La Corte di Giustizia dell’Unione Europea applica due pesi e due misure verso i prodotti israeliani
di Soeren Kern 21 novembre 2019
Pezzo in lingua originale inglese: European Court Applies Double Standard against Israeli Products
Traduzioni di Angelita La Spada
La sentenza della Corte di Giustizia, che favorisce di fatto i rigidi criteri di etichettatura francesi da applicare in tutto l’Unione Europea, è stata fermamente condannata perché espressione del pregiudizio anti-israeliano da parte dell’Unione Europea. Molti commentatori hanno osservato che fra tutti i numerosi conflitti territoriali nel mondo – dalla Crimea a Cipro del Nord, dal Tibet al Sahara occidentale – l’UE ha discriminato Israele come unico Paese soggetto a speciali criteri in materia di etichettatura.
“In tutto il mondo, ci sono più di 200 dispute territoriali in corso, eppure la Corte di Giustizia europea non ha emesso un’unica sentenza relativa all’etichettatura dei prodotti provenienti da questi territori. La sentenza odierna è tanto politica quanto discriminante nei confronti di Israele.” –Ministero degli Esteri israeliano.
“Va anche contro gli standard internazionali del commercio stabiliti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. (…) Questo è il peggior modo di armeggiare, mentre Roma brucia. La Corte europea che cita Israele per la ‘violazione delle norme di diritto umanitario internazionale’, mentre Hamas e i suoi accoliti bombardano civili innocenti in Israele, è uno dei più perversi paradossi di cui sono testimone da un po’ di tempo”. – Menachem Margolin, Associazione ebraica europea, con sede a Bruxelles.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i prodotti alimentari provenienti dagli insediamenti ebraici a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nelle alture del Golan devono essere specificatamente etichettati con l’indicazione del loro territorio d’origine e non possono recare la dicitura generica “Made in Israel”. La sentenza ha origine in una causa intentata dall’azienda vinicola Psagot Winery (nella foto), con vigneti in uno dei cosiddetti territori palestinesi occupati, e dall’Organizzazione ebraica europea. (Fonte dell’immagine: iStock)
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il tribunale supremo dell’UE, ha stabilito che i prodotti alimentari provenienti dai cosiddetti insediamenti ebraici a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nelle alture del Golan devono essere specificatamente etichettati con l’indicazione del loro territorio d’origine e non possono recare la dicitura generica “Made in Israel”.
La sentenza, che concentra l’attenzione su Israele, è stata presumibilmente motivata non dalle preoccupazioni in merito alla sicurezza alimentare o alla tutela dei consumatori, ma dalla preferenza di una politica estera anti-israeliana da parte dell’Unione Europea. La decisione è stata duramente criticata come faziosa, discriminatoria e antisemita.
La questione dell’etichettatura ha origine in problemi riguardanti l’interpretazione del Regolamento EU n. 1169/2011, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il regolamento era ambiguo sulla questione dell’etichettatura dei prodotti alimentari provenienti da Israele.
Il 12 novembre 2015, la Commissione europea, nel tentativo di rendere più chiara la normativa UE in vigore sulla fornitura di informazioni sull’origine dei prodotti provenienti dai territori occupati da Israele, adottò una cosiddetta Comunicazione interpretativa. Questa direttiva precisava che gli alimenti venduti nell’UE non potevano riportare l’etichetta “Made in Israel”, se prodotti al di fuori dei confini di Israele antecedenti al 1967. Il documento spiega:
“L’Unione Europea, in linea con il diritto internazionale, non riconosce la sovranità di Israele sui territori occupati dal giugno del 1967, ossia alture del Golan, Striscia di Gaza e Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, che non considera parte del territorio di Israele, indipendentemente dal loro status giuridico nell’ordinamento israeliano”.
Il 24 novembre 2016, il Ministero francese dell’Economia e delle Finanze pubblicò un cosiddetto Avviso ministeriale (JORF No. 0273, Text No. 81) che delineava l’interpretazione da parte del governo francese della legislazione dell’UE in materia di etichettatura dei prodotti israeliani. I criteri francesi, ancor più rigorosi di quelli dell’Unione Europea, stabiliscono che:
“Per i prodotti della Cisgiordania o delle alture del Golan originari degli insediamenti, sarebbe inaccettabile un’indicazione che recitasse solo ‘prodotto delle alture del Golan’ o ‘prodotto della Cisgiordania’. Anche se tali indicazioni designassero la zona o il territorio più ampi di origine del prodotto, l’omissione delle informazioni geografiche aggiuntive relative alla provenienza del prodotto dagli insediamenti israeliani sarebbe ingannevole per il consumatore sotto il profilo dell’origine reale del prodotto. In tali casi occorre aggiungere, ad esempio, l’espressione ‘insediamento israeliano’ [colonies israéliennes] o altra espressione equivalente tra parentesi. Potrebbero di conseguenza essere impiegate espressioni come ‘prodotto delle alture del Golan (insediamento israeliano)’ o ‘prodotto della Cisgiordania (insediamento israeliano)'”.
Nel gennaio del 2017, Psagot Winery Ltd., un’azienda vinicola israeliana, con vigneti in uno dei cosiddetti territori palestinesi occupati, e un gruppo franco-ebraico chiamato Organizzazione ebraica europea, intentarono una causa in cui chiedevano al Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Francia, di annullare l’Avviso ministeriale perché i criteri francesi equivalevano a promuovere un boicottaggio economico di Israele.
Il 30 maggio 2018, il Consiglio di Stato dichiarò di non essere in grado di pronunciarsi sul caso e lo deferì alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per un parere.
Il 12 novembre 2019, la Corte di Giustizia con sede in Lussemburgo si è espressa in favore del governo francese:
“Gli alimenti originari di territori occupati dallo Stato di Israele devono recare l’indicazione del loro territorio di origine, accompagnata, nel caso in cui provengano da una località o da un insieme di località che costituiscono un insediamento israeliano all’interno del suddetto territorio, dall’indicazione di tale provenienza.
“L’omissione di una simile indicazione potrebbe indurre in errore i consumatori, facendo pensare loro che tale alimento abbia un paese di origine o un luogo di provenienza diverso dal suo paese di origine o dal suo luogo di provenienza reale.
“Il fatto di apporre su alcuni alimenti l’indicazione secondo cui lo Stato di Israele è il loro ‘paese d’origine’, mentre tali alimenti sono in realtà originari di territori che dispongono ciascuno di uno statuto internazionale proprio e distinto da quello di tale Stato, che sono occupati da quest’ultimo e soggetti a una sua giurisdizione limitata, in quanto potenza occupante ai sensi del diritto internazionale umanitario, sarebbe tale da trarre in inganno i consumatori.
“L’indicazione del territorio di origine degli alimenti in questione è obbligatoria (…), al fine di evitare che i consumatori possano essere indotti in errore in merito al fatto che lo Stato di Israele è presente nei territori di cui trattasi in quanto potenza occupante e non in quanto entità sovrana.
“L’omissione di tale indicazione, che implica che sia indicato solo il territorio di origine, può indurre in errore i consumatori. Questi ultimi infatti, in mancanza di qualsiasi informazione in grado di fornire loro delucidazioni al riguardo, non possono sapere che un alimento proviene da una località o da un insieme di località che costituiscono un insediamento ubicato in uno dei suddetti territori in violazione delle norme di diritto internazionale umanitario.
“Le informazioni fornite ai consumatori devono consentire loro di effettuare scelte consapevoli nonché rispettose non solo di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali o sociali, ma anche di considerazioni di ordine etico o attinenti al rispetto del diritto internazionale.
“Al riguardo, la Corte ha sottolineato che simili considerazioni potevano influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori”.
La Corte di Giustizia dell’UE, che favorisce di fatto i rigidi criteri di etichettatura francesi da applicare in tutto l’Unione Europea, è stata fermamente condannata perché espressione del pregiudizio anti-israeliano da parte dell’Unione Europea. Molti commentatori hanno osservato che fra tutti i numerosi conflitti territoriali nel mondo – dalla Crimea a Cipro del Nord, dal Tibet al Sahara occidentale – l’UE ha discriminato Israele come unico Paese soggetto a speciali criteri in materia di etichettatura.
Il Ministero degli Affari esteri israeliano ha dichiarato che la sentenza è “inaccettabile dal punto di vista morale e di principio”. E ha poi aggiunto:
“Israele respinge la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che funge da strumento nella campagna politica contro Israele. L’obiettivo della sentenza è quello di evidenziare e applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele. In tutto il mondo, ci sono più di 200 dispute territoriali in corso, eppure la Corte di Giustizia europea non ha emesso un’unica sentenza relativa all’etichettatura dei prodotti provenienti da questi territori. La sentenza odierna è tanto politica quanto discriminante nei confronti di Israele.
“Questa sentenza non solo diminuisce le possibilità di raggiungere la pace e contraddice le posizioni dell’Unione Europea sul conflitto. Fa il gioco dell’Autorità Palestinese, che continua a rifiutare di avviare negoziati diretti con Israele e incoraggia i gruppi radicali anti-Israele che promuovono e invocano i boicottaggi contro Israele e negano il suo diritto di esistere”.
L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, ha affermato che la decisione riflette il clima antisemita dilagante oggi in Europa:
“Questo è un altro esempio di un’Europa che continua ad arrendersi ai nemici di Israele. La discriminazione dell’UE contro l’impresa sionista fornirà una copertura legale all’antisemitismo. La decisione della Corte diffonderà questa vecchia intolleranza in tutto il continente, offrendo ulteriore carburante alle forze che cercano di minare e danneggiare lo Stato ebraico. Oggi, segna una macchia scura nell’operato dell’Europa che non potrà essere eliminata”.
Il Lawfare Project con sede a New York, che finanzia azioni legali per contrastare l’antisemitismo, ha dichiarato che la normativa dell’UE ammette la discriminazione nei confronti degli ebrei israeliani e consente di utilizzare le etichette dei prodotti per scopi politici:
“La decisione della Corte è discriminatoria: i beni prodotti da ebrei e musulmani nella stessa area avranno etichette differenti a causa delle decisioni politiche prese dai funzionari europei. Permettere che un elemento etnico e religioso contraddistingua l’etichettatura dei prodotti è un precedente pericoloso. A dire il vero, la decisione è del tutto inapplicabile in aree come il Golan, in cui non vi sono ‘insediamenti’ definiti e la conformità richiederebbe una sorta di censimento dell’etnia, della nazionalità e/o della religione dei produttori per stabilire come i prodotti debbano essere etichettati. La mancanza di logica della sentenza è ulteriormente evidenziata dal fatto che i musulmani palestinesi – quegli stessi che secondo la Corte sono gli abitanti legali delle aree sotto il controllo di Israele, e che lì lavorano – saranno essi stessi soggetti all’offensiva etichettatura. E se Israele è la patria storica del popolo ebraico, la Corte cerca di definire stranieri gli ebrei a casa loro. L’affermazione della Corte che anche la più precisa localizzazione geografica o l’indirizzo del produttore sono inadeguati, e che l’etnia e/o la nazionalità dei produttori stessi sono un fattore necessario per l’etichettatura, è un’indicazione ben definita del fatto che l’intenzione è quella di incoraggiare la discriminazione”.
Secondo il direttore esecutivo di Lawfare Project, Brooke Goldstein, “la decisione di codificare la discriminazione religiosa in legge è imbarazzante per l’Europa”. E la Goldstein ha inoltre aggiunto:
“Non esiste una ragione legittima per cui i beni prodotti da musulmani ed ebrei nello stesso luogo geografico siano etichettati in modo diverso. In effetti, trattare le persone in modo differente a causa della loro religione è segno di intolleranza e noi sappiamo cosa accade quando l’Europa segue questa strada. I musulmani che vivono sotto l’Autorità Palestinese sono ‘coloni’ tanto quanto gli ebrei: entrambi sono legalmente autorizzati a vivere lì, ai sensi dello stesso trattato, gli accordi di Oslo”.
Il consulente legale capo di Lawfare Project, François-Henri Briard, ha affermato che la decisione della Corte asseconda i “pregiudizi politici”. E ha quindi aggiunto:
“Se tale etichettatura viene applicata ai prodotti israeliani, di certo dovrà essere applicata anche a decine di Paesi nel mondo e questo potrebbe essere considerato come una violazione del diritto internazionale”.
Il consulente legale dell’azienda vinicola Psagot Winery, Gabriel Groisman, ha dichiarato:
“Se ci si dà molto da fare per discriminare e boicottare Israele, coloro che vengono colpiti dai boicottaggi devono continuare a difendere i loro diritti nelle aule dei tribunali in ogni angolo del mondo. Nonostante la sentenza sfavorevole di questa Corte, state certi che Psagot non smetterà di lottare affinché i suoi diritti godano di un trattamento in modo equo e corretto ai sensi della legge”.
Il Dipartimento di Stato statunitense ha affermato che il criterio dell’etichettatura è “indicativo di pregiudizi anti-israeliani” e ha poi aggiunto:
“Questo criterio serve solo a incoraggiare, agevolare e promuovere boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni (BDS) contro Israele. Gli Stati Uniti si oppongono inequivocabilmente a qualsiasi tentativo di impegnarsi nel BDS o di esercitare pressioni sul piano economico, di isolare o di delegittimare Israele. La strada che conduce alla soluzione del conflitto israelo-palestinese passa attraverso i negoziati diretti. L’America sta dalla parte di Israele contro i tentativi di esercitare su di esso pressioni economiche, di isolarlo o di delegittimarlo”.
Eugene Kontorovich, docente della George Mason University Antonin Scalia Law School e direttore del Kohelet Policy Forum, con sede a Gerusalemme, ha dichiarato che la Corte di Giustizia dell’UE sta “apponendo un nuovo tipo di stella gialla sui prodotti ebraici”. E ha inoltre aggiunto:
“Ora i prodotti ebraici sono gli unici a dover recare etichette speciali in base alla loro origine. Questa palese discriminazione rende più urgente che mai la necessità di opporsi a Bruxelles da parte dell’amministrazione Trump rendendo ufficiale quella che è stata a lungo la prassi statunitense, e non permettere che tali prodotti rechino l’etichetta ‘Made in Israel’.
“La sentenza mostra anche che non riguarda i palestinesi, ma gli ebrei. Perché sulle alture del Golan, dove non ci sono palestinesi e non si parla di Stato palestinese, gli europei hanno imposto la stessa norma. E sappiamo che non riguarda l’occupazione, perché non si applica questa norma in nessun territorio occupato in qualsiasi parte del mondo o in qualsiasi luogo”.
Il presidente dell’Associazione ebraica europea, con sede a Bruxelles, Menachem Margolin, lo riassume così:
“L’intera base della politica di etichettatura è puramente discriminatoria nei confronti dell’unico Stato ebraico al mondo. Esiste un altro Paese al mondo con un territorio conteso soggetto a una politica così palesemente unilaterale? La risposta è no. Va anche contro gli standard internazionali stabiliti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.
“Ciò che è particolarmente irritante è il messaggio inviato oggi alla popolazione israeliana.
“Mentre i negozi, le scuole e le imprese sono costretti a chiudere a causa del massiccio lancio di razzi da Gaza, mentre gli israeliani si mettono al riparo e le città e i villaggi vicini al confine si preparano psicologicamente al peggio, l’UE invia loro un segnale non di sostegno o di solidarietà, ma di un’etichettatura penalizzante e inutile.
Questo è il peggior modo di armeggiare, mentre Roma brucia. La Corte europea che cita Israele per la ‘violazione delle norme di diritto umanitario internazionale’, mentre Hamas e i suoi accoliti bombardano civili innocenti in Israele, è uno dei più perversi paradossi di cui sono testimone da un po’ di tempo”.
Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.