Il passato inutile
È tutta questione di… saper giudicare.
Non sto parlando del “passato di verdure”, anche se questa nostra attuale società globale è, in effetti, molto più simile a questo che ad un buon minestrone di verdure riconoscibili nel piatto.
Mi riferisco al passato, inteso come ciò che è accaduto prima del presente. Parlo del tempo, e la splendida definizione che troviamo nella Fisica di Aristotele, “la misura del movimento, secondo il prima e il poi”, sembra non sia stata ancora compresa dai nostri contemporanei.
La dimostrazione della tragica verità di quanto sto scrivendo è evidente nella distruzione sistematica delle statue, oppure nella negazione della storiografia, come se tali comportamenti permettessero di modificare il già avvenuto.
Qualsiasi individuo relativamente sano di mente e che certamente continua ad esistere in questo mondo – forse in numero maggiore rispetto alle palesi deficienze, specialmente politiche –, sa che l’unica cosa temporalmente significativa che non possiamo cambiare è il passato. E, sempre le stesse persone relativamente sane di mente, sanno altresì che il termine ultimo di qualsiasi cambiamento sociale e culturale si verifica nella morte. Anche se facciamo di tutto per allontanarla dai nostri pensieri, la morte giunge provvidenzialmente ed inderogabilmente.
Quando una generazione di individui, supportati da politici internazionali riconosciuti come superflue sopravvivenze antropologiche, si rivolge al passato demolendo la misura dei cambiamenti che tali simboli significano, siamo in presenza di una totale assenza di programmazione di futuro.Passato_00
Distruggere il passato è impossibile, come è deficiente attribuire significati contemporanei ad eventi lontani nel tempo e che ne hanno avuti altri, del tutto diversi dalle mode attuali.
Forse, dovremmo cercare di riflettere su come rendere davvero possibile la capacità nelle nuove generazioni di ovviare ad errori che continuiamo a compiere, senza aver imparato da quelle storie che si vogliono eliminare dalla coscienza collettiva. Ed ancora, dovremmo comprendere che nella natura umana ogni situazione luminosa conserva la sua quota necessaria di oscurità, proprio perché in quanto materia la nostra presenza in questo mondo genera l’ombra di noi stessi.
Ecco, spero che il futuro ci riservi di incontrare sulla scena politica mondiale individui in grado di pensare coscientemente al futuro, con una programmazione che smetta di demolire un passato che esiste indipendentemente dalle nostra volontà.
E, magari, sarebbe meraviglioso cominciare a comprendere quanto ridicolo sia ogni essere umano su questa terra, con e senza statue.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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