Istruire… certo, ma chi?
È tutta questione di… precisione.
Partiamo dalla lettura di questo articolo,(https://www.msn.com/it-it/notizie/politica/il-fallimento-dell-istruzione/ar-AA17USBF?ocid=msedgntp&cvid=721a3bfe8fd14e1fa304e1aeba601aba&ei=14) all’interno del quale troviamo alcuni dati statistici che fotografano una nazione davvero mal ridotta, almeno in campo educativo.
Non è certo una novità, purtroppo… visto che le cose stanno in questi termini da parecchi anni, oramai.
Quando qualche movimento politico parla di importanza della famiglia e di una scuola che non sia chiamata a farne le veci, ma la completi invece socialmente e formativamente, significa che il dover fare qualcosa, appunto politicamente, sta diventando una vera e propria urgenza.
E questi dati lo confermano, con la solita evidenza che i numeri sanno dare, anche rispetto a situazioni sociali e culturali che possono sembrare di poco conto quando si verificano, come la dispersione scolastica o le forme di analfabetismo funzionale. Queste ultime condizioni esistenziali sono alla base dell’arricchimento dei cosiddetti influencer, ossia di coloro che nulla dicono per nulla fare, e tuttavia guadagnano sul niente di un pubblico che non possiede gli strumenti cognitivi per chiedere di più a questa società sempre più abbandonata a simulacri di autonomia.
Certo, i nostri giovani vivono in una nazione che non gratifica coloro che studiano e, sostanzialmente, ne favorisce l’esodo in altre nazioni. Per cui mi sembra altrettanto evidente e giustificabile che i giovani scelgano alternative migliori rispetto allo studio.
Oggi, studiare è sinonimo di tre cose sostanziali: a) essere parte di una famiglia abbiente in grado di assicurare al figlio una vita di grandi soddisfazioni intellettuali, perché la sua vita trascorrerà all’estero; b) possedere quelle conoscenze clientelari e politiche che permetteranno di essere assunti dove si desidera, oppure di rimanere in una nazione come questa, politicamente familistica; c) essere assimilabili a persone “deficienti”, perché con lo studio non si guadagna in modo adeguato ai sacrifici fatti e si è persino presi in giro da alcuni adulti, specialmente da quelli che, senza nessuna competenza e formazione, possono fare carriere impensabili un tempo.
Se non investiamo culturalmente nella famiglia, nei media e nella scuola, rifiutando l’idea che queste agenzie sociali debbano essere solo mercificabili, ho la sensazione, anche netta, che avremo davvero tempi peggiori.
Quando si arriva in fondo, in effetti, possiamo sempre scavare.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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