𝐋𝐚 𝐛𝐚𝐧𝐝𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐬𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚
Quando a Natale di trent’anni fa vedemmo ammainare la bandiera rossa sul Cremlino, pensammo che fosse finito il comunismo.
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La bandiera del comunismo sventola ancora
Quando a Natale di trent’anni fa vedemmo ammainare la bandiera rossa sul Cremlino, pensammo che fosse finito il comunismo. Le convulsioni dei due anni precedenti, la caduta del Muro di Berlino, il rapido sfaldarsi dei regimi sovietici, impressero la convinzione che il crollo ormai era imminente e irreversibile. Ma quando vedemmo la bandiera comunista sovietica ammainarsi nel suo luogo capitale allora avemmo la conferma visiva di quel che stava accadendo. La potenza dei simboli figura, sintetizza ed esprime più di un evento storico grandioso, il passaggio d’epoca, la nascita e la fine dei mondi.
E invece ci sbagliavamo, ci sbagliammo. Oggi, a trent’anni di distanza, possiamo dire che quella bandiera ammainata segnava la fine dell’Urss, l’impero sovietico, con tutte le nazioni aggregate e sottomesse, ma non sanciva la fine del comunismo. Perché a ragion veduta possiamo dire che il comunismo è ancora vivo e potente, più minaccioso di allora. In Unione Sovietica già da diversi anni aveva perso ogni spinta propulsiva, e si era irrigidito in un sistema chiuso, gerontocratico prima che gerarchico; definirlo conservatore è un’ingiusta offesa ai conservatori, perché in realtà l’Urss col suo Politburo era un cadavere imbalsamato come il corpo di Lenin nel mausoleo a lui dedicato. Da Breznev a Cernenko si era mummificato, e la riforma di Gorbaciov mirò a rivitalizzarlo all’interno ma i cadaveri non riprendono vita; sicché rese esplicita la morte del regime sovietico. Che poi Eltsin sancì in un passaggio breve fra l’Unione Sovietica e il ritorno alla Santa Madre Russia, non più superpotenza ma potenza mondiale.
Oggi, invece, non solo il comunismo non è sparito e non vive solo in macchie residuali del pianeta ma si sta espandendo come non mai, sta colonizzando il mondo e sta generando un sistema di alleanze di cui preoccuparsi. Il più grande e popoloso paese al mondo, il più aggressivo, nell’espansione e nell’esportazione è la Repubblica popolare cinese, guidata dal Partito comunista. Non è solo un autocrate Xi-Jin Ping, come Erdogan e per molti versi Putin, perché lui ha dietro la potenza, l’apparato, la simbologia del comunismo totalitario cinese, la gigantografia di Mao Tse Tung e la lunga marcia cinese sul mondo.
In Cina il comunismo non è un modo di dire, è un modo di fare, è un comunismo pratico, fondato sulla geopolitica, che ibrida la carica ideologica del vecchio maoismo e il suo ferreo dirigismo totalitario con il controllo tecnologico e scientifico; la superpotenza commerciale e finanziaria che colonizza interi paesi e continenti e invade il mercato globale. Con l’ambizione a cavalcare la tigre della globalizzazione fino a diventarne leader. Rispetto al pericolo islamico che avevamo visto all’inizio del nuovo millennio come la minaccia principale, dobbiamo dire che il comunismo ha ripreso la guida dell’anti-Occidente, in modi meno cruenti ma più pervasivi ed efficaci, avvalendosi della complicità, la cecità e l’idiozia delle classi dirigenti occidentali, a partire dall’America di Biden e dal nanismo internazionale dell’Europa. Se i regimi di Putin e di Erdogan si possono considerare autoritari, il regime cinese è totalitario ed ha pretese egemoniche sul mondo intero. Pensate alla follia euro-atlantica di attaccare e isolare Putin, di aggredire con embargo e sanzioni la Russia, consegnandola di fatto nelle mani della Cina, come sta dimostrando la vicenda delle Olimpiadi, la nuova alleanza di Putin con Xi.
Di fronte alla superpotenza cinese e al passaggio della globalizzazione dall’egemonia statunitense al predominio asiatico-cinese, la geopolitica occidentale avrebbe dovuto al contrario accentuare i motivi di alleanza strategica, pur nella differenza critica delle posizioni, con la Russia di Putin e con l’India. E invece, si indigna per quel che succede in Russia, trascurando quel che accade in Cina e ad Hong Kong, molto più terribile. Certo, la Russia vuole riprendere il controllo dell’area, come ai tempi dell’Urss ma soprattutto teme di essere accerchiata dalla Nato che vuol spingersi fino in Ucraina. È un regime autocratico, con alcune ombre criminali; ma in Cina il regime è totalitario e il dissenso viene soffocato senza neanche un filo di visibilità; scompare, viene inghiottito nel nulla.
Per far la voce grossa, gli Usa ritirano la delegazione diplomatica dalle Olimpiadi di Pechino, atto puramente dimostrativo e irrilevante, che non ha nessuna implicazione pratica, giacché poi gli atleti andranno a gareggiare. Così sul piano geopolitico ci troviamo due potenze ostili come la Russia e la Turchia e una superpotenza che vuol conquistare il mondo come la Cina, e l’Europa con gli Usa si balocca col politically correct.
A proposito. Sul piano ideologico, il comunismo ha assunto due forme diverse o ha lasciato due cospicue eredità: quella esplicita del regime totalitario cinese e quella implicita del politically correct, che è il comunismo compatibile col progressismo radical d’occidente, perché – come il comunismo – vuole correggere l’umanità, il mondo, la storia, i valori. Ma in forme più soft, compatibili col capitalismo, più pedagogiche e psicologiche, non avvalendosi di repressioni militari e gulag. Ma il criterio della rieducazione di massa, seppure in forme diverse, è analogo. Lo stesso Putin, criticando il politically correct occidentale, ha notato che sotto il comunismo sovietico loro ci sono già passati, sono stati i precursori di quel controllo correttivo di massa, contro la realtà e la tradizione, la famiglia, la patria e il sentire religioso.
Insomma, la bandiera ammainata sul Cremlino è volata a Pechino, e sventola nei cieli d’occidente nella forma del politically correct. Ma l’Europa e gli Usa non se ne rendono conto e invocano ancora i ghostbusters per scacciare il fantasma del nazifascismo…
MV, La Verità (17 dicembre 2021)