi nella burocrazia e nella selva di leggi, negoziare direttive in cui la politica è solo come residuo, cornice, o vago orientamento di fondo, che diventa sempre più di sottofondo. Le idee vengono bandite per far posto ai fondi, il terreno è quello dei tecnici; si entra nella dragosfera. È questa la Mutazione in corso per Fratelli d’Italia. I primi provvedimenti del governo Meloni hanno ripristinato per un momento la classica divisione tra destra e sinistra. La destra che si preoccupa di legge, ordine e sicurezza generale, mentre la sinistra rappresenta la voce di chi scende in piazza, fa i rave party, sbarca in clandestinità. Facile notare che alla destra tocca il compito di rappresentare gli umori, le paure, le istanze della maggioranza, più o meno silenziosa; la sinistra, invece, cavalca le minoranze, tutela – come ha detto Letta – le “devianze” e riscopre all’opposizione di essere garantista e libertaria. Salvo dimenticarsene quando è al governo: peraltro le migliori cose dei governi di sinistra le hanno fatte proprio sposando tesi e criteri che un tempo si sarebbero detti securitari, “di destra”. Ricordate Marco Minniti all’Interno? Ora la loro battaglia non riguarda gli italiani comuni, ma sempre le minoranze da proteggere, omosessuali, trans, sballati, studenti intolleranti o migranti. E non c’è fermezza, peraltro in linea con i governi europei, che non venga tradotta con i soliti schemini del fascismo tornante, dell’autoritarismo incipiente. Si rovesciano invece le parti appena si parla di giustizia o di sanità: lì, ogni apertura alle garanzie, come quelle del neo-ministro della giustizia Carlo Nordio o del Ministro della salute Orazio Schillaci in tema di medici e vaccini, appaiono inaccettabili. E’ possibile incarcerare un popolo intero per ragioni di sicurezza sanitaria, ma non è possibile limitare raduni abusivi in cui scorre droga e alcol.
Ma vorrei tornare al disagio di chi, dopo anni di politica, si trova a dover lavorare coi fascicoli, l’alta burocrazia e le sue insidie, patteggiare con i poteri sovrastanti, rapportarsi alle istituzioni sovranazionali e alle loro direttive. C’è da perdere smalto, c’è da spegnersi e mutarsi in Merkel; anche se dall’altra parte, l’ebbrezza del comando, il piacere di decidere e dettare l’agenda del paese, compensa la frustrazione politica di chi passa dal magico mondo degli Hobbit, della storia infinita, delle saghe eroiche alla prosa ingrata delle carte bollate.
La speranza è che non si perda l’equilibrio tra le due spinte contrarie: e che l’una non diventi solo il contentino simbolico, l’alibi figurato, dell’altra. Bisogna saper alternare prudenza e audacia ma il vero talento politico, la vera intelligenza, è capire quando è il momento della prudenza e quando è il momento dell’audacia, invertirli a caso o in modi e tempi sbagliati, procura danni letali. L’importante è non lasciarsi mai intimidire dalla pressione mediatica e dall’opposizione preconcetta, ideologica, censoria della sinistra. In questi primi giorni hanno dato uno spettacolo miserabile di quel che può essere un’opposizione, tra ridicole minchiate sul fascismo risorgente e farse boldrinate in tema di declinazioni, desinenze e frasari grotteschi del femminismo tardo, più residui tossici e putrefatti del politically correct. Non sanno uscire dal trittico gay, migranti e antifascismo; il resto non conta.
Letta è imbarazzante nei suoi messaggi e torvo quando minaccia il governo, prima che agisca: non deve restare in sella per il suo mandato; si dovrà fare come sempre si è fatto negli ultimi anni, buttare giù i governi eletti dal popolo e rifare i governi artificiali tecno-sinistri con raccogliticce maggioranze, tenute in piedi dai tutori. A dir la verità l’unico che riesce a rivalutare in serietà Letta è il suo concorrente di opposizione, Giuseppe Conte. Quando dice qualcosa, nel nome di quel Nulla Mutante che lo caratterizza – ora nel suo ultimo travestimento è in versione Masaniello – riesce a rendere credibile anche quel rottamaio che è la sinistra. Nelle opposizioni, va detto, la più centrata sui fatti e non sui soli pregiudizi, resta quella dei centristi, o degli ego-centristi, Calenda e soprattutto Renzi. Loro fanno politica, non giaculatorie simil-ideologiche, come fa la sinistra, o contorsioni piazziste, come fanno i 5S, il partito antisistema che è stato al governo in tutte le formule, con tutto il sistema.
Con questi avversari, la Meloni può stare tranquilla. I pericoli vengono da dentro e dall’alto: ovvero dall’interno della coalizione e dalle pressioni esterne e sovrastanti. Non sappiamo se ce la farà a combattere contro i “tiranni di fuori” e i “vigliacchi di dentro”, per dirla in tono risorgimentale. È partita col piglio giusto, finora non ha sbagliato, ciò che non ci piace era già in premessa, nei suoi programmi; più l’incognita dell’inesperienza. Intanto, però, lasciate che le ricordi i bei tempi in cui battagliava all’opposizione. Giorgia rimembri ancora quel tempo, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e il limitare di gioventù salivi? Non è più tempo di poesia, siamo alla prosa.
La Verità – 4 novembre 2022