La furia del nuovo Sessantotto

La furia del nuovo Sessantotto: così annienta la nostra civiltà

Il mondo sta cambiando rapidamente e si impone sempre più l’agenda liberal. Una vera “rivoluzione culturale” che va a minare i simboli e le basi dell’Occidente
Francesco Giubilei – Ven, 03/07/2020

La velocità con cui cambiano scenari, situazioni, contesti generali, non si limita al consenso elettorale e alla facilità con cui milioni di elettori passano a votare da uno schieramento politico all’altro, ma riguarda più in generale la nostra epoca.

Non comprendere l’accelerazione degli eventi storici che caratterizza l’epoca contemporanea, significa rischiare di essere tagliati fuori dal dibattito generale e, per chi fa politica, non avere una capacità di visione, può portare a un crollo di consenso in breve termine. Ripercorrendo gli ultimi quattro anni, rimaniamo colpiti dalla densità di eventi più o meno epocali (senza dubbio inaspettati) che si sono susseguiti: la vittoria di Trump, la Brexit, l’elezione di Bolsonaro, la formazione del governo giallo-verde in Italia, l’esplosione del sovranismo in Europa, il colpo di scena della scorsa estate con la nascita del nuovo esecutivo Pd-M5S e lo sconvolgimento portato dal coronavirus.

Sebbene il covid ci abbia dimostrato, pur nella sua drammaticità, come i valori cari ai conservatori abbiano determinato una risposta alla pandemia (il ruolo delle nazioni, il senso di comunità, il ritrovato patriottismo, la riscoperta dell’ambito spirituale nella vita, il fallimento delle entità sovranazionali) e tutti i limiti del modello globalista rappresentato dalla globalizzazione, non è avvenuto quanto sarebbe stato logico ma il suo contrario. Non c’è infatti stato un ripensamento del modello di società in vigore fino ad oggi con la messa in discussione della visione di un mondo senza confini, permeato dall’ideologia liberal, dalla volontà di cancellare le entità nazionali e l’identità che esse rappresentato, quanto un’estremizzazione delle posizioni già prevalenti nel periodo pre covid. È accaduto in Italia con la regolarizzazione degli irregolari che è solo il primo passo di una serie di misure che ci porteranno ad allinearci all’agenda liberal, dalla politica interna a quella estera, passando per i temi economici fino ad arrivare a una vera e propria rivoluzione culturale. Non a caso Daniele Scalea, giovane e brillante intellettuale sovranista e animatore del Centro Studi Machiavelli, in un articolo intitolato “Una rivoluzione culturale sta per travolgerci” mette in guardia dal “condizionamento popolare tramite l’egemonia sulla cultura, l’educazione e l’informazione” compiuto dalla sinistra a livello globale e nazionale. Si tratta a tutti gli effetti di un nuovo Sessantotto che si concretizza sotto molteplici forme di cui la deriva iconoclasta è la più visibile ma non la più penetrante. La rivoluzione culturale tocca infatti ogni ambito della società con l’obiettivo di cancellare gli ultimi valori tradizionali che resistono nell’Occidente e in Europa.

Non è casuale la furia con cui si è scagliati contro le statue che, oltre a rappresentare un patrimonio artistico, sono un simbolo. I simboli, come ci insegnano pensatori del calibro di Mircea Eliade o René Guénon, hanno una valenza particolare e sono alla base non solo di ogni civiltà tradizionale ma anche della religione cristiana. L’iconografia costituisce un fondamento, oltre che per il cattolicesimo, anche per la nazione e contribuisce sia a formare sia a conservare l’identità di un popolo e, nel momento in cui si colpiscono i simboli, si compie un attacco anche a ciò che essi rappresentano. La simbologia non si limita a oggetti materiali ma anche a usanze, tradizioni, modi di vivere, alla letteratura, all’arte, all’istruzione e alla lingua. Tutti ambiti che finiscono nel mirino della rivoluzione culturale che non ammette contradditorio o opinioni discordanti poiché assume il carattere dogmatico tipico delle rivoluzioni di matrice postilluminista.

Prima che sia troppo tardi, è tempo di formulare un organico pensiero controrivoluzionario e moderno (inteso non nell’accezione reazionaria quanto conservatrice e perciò non chiuso all’innovazione, purché non intacchi i valori permanenti) che sappia cogliere le sfide della contemporaneità con il linguaggio e le modalità di comunicazione che la nostra epoca richiedono per contrastare chi vorrebbe cancellare la nostra storia e identità.