La fatwa per i non allineati

𝐋𝐚 𝐟𝐚𝐭𝐰𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐥𝐥𝐢𝐧𝐞𝐚𝐭𝐢
Chi non si definisce né di destra né di sinistra è di destra, anche se non vuole ammetterlo o non lo sa nemmeno lui.

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La fatwa per i non allineati

Chi non si definisce né di destra né di sinistra è di destra, anche se non vuole ammetterlo o non lo sa nemmeno lui. Chi non si schiera dalla parte corretta e non ripete quel che va detto vuol dire che è schierato dalla parte scorretta, con gli infami. Chi non si professa ad alta voce antifascista è fascista, chi non canta Bella Ciao canta di nascosto Giovinezza. Chi non vuole pronunciarsi in merito, in realtà si pronuncia, è dalla parte infame.
Di questi teoremini-fatwa ne abbiamo sentiti tanti in questi giorni, e non solo da parte di funzionari d’apparato della sinistra ma anche di intellettuali, gente di spettacolo, cantanti, in un arco che va da Gianrico Carofiglio a Pif. Ci sembra una frase come un’altra, magari discutibile, ma non ci facciamo poi tanto caso. E poi riguarda sempre gli altri, Laura Pausini, Eros Ramazzotti o altri, mica noi. Invece quell’aut aut col relativo verdetto è la formula magica dell’intolleranza che esisteva dai tempi del comunismo, e anche prima. E’ la prova del tampone democratico a cui prima o poi siamo chiamati tutti.
E’ la negazione della diversità di opinioni e sensibilità, la riduzione di tutto a uno schema binario, manicheo, il bene e il male, dentro o fuori, progressista o reazionario. E’ esclusa ogni altra opzione o preferenza, che viene anzi ridotta all’alternativa negativa.
Il suo primo elemento è la supponenza: tu non lo sai o non vuoi ammetterlo, invece io lo so e lo dico ad alta voce, io so meglio di te quello che tu sei. Io sono su un piano superiore rispetto a te, sto dalla parte giusta; io sono per diritto divino il giudicante e tu il giudicato, io sono il sapiente e il veritiero e tu sei l’ipocrita o l’insipiente.
Il secondo atto è la chiamata alle armi: è inutile che vuoi rilassarti, dichiararti estraneo, dire che la politica non deve entrare nel tuo mondo, non c’entra. Tu sei già dentro la politica, sei già dentro il campo di gioco, e se fingi neutralità o distrazione stai lavorando in favore del Male, sei suo complice, anche a tua insaputa. O prendi coscienza o prendi mazzate.
Il terzo atto, dopo il diniego e la conseguente gogna, con vituperio collettivo, all’unisono, tanti contro uno, è il pentimento del renitente, il suo tentativo di riparare scusandosi, precisando che è stato frainteso e ribadendo la sua sottomissione al credo a cui si era prima incautamente sottratto; pena l’emarginazione, il giudizio permanente di condanna, con pesanti ricadute pubbliche, professionali e sociali. E’ la pantomima del giorno dopo, a cui si sottopongono tutte le pausini di turno.
Su questo schema reggono i sistemi totalitari che, a differenza dei regimi autoritari non reprimono il dissenso ma costringono al consenso; non si accontentano che tu stia zitto o alla larga dalla politica, ma pretendono che tu ti mobiliti, marci e canti e stia dalla parte dell’Unica Verità di regime.
Ma su questa chiamata reggono anche i partiti totalitari in epoca di democrazia e di pluralismo: per decenni, il Partito Comunista anche da noi in Occidente ha retto su quel ricatto. Si fondò perfino un arco costituzionale, egemonizzato dal Pci, alle cui marce coatte, dichiarazioni congiunte, posizioni comuni non poteva sottrarsi nessuno, altrimenti finiva dalla parte dei nemici della costituzione.
Noi depositari della Verità e dello Spirito del Tempo solleviamo un problema, rivendichiamo un’appartenenza, additiamo un nemico, stabiliamo un perimetro e tu non puoi chiamarti fuori, parlare d’altro, o dire che non ti riconosci né con gli uni né con gli altri, perché se lo fai, o taci, sei già con “loro”, lavori per le forze oscure della reazione, sempre in agguato, sei con i “fascisti”.
Tramontato il comunismo è rimasta l’attitudine all’intolleranza e alla riduzione forzata, la forma mentis dell’inquisitore e dello zelante giacobino. Naturalmente ora siamo nella forma soft, in un regime light, ma il criterio è lo stesso. E’ una continua intimazione a pronunciarsi in un referendum permanente tra qualcosa che viene sancito come il giusto e qualcosa che viene condannato come la sua negazione. Il fascismo, l’aborto, Putin, l’Ungheria, le unioni gay, solo per citare alla rinfusa i temi più recenti di questa agenda a punti: o ti pronunci seccamente nel modo corretto o sei dalla parte del male. Senza appello. Non ci sono sfumature, risposte articolate, terze vie, piani diversi, e questioni più grandi in cui contestualizzarle: no, c’è un pronunciamento permanente, militante, secco; una continua prova attitudinale, un test plurale di ammissione, con possibilità di revoca della patente democratica, della carta di libera circolazione.
Non c’è via d’uscita? L’unica via d’uscita diretta, elementare, è sconfiggere questo perenne tribunale, contestarlo ampiamente quando formula i suoi quesiti, delegittimarlo come tribunale e poi batterlo in modo civile e democratico col voto e nelle sedi giuste.
Ma oltre la sconfitta sul campo e il ripudio esplicito e motivato dei loro aut aut, c’è anche un testacoda da considerare, un effetto collaterale, un caso da manuale di eterogenesi dei fini: quando ti trinceri dietro questa supponente spocchia intimidatoria e sancisci che chi non si allinea al tuo modo di pensare è col nemico, finisci col regalare al nemico una vasta prateria. Se chiunque dica “non sono di destra né di sinistra” in realtà è di destra, lo spingi in quella direzione, lo convinci che lui realmente è di destra, in ogni caso allarghi il campo avverso; in tanti finiscono con l’accettarsi di destra o perlomeno dovendo scegliere, preferiscono quelli che non ti impongono nulla e non ti condannano. Mi auguro che accada esattamente questo, se lo meritano davvero; non so quelli di destra ma certo quelli di sinistra.

(La Verità, 18 settembre 2022)