Quarant’anni dal terremoto, il grido dell’Irpinia: “La ferita c’è, la sfida è il futuro”
di Pierluigi Melillo
(ansa)
L’ex sindaco di Lioni, D’Amelio: “Ora combattiamo contro la desertificazione”. Venezia: “Quei buchi neri mai ricostruiti ad Avellino”. Famiglietti: “Post sisma, occasione mancata”
Cos’è oggi l’Irpinia 40 anni dopo il terremoto del 23 novembre 1980, che seminò morte e distruzione? “Non perdiamoci nella retorica. Ha senso ricordare le vittime di quella tragedia atroce solo se oggi c’è davvero un impegno serio per guardare al futuro”, nota Rosanna Repole, che giovanissima divenne sindaco sotto una tenda al posto di Guglielmo Castellano, morto tra le macerie a Sant’Angelo dei Lombardi, la “capitale del cratere”.
In Alta irpinia ci furono paesi rasi al suolo, oggi sono tutti ricostruiti, ma qui, da Lioni a Calabritto bisogna fare i conti con lo spopolamento e la fuga dei giovani. I borghi sono deserti. “Il terremoto ha portato le strade dello sviluppo ma anche industrie fantasma”, accusa Costantino Vassiliadis, segretario irpino Ugl ,che dice: “Quarant’anni dopo la ferita del 23 novembre è ancora aperta”.
Ora i paesi del “cratere”, come venne chiamato l’epicentro della tragedia, piangono altri morti, sono le vittime del Covid-19. Ieri è spirata all’ospedale “Frangipane” di Ariano Irpino un’anziana 85enne di Caposele, piccolo centro di 3300 anime dell’Alta Valle del Sele, che dal dopo terremoto ha perso più di 800 abitanti. “Ora la sfida di questi territori è combattere la desertificazione”, avverte Rosetta D’Amelio, ex presidente del consiglio regionale, protagonista da sindaco di Lioni degli anni della ricostruzione e della rinascita. “La notte del 23 novembre ’80 – ricorda D’Amelio – ero una giovane studentessa universitaria. Mi sono salvata per miracolo. Mi ritrovai all’improvviso tra gente che piangeva e palazzi crollati, abbiamo scavato con le mani tra le macerie. E quel ricordo non si cancella”. E nemmeno ad Avellino i segni del terremoto sono ancora spariti, neppure lungo il Corso Vittorio Emanuele, il salotto buono della città. Li chiamano “buchi neri”, indicano i palazzi che non sono stati mai più ricostruiti, inghiottiti dalla burocrazia e dalle liti condominiali.
L’attuale sindaco Festa aveva preso l’impegno di farli sparire, ma la questione non è di facile soluzione. Ci provò negli anni Ottanta Enzo Venezia, il sindaco di Avellino del dopoterremoto, soprannominato mister “Cinquemila” perché alle amministrative del 1984 prese tante preferenze da far irritare Mancino e De Mita, i leader democristriani dell’epoca. Resta il più votato dei sindaci della storia della città. “La vertenza dei buchi neri è effettivamente complessa – spiega Venezia – da parte mia provai ad attuare una norma che consentiva al Comune di sostituirsi ai privati. In alcuni casi, nel centro storico, ci sono riuscito, ma poi sono intervenute le liti tra i privati che hanno persino provocato la perdita dei finanziamenti. Ora, comunque, bisogna provare a fare qualcosa”. Ma adesso nella lotta al Covid l’Alta Irpinia si ritrova con una nuova emergenza: l’ospedale di Bisaccia è stato chiuso, quello di Sant’Angelo dei Lombardi pesantemente ridimensionato. Erano stati presidi di speranza nel dopo terremoto. Rosanna Repole, che è stata anche presidente della Provincia di Avellino, manda un segnale a De Luca.
“Qualcosa in questi anni è stato fatto, ma bisogna invertire la rotta, specie sulla organizzazione della medicina territoriale”, osserva la Repole. Sono pochi i segnali di speranza che si intravedono in questo territorio. Certo, è in cantiere la stazione Hirpinia dell’alta capacità Napoli-Bari, mentre dovrebbe chiudersi l’annosa storia della Lioni-Grottaminarda, arteria che favorirà il collegamento tra i due mari. Ma il passato continua a pesare. Luigi Famiglietti ex parlamentare Pd, per anni sindaco di Frigento, ammette che “la ricostruzione è stata un’occasione mancata ma è stato eccessivo parlare di Irpiniagate rispetto a sprechi enormi che hanno interessato un’area più vasta della nostra provincia”.
E Raffaele Lieto, ex segretario Cgil di Avellino, in una lettera aperta esprime il suo rammarico perché “non si è riusciti e non si è nemmeno voluto, mettere dei punti fermi, sulle cose avvenute, sui ritardi, sugli errori, sulle cose positive, sarebbe stato utile e necessario per delineare un futuro, una prospettiva. Ancora oggi manca un chiaro disegno di sviluppo”. Ma c’è un’Irpinia che cerca di resistere. Stefano Farina, sindaco di Teora, paese del “cratere” che ha ricevuto la medaglia d’oro al merito civile, ha contrastato lo spopolamento dando la casa gratis e niente tasse alle famiglie che si trasferivano in questo borgo di poco più di mille abitanti. Oggi ci sono famiglie sbarcate da Napoli, Argentina, Brasile, Inghilterra e dalla Sicilia, che hanno ripopolato il piccolo comune che fu devastato dal terremoto. “Guardate – osserva il sindaco Farina – il covid può essere un’opportunità come quella del terremoto che forse non abbiamo colto. Passare qui la quarantena pesa sicuramente meno rispetto alla vita che scorre nelle grandi città. E allora, perché non provarci?”.
Sarà, ma intanto la realtà è difficile. Domani a Sant’Angelo dei Lombardi anche i carabinieri ricorderanno i militari morti sotto le macerie. In serata, la santa messa nella Cattedrale preceduta dal “silenzio” intonato alle ore 19.34, l’ora della terribile scossa, da un carabiniere in grande uniforme. L’Irpinia non dimenticherà mai.
https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/11/22/news/quarant_anni_dal_terremoto_il_grido_dell_irpinia_la_ferita_c_e_la_sfida_e_il_futuro_-275279135/