La Fifa volta le spalle alle donne iraniane
di Ruthie Blum 19 marzo 2018
Pezzo in lingua originale inglese: World Soccer Organization FIFA Turns Its Back on Iranian Women
Traduzioni di Angelita La Spada
Gianni Infantino è il secondo presidente della Fifa a visitare la Repubblica islamica, ma nessuno dei due “ha insistito sulla possibilità che le donne entrino negli stadi”. L’Iran è l’unico tra i paesi partecipanti ai mondiali di calcio a vietare alle donne l’ingresso negli stadi e ogni tentativo di assistere alle partite comporta per le tifose iraniane il rischio di essere arrestate.” – OpenStadiums, movimento di donne iraniane.
Infantino ha tanto il potere quanto il dovere di ritenere Teheran responsabile in questa arena reale e figurata. È scandaloso che non lo abbia fatto, preferendo piuttosto compiacere il presidente iraniano Hassan Rohani. Nonostante sia spacciato in Occidente come un “moderato”, Rohani è un elemento chiave del problema in Iran, e non una soluzione.
Infantino merita di essere rapidamente rimosso dal suo incarico.
Una settimana prima dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna, trentacinque donne e ragazze che indossavano abiti maschili sono state arrestate in Iran per aver tentato di entrare allo stadio [Azadi di Teheran] per assistere al derby tra Persepolis ed Esteghlal, che è la partita di calcio più importante dell’anno in Iran. Le donne, la più giovane delle quali aveva 13 anni, sono state prelevate con la forza e “trasferite in un luogo appropriato”.
Il divieto imposto alle donne iraniane di assistere alle manifestazioni sportive, fatta eccezione per gli eventi sportivi in cui le atlete siano donne e obbligate a osservare gli standard dell’abbigliamento islamico, è solo una delle numerose questioni alla base delle attuali proteste di massa scoppiate da un capo all’altro del paese contro il regime oppressivo e repressivo guidato dagli ayatollah, al potere da quasi quattro decenni. Nel corso degli anni, gli sport sono stati usati dagli attivisti anti-regime come un simbolo di libertà, e questo perché dopo la Rivoluzione islamica iraniana del 1979 – che spodestò lo Scià e inaugurò il regno dell’ayatollah Ruhollah Khomeini – l’ambito dello sport fu uno dei primi ad essere considerato dai mullah al governo come un’espressione pericolosa del secolarismo.
Il motivo per cui il derby di Teheran quest’anno ha rivestito particolare interesse – e non solo per gli appassionati di sport – era la presenza alla partita di Gianni Infantino, il massimo dirigente del calcio mondiale. Essendo Infantino il presidente della Fifa (Fédération Internationale de Football Association – la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche), il suo arrivo alla partita è stato visto dagli iraniani in cerca di libertà come una opportunità per costringere il loro governo a revocare il divieto imposto alle donne di partecipare come spettatrici alle manifestazioni sportive.
Invece di chiedere all’Iran di consentire alle donne di assistere alle partite di calcio negli stadi o di essere cacciato dalla Fifa per violazione del suo regolamento, Infantino non ha soltanto presenziato al derby tra Persepolis ed Esteghlal allo stadio Azadi da 100 mila posti, ma lo ha fatto in compagnia del presidente iraniano Hassan Rohani. Durante l’intervallo della partita, quando una giornalista ha cercato di fare una domanda a Infantino sul divieto imposto alle donne di assistere agli incontri di calcio, il presidente della Fifa è stato portato via e la diretta televisiva è stata interrotta.
Il giorno successivo, al suo ritorno al quartier generale della Fifa a Zurigo, Infantino ha detto ai giornalisti che Rohani gli aveva promesso che “presto le donne iraniane potranno entrare negli stadi per assistere alle partite di calcio”, ma che “nei paesi come l’Iran, per queste cose serve tempo”. Infantino ha spiegato così i motivi che lo hanno indotto a prendere sul serio le rassicurazioni di Rohani:
“Ci sono due modi per affrontare questo problema. O critichiamo, sanzioniamo, condanniamo, non dialoghiamo e interrompiamo le relazioni. Oppure ci rechiamo là, parliamo e cerchiamo di convincere i leader iraniani del fatto che dovrebbero consentire alle donne iraniane di entrare negli stadi. Io opto per la seconda ipotesi”.
Secondo OpenStadiums, un movimento di donne iraniane, Infantino è il secondo presidente della Fifa a visitare la Repubblica islamica, ma nessuno dei due “ha insistito sulla possibilità che le donne entrino negli stadi”.
“L’Iran è l’unico tra i paesi partecipanti ai mondiali di calcio a vietare alle donne l’ingresso negli stadi e ogni tentativo di assistere alle partite comporta per le tifose iraniane il rischio di essere arrestate. Perché qui si guarda al calcio come un crimine e le persone responsabili non fanno nulla?”
È davvero una bella domanda, considerando che sono in corso i preparativi per la Coppa del Mondo Fifa 2018 che si svolgerà in Russia, in cui la nazionale di calcio iraniana avrà un ruolo da protagonista. Infantino ha tanto il potere quanto il dovere di ritenere Teheran responsabile in questa arena reale e figurata. È scandaloso che non lo abbia fatto, preferendo piuttosto compiacere il presidente iraniano Hassan Rohani. Nonostante sia spacciato in Occidente come un “moderato”, Rohani è un elemento chiave del problema in Iran, e non una soluzione.
Le donne iraniane rischiano la vita togliendosi l’hijab in pubblico per protestare contro l’abuso islamista dei loro diritti umani. Vengono arrestate e imprigionate dal regime per il loro coraggio. Dovrebbero essere acclamate e aiutate da chiunque e con qualsiasi mezzo possibile. La Giornata internazionale della donna – che le Nazioni Unite definiscono come “un momento per riflettere sui progressi ottenuti, invitare al cambiamento e celebrare atti di coraggio e determinazione compiuti da tutte quelle donne comuni che hanno svolto un ruolo straordinario nella storia dei loro paesi e comunità” – ha offerto l’opportunità perfetta per la Fifa per assumere una posizione a favore delle donne iraniane. Ma Infantino ha preferito lasciare la palla all’avversario. Solo per questo, merita di essere rapidamente rimosso dal suo incarico.
Ruthie Blum è l’autrice di “To Hell in a Handbasket: Carter, Obama, and the ‘Arab Spring.'”