Il silenzio della lentezza
È tutta questione di… ospitalità.
Anche quando non ce ne rendiamo conto, tutte le cose cambiano. Spesso, le trasformazioni più sostanziali, quelle che incidono fortemente sulla vita degli esseri viventi, assumono forme evidenti, inequivocabili, palesi, anche se si preparano nel silenzio della lentezza.
Sì, oggi vorrei proprio soffermarmi su questo concetto. Ho scritto qui che avrei ragionato con voi, proprio su alcuni spunti, per riflettere, ossia specchiarci, sulla situazione nella quale versiamo (e non solo in Italia, ma nel Mondo).
Quando abbiamo scoperto l’agricoltura, 5.000 anni fa, è iniziata una nuova importante Era per la nostra specie, e questo evento è stato preparato nel silenzio della vita quotidiana, dai nostri antenati. Quando una madre educa il proprio figlio, lo fa tutti i giorni, con atti, azioni, parole e soprattutto buoni esempi. Non si stanca mai di ripetere le stesse cose, e lo fa per molto tempo. È importante sapere che per tutte le cose umane ci vuole tempo, ossia quella misura del movimento, secondo il prima e il poi, come ci ricorda Aristotele nella Fisica. Ad un certo punto, quasi per miracolo, quella stessa madre si accorge che il figlio è cresciuto, ed è ora in grado di restituire al mondo gli insegnamenti ricevuti. Accade la stessa cosa per un insegnante, per un buon medico, un buon infermiere, un buon direttore d’azienda, un buon politico, una buona avvocatessa. Insomma, tutto ciò che riguarda l’esistenza avviene sotto traccia, e quando siamo di fronte a ciò che si definisce epifenomeno sappiamo che la sua preparazione risale ad antichi tempi.
Fermiamoci, allora.
Poniamo il tempo nella nostra coscienza, e rendiamoci conto che siamo noi a crearlo, come ci ricorda Aristotele. Non parlo, ovviamente del concetto di tempo nella Fisica. Mi riferisco al tempo che noi tutti sperimentiamo.
Tutto e subito, più veloci del tempo stesso, come se il raggiungere qualsiasi obiettivo esistenziale ci desse la certezza di avere il potere sulle cose e sulle persone, come fosse il nostro reale obiettivo di vita.
No, non è così. Il nostro obiettivo essenziale è un altro, e, in fondo al nostro cuore, lo sappiamo tutti molto bene. Il nostro obiettivo è la felicità, ossia la capacità di dare un significato essenziale al motivo per cui abitiamo questo mondo, al perché lo facciamo con gioia e tristezza assieme.
E la Natura, che tutti noi diciamo di amare a parole ma che non amiamo nei fatti, quale modo ha di farci comprendere che siamo, e resteremo sempre, solo ospiti? Lo fa scartando tutto quello che non è utile al sistema di relazioni che lei stessa rappresenta.
Bene, che cosa fare per non essere scartati?
Occorre che smettiamo noi di scartare gli altri, il mondo e le cose, nella convinzione di essere padroni di tutto.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).