Islam
È tutta questione di… empatia.
Forse, anche in alcune geografie islamiche si comincia ad assaporare aria di evoluzione. Questa è la notizia (Bangladesh, 19enne bruciata viva: condanna a morte per 16 persone Un tribunale del Bangladesh ha condannato alla pena capitale i 16 responsabili dell’omicidio di Nusrat Jahan Rafi, la studentessa 19enne data alle fiamme per avere denunciato per molestie sessuali il preside della sua scuola islamica- Gianni Carotenuto – Gio, 24/10/2019 – In Bangladesh, un tribunale ha condannato a morte 16 persone per l’omicidio della studentessa Nusrat Jahan Rafi, data alle fiamme dopo aver accusato di molestie sessuali il preside della sua scuola, un istituto islamico di Feni, cittadina a circa 160 km dalla capitale Dacca). su cui desidero riflettere.
Come tutti sapete, non sono a favore della pena di morte, mai. Credo nella funzione afflittiva di una pena, e rispetto sinceramente la ratio dell’articolo 27 della nostra Costituzione. Questi, sono i punti di riferimento sostanziali del mio ragionamento. Condannare a morte 16 uomini per aver bruciato viva una ragazzina che aveva subito violenza e ulteriori vessazioni sociali è dunque ingiusto, anche se si toglie la vita a criminali, in questo caso ad assassini.
Eppure, poiché non ho mai creduto nel relativismo culturale, e tanto meno in questo assoluto relativismo culturale sinistrato, sia scientificamente che personalmente, ritengo che questa sentenza di Primo Grado sia comunque significativa. Sia un cambio di passo, come lo stesso procuratore Hafez Ahmed dichiara apertamente: “Nessun accusato di omicidio se la caverà più”. E, penso, voglia riferirsi ad una accusa passata poi in giudicato come vera.
E, nel caso di questo ragazzina, la stessa comunità sociale bengalese aveva espresso la sua indignazione e sconcerto, come se, anche da quelle parti, e grazie ad un processo positivo di occidentalizzazione, si cominciasse a vedere e considerare la figura femminile con occhi diversi. Spero solo che questo primo sintomo evolutivo legato al rispetto della volontà femminile, in quanto persona, ancora prima di essere espressione di genere, sia seguito da forme educative adeguate, messe in atto sin dall’infanzia.
Certo, ci vorranno parecchi anni prima di raggiungere un risultato appena apprezzabile, e che si possa equiparare a ciò che accade in Occidente. Ma anche noi, in fondo, siamo in contraddizione costante rispetto all’idea ed ai comportamenti che abbiamo verso le nostre femmine umane. Condanniamo a gran voce, stimoliamo violenza mediatica, verbale e non, contro qualsiasi essere più debole, sia femmina, sia maschio oppure di altri orientamenti sessuali. E, a volte, forse persino spesso, ci ritroviamo con una magistratura che pensa ai permessi premio, attribuendo troppo peso a quell’articolo 27 della Costituzione, come se esso stesso potesse annullare il valore di tutti gli altri.
Ancora una volta, l’equilibrio è difficile da raggiungere.
Ma, certo, va cercato, senza stanchezze e ripensamenti.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).