La Cina e le università occidentali

La Cina compra il favore delle università occidentali

di Giulio Meotti 18 marzo 2021

Pezzo in lingua originale inglese: China Buys Western Academics
Traduzioni di Angelita La Spada

“La conferenza inaugurale ha assicurato [a tutti] che il Tibet non è mai stato annesso [e] che l’intervento cinese del 1950 era stato richiesto dai tibetani”, ha osservato Nicolas Nord, professore di diritto.

Il neo-nominato capo della CIA, William J. Burns, ha dichiarato che se fosse dipeso da lui avrebbe chiuso gli Istituti Confucio nelle università occidentali.

Diciassette scuole del Regno Unito sono già di proprietà di aziende cinesi e quel numero è destinato ad aumentare. Inoltre, il Times ha rivelato che l’Università di Cambridge ha ricevuto un “regalo generoso” da parte della Tencent Holdings, una delle più grandi aziende tecnologiche cinesi coinvolta nella censura di Stato.

Oggi, sappiamo molte cose sulla crudeltà della Cina, e anche sui massacri del virus di Wuhan che il Partito Comunista cinese ha imposto al mondo (…) causando la morte di più di 2,5 milioni di persone.

Sappiamo anche quante persone sono rinchiuse nei laogai, le “prigioni amministrative” cinesi (circa 50 milioni)…

“I luoghi abitati da minoranze etniche, come lo Xinjiang e il Tibet, si contraddistinguono come fulgidi esempi dei progressi compiuti dalla Cina nell’ambito dei diritti umani”, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi poche ore prima di partecipare [in collegamento video all’incontro del] (…) Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Probabilmente, nemmeno l’Unione Sovietica avrebbe potuto pensarlo.

 

This photo taken on June 2, 2019 shows buildings at the Artux City Vocational Skills Education Training Service Center, believed to be a re-education camp where mostly Muslim ethnic minorities are detained, north of Kashgar in China's northwestern Xinjiang region. - As many as one million ethnic Uighurs and other mostly Muslim minorities are believed to be held in a network of internment camps in Xinjiang, but China has not given any figures and describes the facilities as Òvocational education centresÓ aimed at steering people away from extremism. (Photo by GREG BAKER / AFP) / TO GO WITH China-Xinjiang-media-rights-press,FOCUS by Eva XIAO        (Photo credit should read GREG BAKER/AFP via Getty Images)
 Gulbahar Haitiwaji, una sopravvissuta ai “campi di rieducazione” nello Xinjiang, ha di recente rivelato ciò che accade lì. “È vietato parlare uiguro; è vietato pregare; è vietato fare lo sciopero della fame…”. Ha dovuto defecare in un secchio di plastica davanti agli altri. È stata incatenata al suo letto per 20 giorni. Nella foto: “Il centro di istruzione di formazione professionale di Artux City”, un campo di rieducazione dove sono detenute per lo più minoranze etniche musulmane, a nord di Kashgar, nello Xinjiang. (Foto di Greg Baker/AFP via Getty Images)

Il settimanale francese Le Point ha appena pubblicato una sconcertante indagine su come Pechino sta comprando il favore delle università occidentali. Ad esempio, Fabio Massimo Parenti, professore associato presso l’Istituto Internazionale “Lorenzo de’ Medici” di Firenze, è stato ospitato nello Xinjiang, dove si stima che fino a due milioni di uiguri siano rinchiusi nei “campi di rieducazione”. Inoltre, molte scuole britanniche sono ora finite sotto il radar cinese dell’influenza e della propaganda. Nigel Farage, leader del Reform Party britannico, di recente ha twittato che “i miliardari cinesi direttamente correlati al Partito Comunista cinese stanno acquistando le scuole britanniche e inondando i programmi di studi con la loro propaganda” e ha elencato i nomi di alcuni di tali istituti del Regno Unito “sotto il controllo cinese”:

“Abbots Bromley School
Bournemouth Collegiate
St Michael’s School
Bosworth College
Bedstone College
Ipswich High School
Kingsley School
Heathfield Knoll School
Thetford Grammar
Wisbech Grammar
Riddlesworth Hall
Myddelton College
CATS Colleges”

A partire dal settembre 2019, a Urumqui, capitale della regione uigura dello Xinjiang, nella parte occidentale della Cina, Christian Mestre, rettore onorario del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Strasburgo, ha partecipato a un “seminario internazionale sulla lotta al terrorismo, sulla deradicalizzazione e sulla tutela dei diritti umani”. Il seminario è stato organizzato dalla Repubblica Popolare Cinese. Le dichiarazioni di Mestre sono state trascritte dai media statali, dall’agenzia di stampa Xinhua e dal quotidiano nazionalista Global Times.

“Spero che la Francia e altri Paesi europei possano adottare le soluzioni fornite dallo Xinjiang”, ha dichiarato Mestre mentre visitava uno dei “centri di istruzione e di formazione professionale”, il nome dato da Pechino ai propri campi di rieducazione. “Queste persone non sono in carcere”, ha attestato il docente “ma vengono inviate alla formazione obbligatoria”. Non c’è niente da vedere qui, come si suol dire.

Questo è stato l’inizio di una sorprendente indagine condotta dal settimanale francese Le Point su come la Cina abbia comprato il favore di molti accademici occidentali. “È degno dei viaggi di Aragon in Unione Sovietica o dei collaboratori nella Germania nazista”, ha affermato Marie Bizais-Lillig, una collega di Mestre. Il riferimento a Louis Aragon, lo scrittore francese che visitò l’Unione Sovietica sotto Stalin e tornò convinto dell’autenticità del sistema comunista, per poi dedicarsi alla sua difesa.

Gulbahar Haitiwaji, una sopravvissuta ai campi di rieducazione cinesi nello Xinjiang, ha di recente rivelato ciò che accade lì. Vive in Francia da dieci anni. Il marito e le figlie hanno ottenuto lo status di rifugiati politici, ma lei ha preferito mantenere il passaporto cinese per visitare l’anziana madre. Nel novembre 2016, la donna acquistò un biglietto per la Cina dove venne rapidamente deportata in un campo di rieducazione per il suo popolo, gli uiguri. È stata detenuta due anni prima di essere rilasciata su pressione della Francia. All’inizio di quest’anno ha pubblicato una testimonianza agghiacciante messa nero su bianco nel libro “Rescapée du goulag chinois”.

È la prima uigura ad essere stata rilasciata e rimpatriata in Francia. “Xi Jinping”, sintetizza Gulbahar, “vuole lo Xinjiang senza gli uiguri”.

È stata trasferita da un centro di detenzione a un altro. Prima nel centro di custodia cautelare, con le regole appese al muro: “È vietato parlare uiguro; è vietato pregare; è vietato fare lo sciopero della fame…”. Ha dovuto defecare in un secchio di plastica davanti agli altri.

Nel 2017, è stata incatenata al suo letto per 20 giorni. Trasferita in uno di quei nuovi “centri di istruzione e di formazione professionale”, il nome dato dal regime ai suoi gulag. Il campo di Baijintan, tre edifici “grandi come piccoli aeroporti” ai margini del deserto, è circondato da palizzate ricoperte di filo spinato. I prigionieri non vedono più la luce del giorno, solo al neon. Le telecamere seguono ogni movimento dei detenuti.

“Grazie al nostro grande Paese. Grazie al nostro caro presidente Xi Jinping”, devono ripetere i detenuti dall’alba al tramonto.

Dopo che i detenuti assumono nuovi nomi (Gulbahar è diventata il “Numero 9”), i loro indumenti e i capelli vengono rimossi e rasati. La rieducazione cinese inizia quindi a prendere piede nelle loro menti. Una guardia del campo mostra al gruppo di reclusi un muro. “Di che colore è?” chiede loro. “Bianco”, rispondono. “No, è nero. Sono io che decido di che colore è”.

Poi, arrivano delle strane “vaccinazioni”. “Le donne non hanno più le mestruazioni. Una volta tornata in Francia, ho sentito parlare davvero dell’esistenza della sterilizzazione…”.

In Francia, negli ultimi quindici anni sono stati aperti 18 Istituti Confucio, apparentemente per insegnare il cinese e promuovere la cultura cinese. In Europa, nel 2019, il Belgio ha espulso il direttore del Confucio all’Université Libre di Bruxelles, dopo che i servizi di sicurezza lo avevano accusato di spionaggio a favore di Pechino.

Un esperto di Tibet, Françoise Robin, de l’Institut National des Langues et Civilisations Orientales (INALCO), definisce questi istituti “armi di propaganda”. Nel 2016, l’INALCO invitò il Dalai Lama a una conferenza. “Abbiamo ricevuto lettere ufficiali da parte dell’ambasciata cinese che ci chiedevano di non riceverlo”, ha affermato Robin.

Nel settembre 2014, il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Strasburgo di cui è rettore onorario Christian Mestre ospitò una serie di eventi sul Tibet, con conferenze, mostre, esibizioni di danza e concerti organizzati “su richiesta del Consolato generale della Cina a Strasburgo”, secondo quanto scritto in una e-mail del rettore. “La conferenza inaugurale ha assicurato [a tutti] che il Tibet non è mai stato annesso [e] che l’intervento cinese del 1950 era stato richiesto dai tibetani”, ha osservato Nicolas Nord, professore di diritto.

The Economist ha di recente indicato ciò che il regime cinese sta realmente facendo in Tibet: sradicare l’influenza del Buddismo dalla mente della popolazione.

Questo potrebbe essere il motivo per cui il neo-nominato capo della CIA, William J. Burns, ha dichiarato che se fosse dipeso da lui avrebbe chiuso gli Istituti Confucio nelle università occidentali. Anche in Gran Bretagna sono preoccupati, e si direbbe, a giusto titolo. Secondo il Daily Mail, centinaia di scuole indipendenti che sono incorse in gravi difficoltà finanziarie a causa della pandemia causata dal virus di Wuhan sono state da allora prese di mira dagli investitori cinesi. La Cina sta cercando di espandere la propria influenza nel sistema didattico britannico, come fa negli Stati Uniti. Diciassette scuole del Regno Unito sono già di proprietà di aziende cinesi e quel numero è destinato ad aumentare. Inoltre, il Times ha rivelato che l’Università di Cambridge ha ricevuto un “regalo generoso” da parte della Tencent Holdings, una delle più grandi aziende tecnologiche cinesi coinvolta nella censura di Stato.

Si torna con la mente alla rete di spionaggio britannica dei “Cinque di Cambridge” – Anthony Blunt, Donald Maclean, Kim Philby, Guy Burgess e John Cairncross – al servizio dell’Unione Sovietica e anch’essa aveva sede nell’università inglese. Kim Philby, che morì in esilio in Unione Sovietica, mai si pentì di aver tradito il Regno Unito: “È stato solo alla fine del mio soggiorno a Cambridge che ho preso la decisione definitiva di dedicare la mia vita al comunismo”.

A quel tempo, molti in Occidente avrebbero potuto affermare onestamente di non sapere quante persone siano state uccise o incarcerate dal regime sovietico. Oggi, sappiamo molte cose sulla crudeltà della Cina, e anche sui massacri del virus di Wuhan che il Partito Comunista cinese ha imposto al mondo, prima mentendo in merito al fatto che il virus non fosse trasmissibile da persona a persona, per poi interrompere i voli interni da Wuhan, ma non quelli internazionali. Di conseguenza, ogni Paese del mondo è stato infettato, causando la morte di più di 2,5 milioni di persone.

Sappiamo anche quante persone sono rinchiuse nei laogai, le “prigioni amministrative” cinesi (circa 50 milioni). Siamo a conoscenza del numero di bambine cinesi alle quali il regime cinese ha impedito di nascere quando era in vigore la “politica del figlio unico” (circa 30 milioni). Siamo al corrente del numero di persone uccise in piazza Tienanmen (circa 10 mila), l’ultima volta che il regime è stato apertamente sfidato dai propri cittadini.

“I luoghi abitati da minoranze etniche, come lo Xinjiang e il Tibet, si contraddistinguono come fulgidi esempi dei progressi compiuti dalla Cina nell’ambito dei diritti umani”, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi poche ore prima di partecipare [in collegamento video all’incontro del] (…) Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Probabilmente, nemmeno l’Unione Sovietica avrebbe potuto pensarlo.

Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.