La controra, regina della calura

𝗟𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝗿𝗮, 𝗿𝗲𝗴𝗶𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗮𝗹𝘂𝗿𝗮
La scatola nera dell’estate meridionale che riannoda il presente al passato è in una parola-chiave che sentivo sussurrare dopo pranzo quando ero bambino: la controra.

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La controra, regina della calura

La scatola nera dell’estate meridionale che riannoda il presente al passato è in una parola-chiave che sentivo sussurrare dopo pranzo quando ero bambino: la controra. L’ora dolce e proibita che dura una vita ma è solo un pomeriggio. Controra vuol dire ora contraria ad agire e a lavorare. L’ora che scioglie il legame col tempo. La controra è la porta d’accesso ai misteri del sud. È nella controra il tabernacolo arcaico di una mentalità che si è fatta paesaggio, un tempo morto che si è fatto luogo; è il trionfo dell’andamento lento, anzi della vita immobile, fuori da ogni tecnica e da ogni profitto. Puro spreco e pura inazione. Come le processioni del sud, dove si fa un passo avanti e uno indietro e mai si procede.

La controra abita un antico presente, a cui dedicai un capitolo in Ritorno a sud; alla controra si vegeta nel cazzeggiare pallido e assorto sotto un rovente muro d’orto o nello svaccare tra le panchine in ombra della villa comunale. La controra è lo splendore del sud e anche il suo vizio peggiore. La vita si ferma nel cuore della giornata per tre ore e più. La chiassosa esuberanza della mattina e della sera, tra rumori, clacson loquaci, vociare incessante e gesticolazione teatrale, si ritrae per quel lungo sipario di ozio e silenzio. I gesti si fanno più lenti e degli occhi in penombra non colpiscono più le pupille, ma il biancore delle cornee. In quelle ore c’è il Niente Radioso, la resa dorata al caldo, alla digestione, alla stasi antica del sud. La siesta è la variante spagnola, aggravata dalla pigrizia dei messicani. La controra è più implacabile di un’ordinanza sindacale: i negozi aprono quando al nord si accingono a chiudere. Quanta vita si dissipa nella controra, lunghe ore sprecate nel nulla a cercare solo un riparo d’ombra, un leggero refolo di vento, un ventaglio o più perdutamente un letto in cui affondare nel sonno, o su cui esercitare una sudata sessualità. Anche Eros alla controra si fa lento, sussurrante; ondeggia e sussulta tra umidi corpi.

Infiniti pomeriggi di sole, arsure di luce, distesi a seguire gli arabeschi dell’ozio guarniti di musica. Gruppi di ragazzi accampati sulle scalinate di una chiesa; o intenti all’antico gioco della cinque lire al muro. O scemare nelle sale da bigliardo oppure dotarsi di pelose e lupini, fave arrostite e semenze (i pop corn dell’antichità provinciale) per sprofondare nelle sedie legnose del cinema in un dormiveglia e dormimangia collettivo, tra sbadigli cantati, digestioni in sonoro e russate stereofoniche.

Alla controra non si può essere bruschi, veloci, intraprendenti, è violazione di quiete pubblica anzi di stasi comunitaria; non si può telefonare né bussare a nessuno, è profanazione di riposo. Ma chi è, alla controra…I più attivi alla fontana lavano l’auto o la moto, succedanei del mulo e del cavallo, con la spugna e il secchio; o nella campagna del nonno tastano frutti ma senza coglierli. Niente attività produttive, solo estetiche, rituali, ornamentali. Alla controra si recupera l’insonnia accaldata della notte, le cene sfinite nelle ore piccole, le difficili digestioni, i meloni d’acqua e di pane che galleggiano in pancia e inducono sonnolenza. C’è chi trascorre lunghe ore tumulato nel cesso, seduto sulla tazza come un trono di ozio a indugiare nel vuoto, coltivare prolisse stitichezze, occhieggiare riviste, masturbarsi; oppure guardarsi allo specchio e curare i dettagli del corpo, i capelli, le unghie, i punti neri e la peluria. Beatitudini del dettaglio.

Il sud si divide in figli dell’ora e figli della controra: figli del proprio tempo e figli del proprio luogo, seguaci del nec-otium o dell’otium. Ai figli dell’ora si deve il progresso, l’evoluzione del sud ma anche la fuga, l’emigrazione; ai figli della controra si deve l’incanto del sud ma anche il disincantato sguardo all’illusione del divenire. Certo, il tempo passa anche al sud e si conforma ai suoi canoni. Ma nella calma della controra riaffiora sorniona l’anima antica del sud. Le case linde e le strade divise da una tenda gonfiata dal vento. C’è chi torna al mare; “non si fa il bagno alla controra”, ripete la nonna ma è oracolo inascoltato. Le donne massicce della controra chiamate facaldone, soffrono il caldo ed emanano calore già solo a guardarle. Poi venne l’aria condizionata…

La controra è finita quando i balconi si aprono e accaldate signore si siedono nell’ombra sopraggiunta coi loro ventagli, le loro gambone, le loro granite, spumoni, spongate o orseggiando il latte di mandorla; eterni gruppi di sedie si rianimano fuori dai circoli, dai bar e dalle botteghe. Stordite presenze, appena scampate alla controra, di cui serbano ancora i segni. Sempre gli stessi, raccontano le stesse cose; i logorroici raccontano e i convitati di pietra ascoltano muti e assorti, sempre nella stessa posa. Ci sono sagome al sud di cui si conoscono solo due o tre parole in una vita intera o un paio di intercalari ripetuti all’infinito. Ci sono ineffabili password per accedere al branco: soprannomi, modi di dire locali, accenni topici, gesti rituali. Tra i ragazzi, ad esempio, segno di comunicazione simbolica e generazionale è grattarsi il pacco, blasone di virilità e gesto di complice caccia, mentre si parla di tutto e passa una procace minenna.

Con la fine della controra si riaprono i negozi e comincia l’interminabile spesa, poi verrà pacchiana la sera, tra luci sparate nel cielo, rumori di strada, chiasso e discoteche. Meglio la stasi divina della controra che la movida buzzurra della notte.

MV, Panorama (n.35)