𝐈𝐥 𝐩𝐨𝐩𝐨𝐥𝐨 𝐯𝐨𝐭𝐚 𝐚 𝐝𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐚 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐯𝐢𝐫𝐚 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨𝐯𝐞
In America procede a grandi passi la marcia popolare di Donald Trump verso il ritorno alla Casa Bianca. In Portogallo il popolo tributa la vittoria ai conservatori e quadruplica i consensi alla destra radical-populista, quella che dice Basta.
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Il popolo vota a destra ma il potere vira altrove
di Marcello Veneziani
13 Marzo 2024
In America procede a grandi passi la marcia popolare di Donald Trump verso il ritorno alla Casa Bianca. In Portogallo il popolo tributa la vittoria ai conservatori e quadruplica i consensi alla destra radical-populista, quella che dice Basta. Era accaduto pochi mesi fa in Olanda dove il popolo sovrano aveva decretato la vittoria delle destre popolari. In Irlanda un referendum popolare sventa il tentativo di modificare la Costituzione e ridefinire in chiave fluida e femminista la famiglia, la donna e il gender. Per cambiare la Costituzione in senso progressista meglio non interpellare il popolo e fare come in Franca dove Macron ha inserito l’aborto in Costituzione con voto parlamentare, senza alcun referendum.
In molti paesi europei i populisti capeggiano i sondaggi (oltre che in Portogallo e Olanda, anche in Francia, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia e Slovacchia e sono al governo da noi) e in altri sono in forte crescita: Germania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Finlandia, Svezia, Romania, Spagna.
Ogni volta che si esprime il popolo, o quantomeno nella gran parte dei casi, la prevalenza continua ad essere assegnata alle forze populiste e nazional-conservatrici. E viceversa, ogni volta che si prende una decisione senza interpellare il popolo, si tratta di governi di sinistra, di tecno-sinistra o di centro-sinistra o di centro-destra con scappellamento. La tendenza registrata negli anni scorsi non è cambiata. Il vento del nazional-populismo, con punte di sovranismo, non cambia, sembra anzi destinato a diventare una tendenza strutturale nelle democrazie per bilanciare il predominio di poteri decisionali e oligarchie non legittimate dal voto che di fatto governano gli assetti sovranazionali, orientano i governi e decidono la politica estera.
C’è tuttavia una variante: per governare o per essere accettate nei consessi internazionali, le forze populiste e conservatrici spesso si allineano alla politica internazionale e si adeguano su alcuni temi civili, diritti, ecc. al trend progressista. Accade così che in Grecia un governo conservatore legalizzi le nozze omosessuali, che in Francia pure la destra nazionale lepeniana, o buona parte di essa, veda di buon grado l’aborto in Costituzione, che la destra di governo in Italia eviti ogni contrapposizione sui temi sensibili e si riconosca in pieno nell’establishment euro-atlantico che prima contestava.
A usare la griglia un po’ sbrigativa del linguaggio populista, tutto questo viene considerato come il tradimento dei leader e dei partiti populisti, neocons e “sovranisti”.
Mettiamo da parte la definizione di traditori e il giudizio morale che si presuppone, e di fronte al diffuso cambio di registro da forza d’opposizione a forza di governo, chiediamoci con realismo se anche questa mutazione non sia strutturale e inevitabile per governare. Non puoi governare contro l’establishment sovranazionale, ti fanno cadere o quantomeno mettono a serio rischio il corso di governo. Se non ti allinei, sei messo fuori dagli assetti internazionali, dai poteri che sorvegliano sulla finanza, sulle direttive, sugli stati europei, sulle alleanze e sulla Nato. Oggi l’unico che può permettersi di esprimere una linea di politica internazionale indipendente davanti ai conflitti, alla guerra in Ucraina e in Palestina, è il Papa. Ovvero il rappresentante di uno stato senza stato, senza esercito, senza democrazia, fondato su un’autorità morale e religiosa, pur se declinante. Gli altri tacciono o si adeguano. In queste condizioni l’Ungheria di Orbàn riesce a conservare una prodigiosa e dignitosa autonomia, nonostante le pressioni, i ricatti, le minacce e la cattiva stampa con cui viene sommersa ogni giorno. E da questo punto di vista si deve riconoscere che Trump, pur con le sue spacconate, è riuscito già nel precedente mandato a dare un’idea che sia possibile cambiare la linea degli Stati Uniti, che invece dai Bush a Obama e Biden ha mantenuto una certa continuità.
Insomma, per tornare agli ultimi esiti elettorali, non ci sarà da aspettarsi molto dalla vittoria dei populisti, dovranno scendere a patti, cederanno su alcuni punti importanti della loro battaglia. La stessa Marine Le Pen, considerata da molti populisti di casa nostra come più “tosta” e meno malleabile di Giorgia Meloni, mostra già segnali di duttilità: stavolta vuole rassicurare i poteri e i ceti moderati per conquistare la vittoria deve aprire al centro.
Per riuscire a cambiare rotta ci vuole in effetti audacia e prudenza e soprattutto capacità di capire quando è il momento della prima e quando della seconda. Ma ci vuole capacità inventiva, lungimiranza, autorevolezza. Servono spalle larghe, governi solidi e credibili, non si può contare solo sul consenso popolare, che comunque non è eterno e può trovare altri soggetti lungo la strada in grado di interpretarlo con rinnovata grinta.
In Italia, ad esempio, più che la battuta d’arresto in Sardegna, poi compensata dalla buona affermazione in Abruzzo, la Meloni dovrebbe essere preoccupata dal fattore Vannacci, inteso non in sé ma come sintomo di un malessere, campanello d’allarme: il successo per ora editoriale del generale Vannacci, indica anche la mezza delusione di una parte dell’elettorato di destra. E l’atteggiamento di Crosetto e di Fratelli d’Italia verso Vannacci sono stati letti dalla gente come uno sputare nel piatto dove mangiano; ovvero se sono al governo lo devono anche a una larga fetta di opinione pubblica che li ha votati perché si riconosce in quelle linee espresse dal militare. Indecente e anche sospetta è stata la “persecuzione” di Vannacci.
In ogni caso l’unica vera pietra di paragone su cui saranno giudicati non sarà in qualche spruzzata di retorica, bei comizi come una volta, qualche esibizione delle frecce tricolori e qualche slogan patriottardo; ma la capacità di lasciare un segno nel paese con opere durature, svolte reali e la capacità di porsi con intelligenza il problema di raddrizzare il racconto popolare prevalente, che è ancora quello di prima, ultimo effetto di una vecchia egemonia culturale. Su questi due punti, finora si è visto poco. Tutto viene affidato all’one-woman-show della Meloni…
Intanto un po’ in tutta europea riprende a oscillare il pendolo populista tra illusione di partenza e delusione d’arrivo.
La Verità – 12 marzo 2024