Bentornata Concetta
“Donna Cuncè alluccate pè dispiett”; così il cantautore partenopeo Pino Daniele decretava l’inevitabile destino di una donna dei bassifondi napoletani: un vero e proprio invito al popolo ad affermare la propria libertà in un mondo classista. La protagonista del testo incarnava i principi di un’emancipazione desiderata, formalizzata e utopica.
Allontanando l’occhio critico dal panorama musicale e rientrando nei contesti che appartengono alle gioiose dinamiche nostrane, il pontelandolfese medio, ovvero colui che non ci mette la faccia ma solo le parole, scorge un’insolita somiglianza tra la protagonista della canzone e la principale figura che al meglio palesa e rimembra i tratti risorgimentali del nostro paese: Concetta Biondi. Valorosa martire, la giovane donna perdeva la vita durante il sanguinoso processo che andava unificando l’Italia; uccisa barbaramente, resta, ad oggi, il simbolo dell’innocenza del popolo pontelandolfese nella violenta circostanza risorgimentale.
Ma cosa rimane dell’innocua Concetta Biondi? Oltre alla denominazione, in onore alla giovine, della sbriciolata piazza antistante la chiesa Santa Maria degli Angeli, l’innocua Concetta vive sulla mimetizzante lapide commemorativa posizionata lungo il muro perimetrale della piazza. Vive? A tratti! Eh già perché per circa un anno, seguendo le consuetudini di una politica intermittente, la pietra rievocativa ha latitato; è stata in fase di restauro per molto tempo e al suo posto, per avvalorare la figura dell’adolescente, ristagnavano tre sostegni arrugginiti e malandati.
Occorre, adesso, risalire alla nascita di questa abbagliante pietra. Il Natale della lapide è ancora più bizzarra della sua fine temporanea. Il 14 agosto è festa “nazionale” per i pontelandolfesi; la vigilia di Ferragosto rappresenta per il popolo un dignitoso riscatto sociale da un infame passato diffamatorio. Il 14 agosto del 2011, ben otto anni fa, l’amministrazione comunale rese omaggio alle vittime del famoso eccidio di Pontelandolfo e Casalduni. Per la prima volta, dopo 150 anni, la Repubblica Italiana chiese scusa alla popolazione per quanto accaduto. La Stato venne rappresentato dall’onorevole Giuliano Amato. Tutto sembrò perfetto. Dopo l’arrivo del diplomatico in Piazza Roma, l’intera comunità, insieme con le istituzioni, si diresse verso la meravigliosa Piazza Concetta Biondi per svolgere la tanto attesa conferenza che avrebbe finalmente riscattato l’esistenza dei pontelandolfesi. La discussione terminò con sonori applausi e l’immancabile Inno d’Italia. Amato e il sindaco del paese, una volta lasciato il palco, si diressero verso il muro perimetrale della piazza. Sulla parete bianca venne collocata la lapide in pietra, minimamente visibile, in memoria della povera ragazza; perfetto. L’unica pecca, che notò anche il politico Amato, fu che la data, scritta in numeri romani, citò il 14/13/2011. A quel punto si chiese scusa e si tornò tutti a casa come se nulla fosse successo. Mah.
Il secondo passaggio, che accompagna vergognosamente il terribile esito del mausoleo della fanciulla, vede la riparazione dell’ignobile errore tramite la collocazione di una seconda pietra, sempre dello stesso mimetizzante colore, sulla lapide: una sottospecie di toppa riparatrice. Il terzo e ultimo passaggio di questa singolare storia riguarda la dislocazione, causata da interminabili lavori di apparente restauro utili rendere più visibili le incisioni, della pietra: una deplorevole latitanza non voluta dalla protagonista.
E’ da un po’ di tempo che la tenue denuncia di questi mostruosi atti viene considerata come una violenta manifestazione interessata a screditare in primis il paese e in secondo piano le autorità pubbliche. Scritti di questo genere, apparentemente provocatori, sono utili a smuovere le coscienze imputridite che sguazzano nell’inerzia sociale, e invece, per alcuni, appaiono come un atto disfattista di un esuberante cittadino. E certo, perché scardinare i principi su cui si è comodamente seduti è fastidioso; sentirsi minimamente messi in discussione crea delle paranoie incontrollate degne delle più gravi ossessioni di potere incontestabile. La decisione di scendere in politica non viene imposta da un comando divino né dal parere categorico di un medico; ripetere costantemente la pedante litania “io ci metto la faccia” è una giustificazione scialba e priva di senso, utile per scansare, e temporaneamente zittire, le critiche negative. Oltre alla faccia c’è bisogno di tanto cuore.
Le parole dell’articolo, scritte o dette non ha importanza, non alzano nessun casermone di cemento armato, non lasciano latitare i simboli delle nostre tradizioni, non riducono un monumento ai civili caduti durante l’eccidio in un bagno pubblico per cani, non sbriciolano piazze né strade, non sfaldano montagne e non creano sperpero; perciò, cari ed eventuali lettori, chi è il disfattista?
29/04/2019 Gianmarco Castaldi